ETICA E BENESSERE
di Milena Manili
Il frequente richiamo alle
tematiche del benessere, nella società odierna, non è altri
che l'indicatore di un diffuso malessere sociale, che si riflette sempre
più spesso su di noi, le donne.
Appare inevitabile coinvolgere coloro che ci governano e che, in particolar
modo, sono responsabili delle politiche sociali, la cui inefficienza ed
ambiguità ricadono, appunto, sulle fasce socialmente più
deboli.
Senza cedere ad un facile pessimismo, vorrei porre l'attenzione su una
delle forme più visibili di "incuria dei bisogni umani",
di quei bisogni che le scienze antropologiche indicano come i fondamenti
intorno a cui si costituiscono i gruppi umani: intorno alle necessità
antropologiche degli individui umani ruota la possibilità stessa
del costituirsi di una famiglia e quindi del formare una società.
Nel concetto antropologico
di bisogno convergono, a mio modesto parere, le due principali istanze
della modernità: etica e benessere.
In una realtà sociale come quella odierna, dichiaratamente egoista,
densa di ambiguità socio-politiche, consumistica, vige oggi il
disinteresse per ciò che l'essere umano ha di più prezioso.
Ritengo che questo sia il male da combattere: la "disattenzione"
per la malattia e la sofferenza, intese, ovviamente, nel vasto panorama
delle tipologie di bisogni disattesi.
Nonostante i progressi della
ricerca medico-scientifica, ancora oggi gli uomini, ma soprattutto le
donne ed i bambini, possono morire per la strada e negli ospedali.
Cosa sia la salute, è tematica ampiamente dibattuta ogni giorno,
ma molto spesso l'esito dei dibattiti rivela una considerazione dell'uomo
(e della donna) in termini strumentali, ovvero di un mezzo, anziché
di un fine.
Definire cosa sia la salute, e cosa comporti la sua mancanza, è
un obiettivo senza il quale altri valori sembrano venire meno: Salute
vuol dire rispetto, tutela dell'integrità fisica e psicologica
della persona. Ritengo sia questo il vero obiettivo verso il quale tutti
dobbiamo prodigarci nel miglior modo possibile: la salute e l'integrità
dell'essere umano; soggetto e predicato sempre più mistificati
ai nostri giorni.
Il concetto di "benessere",
come sappiamo, non riguarda solo le condizioni strettamente fisiche della
persona, ma soprattutto quelle mentali ed emotive, cioè la condizione
psicofisica di ogni uomo e di ogni donna, affinchè questi si possa
dire "effettivamente esistente", dotato di abilità ed
intelligenza, consapevole di essere parte integrante di un contesto socio-affettivo
che lo accoglie, che in ogni aspetto si prende cura di lui.
La considerazione dell'integrità, che ogni essere umano ha diritto
di possedere e di mantenere, si fa molto più delicata, concettualmente,
nelle fasi principali dell'età evolutiva, la quale, più
di ogni altra, necessita del supporto di persone sane, siano esse singoli
individui, tutori di varia natura e funzione, medici, o fatidiche agenzie
educative. Purchè questi non rimangano soltanto vuote definizioni.
Cosa necessiti alla persona per vivere degnamente il proprio stato di
salute, dobbiamo comprenderlo noi tutti; ma, in particolar modo, lo deve
praticare chi, per il suo ruolo sociale, familiare, per la sua natura
o per la professione che svolge, si prende carico di altre persone.
Indubbiamente questo è un impegno non facile: ma i meccanismi sociali
hanno una propria deontologia: la quale si impone attraverso tali sistemi,
in virtù della loro particolare funzione e della loro stessa efficacia,
inducendo ogni referente, di qualunque grado, ad assumersi le responsabilità
inerenti al proprio ruolo ed alla funzione che svolge all'interno di tali
strutture e servizi.
Ognuno di noi si affida a
qualcuno, sia esso un genitore, un medico, un confessore, cercando la
cura a qualcosa che lo fa stare male, e spesso la mancanza di una risposta
adeguata al bisogno avviene proprio là dove i rapporti sociali
sembrano farsi, apparentemente, più diretti, improntati ad autentica
familiarità, richiedenti solidarietà ed approccio umano.
Non possiamo trascurare che esiste un apparato di tipo istituzionale,
ovunque ramificato nei suoi vari ambiti e gerarchie, fatto di specialisti,
che vengono retribuiti per il loro lavoro, sul cui metodo possono riferire
solo altrettanti esperti, ma sul cui "approccio al paziente"
chiunque di noi avrebbe almeno qualcosa da dire. Recenti normative, anche
in ambito sanitario, hanno cambiato la modalità e la definizione
degli approcci, sia relazionali (urp) che terapeutici (sale d'attesa)
ma non la loro sostanza, spesso molto carente di umanità. Il paziente
viene di volta in volta definito con un nome, un numero, una sindrome:
sono stati avviati dibattiti interminabili sul fatto che si debba chiamarlo
paziente, cliente, utente, senza curarsi del vero problema, che consiste
nel chiedersi come egli si senta, e soprattutto che cosa si senta di essere,
in una società che dà così poco spazio ai bisogni
umani, ovvero alle necessità esistenziali dell'essere umano.
Ci si aspetta che in una
piccola comunità, come quella in cui viviamo, le persone preposte
alla cura dello stato di salute, e non intendo solo il medico, ma chiunque
si prenda cura di altri con cognizione di causa, siano, o si pongano,
all'altezza della situazione, osservando quel senso etico che è
fondamentale in ogni tipo di approccio alla persona. Ci aspettiamo che
gli esperti manifestino una attenta propensione per l'alterità
e l'altrui bisogno, che essi siano dotati di opportuni mezzi, soprattutto
per quanto riguarda il bisogno di relazione umana, che la persona sofferente
manifesta. Ciò avviene solo in alcuni casi e solo per motivi in
cui rientra la commozione personale di un medico che ha vissuto direttamente
un problema analogo a quello in questione.
Ma il concetto dell'alterità e dell'altrui bisogno, analogo a quello
proprio, virtualmente presente nella vita di ciascuno, è uno dei
bisogni universali, che non può essere trattato una tantum, perché
non è una tassa ma un preciso dovere.
E' questo, probabilmente,
uno dei bisogni cui accennavo all'inizio, cioè largamente disattesi,
sia pure in una realtà di stretto provincialismo, quale quella
in cui viviamo, dove, presumibilmente, chi ha vissuto nelle grandi città,
penserebbe di trovare rapporti personali più schietti, più
umani, ed affettivamente più stabili.
Ma quello che avviene nelle grandi città avviene anche nei piccoli
centri urbani. I larghi contesti sovrappopolati sono composti da persone
distratte e frettolose, che trascorrono la loro giornata al solo fine
di superarla, badando a sé stessi ed alla propria incolumità,
ponendo in modo prioritario i propri egoistici ed immediati fini, occupandosi
di sfuggire incontri ed affari moralmente "impegnativi": tutto
ciò sembra avvenire un po' dovunque.
Lasciatemi perciò
fare un'ulteriore riflessione: E' nostro dovere di conoscere meglio la
realtà sociale in cui viviamo, quali sono le cose, e le persone,
che in essa contano, e ricercare nelle nostre prassi quotidiane un minimo
di coerenza, rispetto ai nostri effettivi bisogni, ed alle politiche che
li possano assolvere nel migliore dei modi.
Tali bisogni, non è inutile sottolinearlo, dovrebbero rappresentare
i nostri principali obiettivi, perché la sfera dei bisogni, soprattutto
quelli relativi al benessere quotidiano, sono ciò che ci accomuna,
senza alcuna differenza di condizione sociale o di sesso.
Ed allora sorge spontanea
un domanda: perché le donne soffrono maggiormente, perché
soffrono in silenzio; perché non si attiva più, intorno
a loro, quel cordone di solidarietà umana, costituito per lo più
da familiari, tanto quanto da amici e medici di famiglia, che, soltanto
una generazione fa, rappresentava una garanzia per la salute della donna?
Oggi le donne sono chiamate a sottoporsi a numerose indagini e screening
sulla salute, certamente indice di notevole progresso, ma sempre più
spesso viene a mancare la consapevolezza che, dietro ad una diagnosi,
vi possa essere una persona che nella vita si è fatta carico di
molte più situazioni altrui, di quanto non si creda.
La donna è nella maggior parte dei casi colei che, per far questo,
magari ha trascurato sé stessa. La donna spesso trascura, nelle
linee essenziali, la salute propria, per necessità di vita quotidiana,
e per lo più a favore di altre persone a cui è molto legata.
Ogni donna deve poter recuperare il rispetto di sé stessa, non
tanto quello che ella mette costantemente in gioco, rispetto alla cura
degli altri, e che è comunque un nobile impegno.
La donna deve saper recuperare quel rispetto della propria entità
psico-fisica, che è oggi ancorpiù necessario per conservare
la propria integrità, e senza il quale non potremmo più
svolgere alcuna funzione sociale. Dobbiamo più spesso ricordare
di essere, prima che cittadine, prima che mamme, mogli, figlie, insegnanti,
infermiere e quant'altro, principalmente delle persone, ognuna suscettibile
delle proprie, legittime sofferenze.
Ritengo che la donna rivesta
oggi molteplici e fondamentali ruoli. Tuttavia la donna, intorno alla
quale ruota la composizione dell'intera società, ha il diritto-dovere
di occuparsi della propria salute nei suoi aspetti generali e particolari.
L'opportunità di tutelarsi da ogni tipo di gravosa sofferenza è
divenuta, per la donna, un'esigenza di tipo etico, prima ancora che sociale.
Ancora oggi la donna rappresenta la tutela dei figli e, spesso, dell'intera
società, dalle insidie di molti uomini e di donne che hanno disatteso,
come tanti, i propri valori etici. La donna ha a sua volta il bisogno
di essere tutelata dalle istituzioni, nel rispetto della sua importante
funzione socio-culturale.
Per tornare al tema originario,
etica e benessere, vorrei giungere ad alcune conclusioni:
La salute della donna nella società odierna, e la mancanza di essa,
rispecchia nel modo più emblematico l'attenzione o la disattenzione
verso il benessere dell'intera società. Ma spiega anche l'importanza
di ridefinire, ovvero di riqualificare, il tema della condizione umana
e del bisogno nell'ambito della famiglia.
Vi è oggi una maggiore urgenza di trattare in modo più opportuno
il tema della cura alla persona, non solo sul piano sanitario, ma anche,
a maggior ragione, su quello sociale, riconoscendo la priorità
della persona, portatrice di esigenze altrettanto primarie di quelle biologiche,
quali quelle di tipo etico. La coerenza di un percorso di crescita della
persona sana rappresenta, su ogni piano, il punto di convergenza delle
politiche rivolte alla famiglia.
Invito chiunque ne abbia coscienza e capacità, a reagire al disagio
ed alla discriminazione, ovunque presenti nella società che ci
circonda, in cui ci sono molti valori da recuperare, soprattutto per quanto
concerne la salvaguardia e l'integrità dell'universo femminile.
D.ssa Milena Manili
Presid. INFAP Onlus
Ist. Naz. Femminile Arti e Professioni
Vico I De Grazia 9 - 88100 Catanzaro
0961/747905 - 3477850738
Docente a contratto di Antropologia
Corso integrato di Scienze Umane
Università Magna Graecia, Catanzaro
milena.manili@tin.it
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