La madre o-scura

di Lucia Chiavola Birnbaum

Metodologie utilizzate


Durante la mia infanzia di bambina americana di origini siciliane, trascorsa nel Kansas City, Missouri, l’esclamazione preferita da mia madre, dalle mie nonne e dalle mie zie era “bedda matri!”. L’origine di questa invocazione rivolta alla bella madre – usata per esprimere meraviglia, stupore, gratitudine – non mi è stata chiara per lungo tempo, almeno fino al 1990, allorché la mia ricerca sulle femministe italiane e sulle madonne nere  (1)  coincise con la rilettura della letteratura africana e con lo studio di alcuni importanti ricerche compiute da genetisti e da archeologi occidentali  (2). L’ipotesi formulata all’interno di questo libro è che la nostra antica “bella madre” sia africana e nera, e che essa sia la più remota divinità conosciuta. All’inizio del terzo millennio, gli scienziati nel mondo si sono trovati d’accordo nell’affermare che l’Africa è la “culla dei primi esseri viventi definiti Homo dai paleo-antropologi” e che l’Africa è il luogo di origine dell’homo sapiens sapiens. Durante l’età paleolitica, i segni della presenza del culto della antica madre erano il rosso ocra (che simboleggia sia la nascita che il sangue mestruale) e la V pubica, riprodotti all’interno delle caverne africane  (3). Dopo il 50.000 a.C., i migranti africani portarono questi simboli in tutti i continenti, segni che, oggi, si possono osservare in tutte le caverne e su moltissime rocce sparse nel mondo.
Questo studio costituisce una ricerca interdisciplinare e multiculturale sull’origine africana della madre nera e sulla persistenza del sua memoria nell’epoca attuale. La prima parte presenta le scoperte contemporanee compiute da genetisti e da archeologi. Il resto del libro documenta – secondo la mia ricerca e quella di altri storici – la persistenza della devozione nei confronti dell’antica madre e dei valori a lei associati: giustizia, compassione, eguaglianza e trasformazione.
La credenza circa l’origine africana della nascita della civiltà del mondo - una civiltà incentrata sulla madre nera - era radicata nel mondo antico, almeno fino ai primi secoli dell’epoca moderna, allorché le autorità clericali e secolari distrussero le sue immagini e tentarono di sopprimerne la memoria. A dispetto di questa precisa volontà, il suo ricordo e i suoi valori sopravvivono in tutti i riti delle culture subalterne del mondo.
Nel XX secolo il ricordo della madre nera è emerso in numerosi scritti africani e nei lavori degli studiosi di cultura africana, nelle ricerche degli scienziati occidentali e nei movimenti delle donne di tutto il mondo, soprattutto all’interno di quella corrente che nel tempo si è molto diffusa, ed è rintracciabile come spiritualità delle donne.
Nel 1980, Cheikh Anta Diop  (4)  tenta di avvalorare, nei suoi scritti, l’antica credenza sulle origini africane della civiltà. Questo lavoro costituisce un primo passo, ma risulta determinante il contributo di numerosi scrittori africani, afro-americani ed asiatici; in particolare, le ricerche di W.E.B. DuBois, il primo e Asa Hilliard, Molefi Asante, Robert Thompson, Ivan Van Sertima, Runoko Rashidi, Danita Redd, Henry Louis Gates, e recentemente Cornel West. Il ricordo di una antica madre ha ispirato la scrittura di alcune donne afro-americane come, Audrey Lorde, Alice Walker, Toni Morrison e bell hooks. Il contributo di Luisah Teish è stato determinante nel rievocare l’incanto, i riti e le celebrazioni delle stagioni della civiltà africana, così come la natura connotata di genere della conoscenza africana, (5) un tema importante nel contemporaneo rifiorire della scuola di pensiero lesbico e gay.
Due donne afro-americane che hanno avuto un ruolo fondamentale nel recupero della verità sull’origine africana della civiltà dell’universo sono: Drusilla Dunjee Houston e Matomah Alesha. I loro lavori recuperano le tradizioni orali e la storia non scritta, tradizioni che acquistano valore allorché vengono integrate, così come è stato fatto da Houston e da Alesha, con altre forme di conoscenza. Nel 1926, Houston scrisse Wonderful Ethiopians of the Ancient Cushite Empire, un’analisi che oggi è confermata dagli scienziati: la rilevanza geografica della antica civiltà africana. Nel febbraio 2001, nel periodo in cui questo libro stava per essere pubblicato negli Stati Uniti, Mara Keller mi riferì della pubblicazione del libro di Matomah Alesha, The First Book of the Black Goddess. Basato sulle tradizioni africane orali, i racconti non scritti e su altre forme di conoscenza, il libro di Alesha tenta di fornire una visione d’insieme.
In quest’ottica complessiva, sia il mio libro che quello di Matomah Alesha – e centinaia di altri studi analoghi già compiuti, che si basano sulle origini e sulle diaspore africane – possono essere considerati complementari. Matomah Alesha approfondisce le tradizioni africane orali e non scritte che tuttora sopravvivono. Io sono una italo-americana che cerca di preservare le sue origini siciliane, un percorso che mi ha condotta attraverso una spirale, in Africa.  (6) Il mio obiettivo primario è quello di infondere, in coloro che leggono, il desiderio di scoprire quali sono le proprie origini e le proprie diaspore che, nell’ipotesi formulata in questo libro, condurranno senz’altro in Africa. Il corollario di questa ipotesi è che tutti gli esseri umani abbiano memoria (spesso inconsapevole) della madre nera e dei suoi valori.
Nella primavera del 1988 mi trovavo in un’accademia americana a Roma, quando pensai di recarmi in Sicilia per partecipare ai rituali della settimana santa. Presi gli strumenti del mestiere: block-notes, macchina fotografica e registratore, e andai a Trapani, dove durante il giovedì santo potei partecipare alla processione della madonna nera. E qui ebbi l’illuminazione.
La zona di Trapani è considerata “la costa africana” della Sicilia occidentale, per via della sua particolare posizione geografica. Lì sentii i miei sensi ribollire. Come lo scirocco, il vento caldo che si alza dal deserto e che al suo passaggio trasforma il paesaggio, mi sentii trasformata, la danza a spirale della processione della madonna nera mi ipnotizzò. Guardandomi attorno notai che la maggior parte dei partecipanti alla processione erano in lacrime … e che anch’io piangevo insieme a loro. Ripensandoci, questa esperienza mi evoca una memoria corporea travolgente dell’antica madre nera africana. Quando tornai a Roma, sognai mia madre come se fosse stata una madonna nera – e il giorno dopo mi informarono che stava morendo. Un anno e mezzo dopo, scrissi Black Madonnas. Quei momenti trascorsi sulla costa africana della Sicilia, e il sogno di mia madre come una madonna nera, hanno da allora motivato la mia ricerca, hanno segnato la mia formazione intellettuale in campo storico e dimostrato, in qualche modo, quello che stiamo cominciando a ravvisare solo recentemente, cioè che esistono innumerevoli strade che portano verso la conoscenza.
Nel suo studio dalla preistoria alla conquista di Canaan, del 1963, Emmanuel Anati, un archeologo italiano e, oggi, esperto autorevole di graffiti, affermò che la religione più antica di nostra conoscenza è incentrata sul culto di una divinità femminile. “Una religione che si è evoluta in tutte le sue credenze, ruoli e riti convenzionali, apparsi per la prima volta trentamila anni fa, come è confermato dalle ripetute scoperte di effigi della grande madre e dai reperti artistici delle chiese rupestri.” (7) Nel suo libro del 1995 sull’arte dei graffiti sulle rocce nel mondo, Anati concluse, “tutti noi discendiamo da questa comune antenata.” (8)
Nel 1970 e nel 1980, Marija Gimbutas, un’archeologa americana di origine lituana, raccolse prove archeologiche e mitologiche circa il genere femminile della prima divinità del vecchio continente europeo.  (9) Nel tentativo affannoso di denigrare il femminismo degli anni ’70, ’80, e ’90, il lavoro di Gimbutas non venne accolto degnamente nel mondo accademico maschile, ma allo stesso tempo creò un importante precedente per le studiose che intrapresero successivamente le ricerche, alcune delle quali lo fecero in campo accademico nell’ambito degli studi sulla spiritualità delle donne.  (10) Nel 1993, Elinor Gadon, storica dell’arte e studiosa di divinità hindu, diede vita al programma di spiritualità delle donne all’istituto californiano Integral Studies di San Francisco.
Nel 1995, in seguito ad una conferenza tra donne africane, asiatiche ed occidentali, il Journal of African Civilization sostenne che, “l’umanità ebbe origine in Africa e gli africani furono i primi abitanti della terra.” In seguito, “l’importanza della civiltà sumera può essere attribuita all’arrivo degli immigrati neri dalla Valle del Nilo.”  (11) Quello stesso anno, Ivan Sertina e Runoko Rashidi, nel loro libro sulla prima presenza africana in Asia, conclusero che nei primi studi sulle origini africane, oggi confermati dai genetisti, le antiche culture africane erano caratterizzate dal matriarcato; la conferma viene dalla verifica del DNA delle popolazioni migranti africane in tutti i continenti. Questa tesi era supportata dall’evidente presenza africana nel sud-est asiatico, sulle coste orientali del Mar Nero e dalla presenza etiope nella civiltà della Valle Indù. (12) In occidente, gli scellerati conflitti accademici e culturali dell’ultimo quarto del secolo costituiscono, presumibilmente, una sorta di estrema difesa allo scopo di preservare il paradigma dominante sulla supremazia maschile bianca, dai gruppi etnici che lo mettevano in discussione.
Le donne ricercatrici non si sono rese conto che gli scienziati di genere maschile stavano provando la presenza, nella preistoria, di una divinità femminile più antica del dio uomo. La riluttanza di alcune studiose nel riconoscere che la prima divinità femminile fosse africana e nera, probabilmente, può essere attribuita al sessismo e al razzismo presenti all’interno delle istituzioni occidentali, così come all’influenza dell’ormai screditata teoria multiregionale sulle origini uman. (13)
L’origine africana della grande madre della preistoria era ben chiara a Cheikh Anta Diop. Nel suo studio del 1981, Civilization or Barbarism. An Authentic Anthropology, l’accademica senegalese accostò una foto attuale di una donna sud-africana all’immagine di una dea degli antichi popoli africani migrati in Europa, trovata su un sentiero datato intorno al 25.000 a.C.. La somiglianza era davvero impressionante. (14) Nel 2001, numerosi studiosi a livello internazionale hanno dovuto constatare l’esistenza di una divinità femminile nella preistoria e nella storia – sommandosi così ad una moltitudine di ricercatori e non che trovano la teoria più che plausibile. L’ipotesi di una divinità femminile preistorica ha generato nuovi filoni di pensiero, stimolando nuovi interrogativi; pertanto, a buon ragione può essere considerata la più fruttuosa tesi di ricerca dei nostri tempi.
Questa tesi può diventare una metafora unificante per tutti gli esseri umani del nostro mondo, così afflitto.
Nel sud e nell’est del mondo, l’immagine di una donna nera che viene venerata, anche se con nomi diversi, è molto comune. Ciò che è nuovo (15) è l’interesse attuale delle studiose verso questa tematica; per buona parte si tratta di donne occidentali che hanno vissuto all’interno una cultura dominante di tipo rigidamente patriarcale, dove il matriarcato è assente da lungo tempo. Le donne del nord e dell’ovest del mondo investite dalle implicazioni derivanti dalla presenza di una divinità femminile, la cui civiltà precedette le religioni patriarcali del mondo, pongono delle domande che non sono nuove alle donne del sud e dell’est del globo. L’argomento meriterebbe un monumento. Le donne meridionali ed orientali sono indignate dal fatto che le donne occidentali e settentrionali “scoprono” solo adesso questa tematica, dando così scarsa importanza a ciò che esse considerano scienza del quotidiano.
L’interesse verso la divinità femminile – che la “new age” ed altre teorie chiamano “dea”, che le accademiche del terzo mondo chiamano “madre” e che io chiamo “dark mother” – è particolarmente forte nell’area di San Francisco. Ciò non per spiegare l’interesse verso questo soggetto in tutto il mondo, ma per offrirlo come caso specifico. Sulla costa occidentale degli Stati Uniti, tra le studiose di preistoria orientate verso una prospettiva femminista, ricordiamo Joan Marler, Marija Gimbutas, Betty Meador, accademica jungiana e terapista che ha pubblicato uno studio su Inanna di Sumer, China Galland, che ha compiuto uno studio popolare di Tara e delle madonne nere. La collana Serpentina creata da Dianne Jenett e da Judith Grahn riunisce le ricercatrici accademiche, così come fa la collana Lilith, ideata da Deborah Grenn-Scott, e i libri di Vicki Noble, Starhawk, Z.Budapest, e altre. Elinor Gadon ha integrato la sua vasta lettura Once and Future Goddess con delle ricerche sulla dea Hindu, e uno studio sul maschio sacro.
Il mio studio indipendente, iniziato alla fine degli anni sessanta sulle tracce delle mie nonne siciliane, è poi divenuto un viaggio nel corso del quale ho incontrato alcune femministe italiane, e su di loro ho scritto un libro. In seguito, l’esperienza maturata sulla costa africana della Sicilia, mi ha portato a scrivere un libro sulle madonne nere. All’inizio del terzo millennio, ho inviato questo libro, Dark Mother, all’editrice sapendo che le domande che mi avrebbe posto sarebbero state infinite. La mia ricerca insieme a quelle di altre studiose, mi sembra che vadano a creare un flusso sotterraneo di saggezza sommersa che sta rapidamente venendo a galla in tutto il mondo. La natura di questo fenomeno sfida le definizioni precedenti, ma i suoi contorni possono essere ritrovati nelle tesi di dottorato di ricerca sulla spiritualità delle donne. Alcune di queste tesi che indirizzai al gruppo di studio di Elinor Gadon al California Institute of Integral Studies fanno riferimento agli studi di Valerie Kack Brice condotta sui dolmen e i menir, circa la venerazione di Santa Anna in Brittany e le donne anziane; Margareth Grove fa riferimento ai motivi di genere tracciati nei graffiti aborigeni australiani; Miri Haruach cita l’antico regno femminile africano e il contemporaneo rilievo dato alla Regina di Saba; Dianne Jenett richiama i riti mestruali Pongala di Kerala, nell’India meridionale; Judith Grahan fa riferimento alla teoria metaforica ed ai riti mestruali di Kerala; Holly Reed disserta sulle implicazioni psicologiche della discendenza di Inanna; Katarzyna Rolzinski approfondisce il rapporto madre-figlia e in particolare le cure che le figlie prestano alle madri moribonde; Michele Radford fa riferimento al misticismo Hindu; Tricia Grame incentra il suo lavoro sulla biografia spirituale insita nelle sue sculture e nei suoi quadri, Jennifer Colby riprende Tonantzin/Guadalupe e l’arte della trasformazione. Alcune tesi di dottorato, attualmente in corso, includono Jean Demas su Pele delle Hawaii, la costituzione degli Stati Uniti e i diritti di proprietà; Louise Parè individua nel movimento di liberazione del corpo la pratica di trasformazione spirituale; Leah Taylor parte dalle sue origini ebraiche e dalla sua particolare biografia spirituale per spiegare le rappresentazioni artistiche che realizza; e Jan Marijace ha presentato una iniziativa su “end poverty now” su Internet.
Dal 1999 insegno presso il California Institute of Integral Studies, dove mi occupo di un programma di studi sulla spiritualità delle donne, diretto da Mara Keller, la quale ha pubblicato un importante e poetico lavoro sui grandi misteri di Demetra e Persefone ed, inoltre, ha progettato un corso di studi post-laurea. Questo programma include il contributo di Arisika Razak, che insegna ai suoi studenti la tradizione orale americana, l’antica saggezza delle levatrici e la saggezza corporea della danza nelle sacre arti femminili, le visioni integrali, e la spiritualità delle donne ai giorni nostri. Il mio programma riguarda, invece, le ricerche compiute sulla madre nera, le teorie e le metodologie sulle varie forme di conoscenza ed in particolare prendo in esame il caso della Sicilia e dello sviluppo delle culture subalterne che venerano la madre nera; analizzo la madre nera come tematica emergente all’interno delle differenti culture, nonché come simbolo di trasformazione nel terzo millennio. In questo programma di studi è previsto anche il contributo di Joan Marler, erede di Marija Gimbutas, che fornisce un taglio archeologico e mitologico al tempo stesso. Eahr Joan ha creato Regenis, un’enciclopedia multimediale dedicata ai miti ed ai simboli delle donne; Charlene Spretnak insegna storia moderna ed eco-femminismo; nelle classi di antropologia di Angana Chatterji si studiano le implicazioni post-coloniali e culturali nel campo della giustizia sociale ed ambientale; Rina Sircar insegna la trasformazione spirituale nella psicologia buddista; Tanya Wilkinson, insegna psicologia delle donne; e Jennifer Berezan insegna liturgia sacra delle donne. I seminari del CIIS, organizzati all’interno del corso di studi sulla spiritualità delle donne, sono tenuti da famose scrittrici, pittrici, letterate, come Alice Walker, Mayumi Oda, Riane Eisler, Susan Griffin, e Elinor Gadon.
Nel 2001, suggerivo di estendere, anche all’interno di altri corsi, lo studio della spiritualità delle donne; per esempio, pensai di chiedere la collaborazione di Angeleen Campra per presentare la “permanenza nel tempo” di Sophia; Susan Carter avrebbe potuto trattare la dea giapponese del sole Amaterasu ed avremmo potuto coinvolgere Donna Erickson per presentare, all’interno della storia, la recente rivalutazione della guarigione per mezzo della trance; Jayne DeMente avrebbe potuto offrire il suo contributo all’interno del corso di genere e differenza, con l’approfondimento di Marguerite Rigoglioso sul mito di Demetra e Proserpina sul Lago di Pergusa in Sicilia; Gail Williams avrebbe potuto raccontare del suo viaggio spirituale e della sua arte di trasformazione; Chandra Alexandre avrebbe potuto approfondire il tema di Kali e delle Madonne Nere, e Deborah Grenn-Scott sui lemba, la tribù africana che mantiene le tradizioni giudaiche.
Nel programma relativo alla spiritualità delle donne al New College di San Francisco, Judith Grahn, Ani Mander, Dianne Jenett, Ellinor Gadon, Margaret Grove e altre insegnano archeomitologia, arte, poesia, teoria della metamorfosi, ecc.
Dianne Jennett, nell’università di Sonoma, insegna, durante i week-end, la spiritualità delle donne. In queste scuole, così come al CIIS, le afro-americane e le altre ricercatrici riescono a far emergere su questa tematica una doppia consapevolezza (etnica e spirituale), per es. Ida Dunson documenta il razzismo sotto forma di censura praticato dagli Stati Uniti, e riporta alcune testimonianze sulla spiritualità delle donne afro-americane. La consapevolezza culturale nata dalla conoscenza della preistoria, attraverso le donne afro-americane, si è diffusa in altri gruppi etnici. Questa doppia consapevolezza, un concetto precedentemente articolato da W.E.B. Du Bois, è evidente all’interno dei lavori contemporanei di molte studiose, che, nelle loro ricerche sulla spiritualità delle donne, utilizzano una prospettiva culturale, così come lo sviluppo di una coscienza alimentata da diverse forme di conoscenza. Prendendo in esame il gruppo etnico italo-americano, della mia ricerca, posso affermare che nella poesia della Beat generation di Diane Di Prima, e nella collana La Loba era presente una doppia consapevolezza, spirituale ed etnica; mentre una tripla coscienza può essere ravvisata, oggi, negli scritti di Rose Romano, poeta e narratrice, alla ricerca delle sue antenate in Africa, delle sue nonne in Sicilia e di sua madre in America. Una coscienza dalle molteplici sfaccettature è evidente nella ricerca di Marguerite Rigoglioso, che ha preso parte ad alcuni scavi archeologici in Sicilia e che ha scritto una tesi M.A. al CIIS sul Lago Pergusa ad Enna, in Sicilia, stabilendo delle correlazioni tra il mondo della mitologia ed alcune questioni ambientaliste contemporanee. Da evidenziare, anche, il poema epico di Lousia Calio, relativo ad un suo viaggio, nel quale scopre le “acque delle origini” di tutti gli esseri umani nel continente africano. La madre nera ispira le opere di Chickie Farella, la poesia di Giovanna Capone, la fotografia e la scrittura di Francesca Roccaforte, la performance di Diane Marto e la biografia sulla madre italo-americana, di origine siciliana, di Joie Mellenbruch. Una doppia consapevolezza sull’eredità africana e siciliana ha guidato Patrizia Tavormina nel cambiare il suo nome in Nzula Angelina Ciatu. Non relegata ai margini a causa del suo genere, la madre nera ha ispirato le opere di Tommi Avicolli Mecca, la pittura e la poesia di Gian Banchero, la poesia e la scuola di pensiero di Justin Vitello, e le memorie di Louis Chiavola. Louisa Calio afferma che lo studio della spiritualità delle donne ha suscitato una profonda conoscenza del mantra delle scienze sociali legato alla razza, al genere, alla cultura: “Quando l’amore richiama dentro di sé un tempo remoto, un luogo del passato, un genere o una razza, allora noi riusciamo di nuovo a scorgere il nostro vero io.”  (16) Abbiamo imparato a studiare la spiritualità delle donne non attraverso principi astratti, ma utilizzando categorie sociali come classe, età, religione, razza, genere e cultura. In questo modo siamo arrivate a una comprensione più profonda del concetto di razza, inteso come razza umana, tenendo bene in mente l’enorme importanza della differenza, in termini di esperienza “razziale”, di genere e di cultura, così come si sono stratificati nel tempo e nello spazio, facendo riferimento sia allo studio delle culture subalterne che a quelle dominanti. Siamo giunte alla conclusione che la classe assume forme diverse, che l’età ed il gruppo generazionale guidano le esperienze, che le credenze, incluse quelle non consapevoli, sono centrali per la comprensione del proprio io, degli altri, della propria cultura e di quelle altrui, e tutte operano per un mondo migliore. I percorsi individuali, talvolta inaspettatamente, portano con sé una più vasta implicazione. Elaine Soto, artista e teologa  (17) che ha offerto i suoi dipinti sulla madonna nera per illustrare questo libro, ha cercato a Puerto Rico la madonna nera con il suo nome; attualmente, dipinge le varie divinità nere sparse nel mondo. Io ho scritto un saggio sulle madonne nere in Italia, poi sono stata attratta dalle loro origini africane ed in seguito dalla ricerca che è divenuta argomento di questo libro: gli immigrati africani preistorici portarono i segni della loro venerazione della madre nera in tutti i continenti. Questa credenza è possibile rinvenirla nell’arte, nel folklore e nelle speranze politiche delle culture subalterne del mondo… e forse nella memoria inconscia di tutti gli esseri umani. Lydia Ruyle trova divinità nere dappertutto, riproduce le loro immagini su bandiere, e le diffonde in tutto il mondo per un pubblico entusiasta.
La spiritualità delle donne, un terreno di studio dalle radici antichissime, sta mutando di fatto, il nostro modo di vedere il mondo. Karen Smith, formatasi sulla spiritualità delle donne al California Institute of Integral Studies, ha scritto una tesi di dottorato, al Graduate Theological Union di Berkeley, sulle origini pagane del culto di Santa Margherita. In Italia vengo definita teologa per il lavoro di ricerca compiuto sulle tracce della madre africana nera dalla preistoria alla storia, fino ai giorni nostri.  (18) All’inizio del terzo millennio, la violenza può avere offuscato la nostra visione del mondo, ma io sono contenta che donne ed uomini, appartenenti a differenti gruppi culturali, abbiano intrapreso il medesimo viaggio.  (19) Stewart Brand, il leader di uno dei movimenti sorti nel 1960, ci esorta a pensare, così come fanno molte delle studiose che si occupano delle spiritualità delle donne, circa la prospettiva di un presente ampio che abbraccia simultaneamente la preistoria, la storia, il presente e la responsabilità del futuro. (20)
Prima della suddivisione all’interno di categorie maschili, femminili, gruppi etnici ed altri ambiti accademici, degli anni ‘70, ‘80 e ‘90, come affermato in precedenza, Emmanuel Anati, archeologo italiano (il cui nome ricorda curiosamente la dea canaanita Anat), aveva rinvenuto la prova archeologica circa la più antica divinità femminile di nostra conoscenza. Nel 1980 e nel 1990, il genetista italo/americano Luca Cavalli-Sforza, insieme ad altri colleghi a livello internazionale, studiando il DNA di differenti popolazioni nel mondo, confermò l’origine africana, sub-sahariana del
moderno genere umano. Le diverse “Eve” africane e le migrazioni africane dell’homo sapiens sapiens in tutti i continenti avvenne dopo il 50.000 a.C. (21)

N° 1.

Parallelamente, all’interno dell’archivio sui graffiti nel mondo, il Centro Camuno di Studi Preistorici al Capo di Ponte, in Italia, Anati confermava le scoperte fatte da Cavalli-Sforza e documentava l’esistenza di un gran numero di graffiti preistorici tutti rinvenuti nell’Africa sub-sahariana, proprio laddove gli umani hanno avuto origine. Questi ultimi sono tra i siti più ricchi del mondo. Le scoperte scientifiche di Anati convergono con quelle delle studiose accademiche che si occupano di spiritualità delle donne, secondo le quali il colore rosso ocra simboleggia il culto di della dea. Anati, junghiano, definisce il colore rosso ocra come “la più antica prova della creazione artistica del mondo.” (22) I centri di culto dei popoli tribali, per Anati, non sono edifici monumentali costruiti da governi autocratici, come l’acropoli di Atene e le piramidi di Egitto, ma rocce dipinte rinvenute nell’Africa centrale e meridionale, caratterizzate dalla predominanza del colore rosso porpora, e segnate da spirali, linee rette o ondeggiate, petali, e cerchi concentrici in sequenza  (23) – segni, secondo Marija Gimbutas, della presenza di una divinità femminile nella preistoria. Sostenendo il concetto degli archetipi, Anati puntualizza che l’arte primordiale ha “pressoché le medesime caratteristiche in tutto il mondo”, in questo senso, conferma implicitamente la teoria del genetista Cavalli-Sforza sulle migrazioni endemiche: i popoli durante le loro migrazioni portavano con sé credenze e costumi. (24) Il confine tra religione ed arte, per Anati, non è così evidente. Secondo le sue ricerche, l’arte creativa nelle caverne e sulle rocce, iniziò circa 40.000 anni fa nell’Africa centrale e meridionale, in seguito si diffuse in altre zone dell’Africa; 35.000 anni fa migrò dall’Africa verso l’Asia; 34.000 anni fa, dall’Africa si estese all’Europa; 22.000 anni fa dall’Asia si diffuse nelle Americhe (il disegno più antico si trova in Brasile); e 22.000 anni fa dall’Asia giunse in Australia. Queste date corrispondono a quelle delle migrazioni africane nel mondo, confermate dalla testimonianza del DNA (vedi cartina). L’arte primordiale ha differenti modalità espressive, ma la “matrice comune”, per Anati, è l’Africa. (25) L’importanza della venerazione di una figura femminile, nel folklore della vecchia Europa, fu scoperta nel 1980 da Marija Gimbutas, in un lavoro interdisciplinare tra archeologia e mitologia, un campo di ricerca da lei chiamato archeomitologia. Carlo Ginzburg ci ha confermato la centralità femminile nel folklore in tutto il mondo. Il mio lavoro, e quello di tutte le altre, relativo alle numerose immagini delle madonne nere, mette in evidenza la centralità di una figura femminile nera nel folklore europeo, e converge con le ricerche compiute da altre donne sulle madonne nere e su altre divinità femminili nere dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa, dell’America settentrionale e meridionale e dell’Oceania. (26)  Il sapere di queste studiose e quello di altre costituisce il tema di questo libro. La tesi è che i simboli preistorici legati al culto della madre nera africana siano stati diffusi nel mondo dai popoli migranti africani, in seguito dagli agricoltori migranti dall’Asia occidentale e, nell’antichità, dai commercianti canaaniti. Anticamente, la memoria veniva trasmessa attraverso la storia orale, nei rituali associati alle icone delle madonne nere e di altre divinità femminili nere. Come avremo modo di vedere, la storia è piuttosto complessa ed i vari filoni si intrecciano. Simili ad una melodia polifonica, ritmi brevi ripetuti, appartenenti alle diverse culture ed in sottofondo un suono con una prevalenza di bassi, in cui la musica principale riporta la memoria di ognuno di noi alla madre nera africana. In questo studio, la memoria della madonna nera è esplorata nei rituali quotidiani e nelle feste degli “altri”, i neri dell’Europa e degli Stati Uniti - le donne, gli ebrei, i musulmani, gli eretici, le streghe - nelle canzoni, nelle storie, nei cibi, nei canti dei venditori, nella letteratura, nell’arte e nei graffiti moderni, sugli adesivi per paraurti, nelle esclamazioni e sulle bandiere. Alla fine degli anni ’60, dando vita all’attuale fase femminista, le donne di tutto il mondo utilizzarono il gesto delle mani a forma di V pubica, recuperando così i valori antichi della madre, e della sua opera di giustizia, eguaglianza, e rispetto per la terra e per tutte le sue creature. (27)  In questo terzo millennio, da luoghi differenti, e da differenti campi del sapere - con diversi contenuti - gli accademici, donne ed uomini, potrebbero convergere verso una comune consapevolezza, un consenso che probabilmente già esiste nelle inespresse conoscenze dei popoli della terra. Noam Chomsky, un’autorità in semiotica, sostiene che “il bagaglio genetico costituisce ciò che ‘ricordiamo da un’esperienza antecedente alla nostra esistenza”. (28)
Questo libro intende riunire la documentazione scientifica sulle origini africane della madre nera, collegandole alle prove emerse attraverso la storia e la cultura. Questo tentativo si basa sull’ipotesi che la memoria della madre nera ed i suoi valori siano persistiti per millenni, non solo tra le donne ma anche tra gli uomini - una memoria che ha funzionato come una sorta di risacca sovversiva per più di 2.000 anni di violenta civilizzazione occidentale.
Oggi la sua memoria può essere considerata una metafora della guarigione, così come una metafora del divenire. L’energia insita nel DNA, che ereditiamo dalla nostre madri, ha la forma di due serpenti, o di una doppia spirale che Cavalli-Sforza chiama “simbolo dell’evoluzione dell’universo (…) le illimitate possibilità del divenire.” (29) La caduca spirale, simbolo della guarigione e del divenire, può essere considerata un simbolo di questo libro.
Consapevole della parzialità dell’intera conoscenza, mi sono affidata alle fonti della scienza e della storia culturale, allo scopo di analizzare e di ponderare i due saperi. Sia la scienza che la cultura storica confermano le origini africane e la permanenza della memoria della madre nera. All’interno di questa antica/nuova conoscenza includo la mia storia personale - la formazione di una donna americana dalle origini siciliane. Nel 1960, avevo completato gli studi per il dottorato di ricerca in storia americana ed europea, ed ero completamente immersa in quel decennio di appassionato attivismo anti-razzista ed anti-imperialista. Nel 1969, consapevole del fatto di essere stata educata lontana dal luogo delle mie origini, andai in Italia, in cerca delle mie nonne siciliane. Durante la prima parte del viaggio, incontrai alcune femministe italiane, la cui storia mi era pressoché sconosciuta. Motivata ad andare oltre la mia formazione di storica, che basava la ricerca solo sui documenti scritti da uomini che supportano la cultura patriarcale dominante, mi imbarcai, in compagnia di una generazione di studiose, nel viaggio verso il recupero della memoria storica delle donne, che di fatto non è documentata. Il mio femminismo è vicino al womanism articolato da Alice Walker e da altre donne afro-americane, (30) che legano le questioni delle donne alle questioni di tutte le “altre” donne subalterne, le cui storie sono state lasciate fuori dalle storie dominanti. Questa può essere considerata una storia vernacolare; vernaculus, in latino, significa schiavo. (31) Le storiche ritengono che la storia vernacolare debba scavare nelle culture delle donne subordinate, e negate in tutto il mondo. Antonio Gramsci, il principale teorico del marxismo in Italia - ed il più grande studioso contemporaneo del terzo mondo - enfatizza la differenza tra le credenze delle culture subalterne (riscontrabili nel folklore) e le credenze della cultura dominante. Il punto di vista di Gramsci mi ha aiutata a capire le culture delle donne ed a comprendere che il mio errare è legato alla riscoperta delle storie sommerse degli uomini, così come delle donne. Mi ha aiutata ad analizzare la storia di quei popoli, che oltre ad essere stati sfruttati economicamente, si sono visti negare la possibilità di trasmettere la loro cultura; la loro storia è stata cancellata dall’élite dei bianchi, secondo una modalità tipica del patriarcato.
Parallelamente, la teologa Karen Smith ci ricorda che la civiltà delle donne è una conoscenza sommersa. E’ “la storia che noi non conosciamo, la civiltà che non ricordiamo, e le tradizioni che non ci sono state trasmesse.” (32) Questa conoscenza sommersa è, secondo Luce Irigaray, (33) espressa nel corpo e richiede attenzione, come ha precisato Simone Weil. (34) Dopo la pubblicazione, nel 1986, del mio libro, “Liberazione della donna. Il femminismo in Italia”, me ne andai in giro per la penisola italiana a cercare le credenze radicate nelle religioni e nei rituali politici, e scoprii che spesso ruotano attorno alla madre nera.
In Italia è chiamata la dea madre, o la madre di dio. Nel tempo, la sua memoria e i suoi valori sono stati trasmessi dalle comari o dalle madrine, donne che avevano dei vincoli che le legavano le une alle altre, aiutavano a far nascere i bambini, se ne prendevano cura così come degli ammalati, dei vecchi, dei moribondi, ed avevano memoria ed immaginavano un mondo migliore. Coltivando la speranza per tutta la vita, le tradizionali nonne/madrine in Italia, e le loro sorelle altrove, sono simili alle contemporanee womanist e alle femministe ambientaliste. Le mie nonne, le comari di Sicilia, e le loro sorelle in altri paesi, resistevano in maniera pacifica ai violenti rituali quotidiani del patriarcato, ridicolizzavano i soprusi durante il carnevale, si incoraggiavano l’un l’altra nelle avversità e ispiravano i loro uomini ed i loro bambini ad operare per una vita migliore - per tutti. Alla fine del 1980, mentre osservavo i riti quotidiani e quelli delle feste in Italia, lessi i libri di Marija Gimbutas. In Italia, le rovine archeologiche delle numerose immagini della nostra antica madre sono spesso situate sotto o vicino ai santuari delle madonne nere. Nell’era comune, questi erano i luoghi in cui venivano rinchiusi gli eretici, in cui venivano perseguitate le streghe, ed in cui si verificavano le sollevazioni popolari dei neri “altri” in cerca di giustizia. Realizzai che le immagini delle madonne nere e delle altre divinità nere, possono essere considerate dei segni di resistenza alla cultura dominante della chiesa e dello stato, così come segni di persistenza dei valori della madre nera - giustizia, compassione ed eguaglianza. (35)
La ricerca delle mie comari e nonne siciliane, mi ha condotto prima in Sicilia, in seguito in Africa e poi in Asia occidentale, dove nel 40.000 a.C. i migranti africani crearono il “più vecchio santuario del mondo”. In seguito, questo santuario africano divenne il sito del Monte Sinai, il luogo in cui nacque il giudaismo, la cristianità, e l’islam (vedi il capitolo II di questo libro). Sulle strade delle migrazioni degli africani paleolitici, poi sulle vie degli agricoltori neolitici dell’Asia occidentale, e successivamente sulle strade commerciali dei semitici canaaniti, i popoli facevano riferimento ad una divinità nera, per la quale essi costruirono, nell’era comune, santuari di madonne nere (vedi il mio Black Madonnas così come il capitolo IV di questo libro). Tornando al mio caso specifico di questa vasta storia, nei miei luoghi ancestrali della costa africana della Sicilia occidentale e nord-occidentale, e nelle montagne iblee sud-orientali, designate dalla madre nera anatoliana Cibele, i popoli si sono storicamente levati contro le ingiustizie, dai vespri siciliani del XIII secolo ai campi di donne di tutto il mondo a Comiso, nel 1983, quando denunciavano i missili nucleari NATO e dichiaravano la loro visione di un mondo radicalmente democratico e ambientalista. Dal punto di vista metodologico, mi sento più tradizionalista che post-moderna. La lunga ed antica storia della madre nera preistorica, la cui memoria si è mantenuta non all’interno della storia ufficiale dominante, ma nelle tradizioni popolari, nel folkore, a mio avviso, può essere studiata, con metodi tradizionali di ricerca e di stesura della storia, attraverso verifiche empiriche in luoghi e tempi specifici. (36) Ma anche con l’immaginazione connessa alle fonti, (37) con la maturità epistemologica propria del post-modernismo e con la consapevolezza dell’esistenza di tante forme di conoscenza. (38) Scienza e religione sono entrambe miti, disse George Santayana, ma i miti non sono privi di significato. (39) Nella cultura siciliana si raccontano storie più che miti. In questo studio, le scoperte scientifiche, le storie, ed i riti della storia culturale popolare sono stati analizzati attraverso la lente della mia personale biografia, quella di una donna mediterranea, nel caso specifico di una donna americana dalle origini siciliane, i cui antenati, così come gli antenati di ogni essere umano, ebbero origine nel continente africano. Le migrazioni africane sono la trama del mio arazzo genetico, così come lo sono per il tessuto dell’intera umanità. Il quadro genetico è lo sfondo di un modello dei migranti africani, che si incrocia con le trame dei migranti asiatici e dei commercianti dell’Anatolia e dei semiti canaaniti. Attraverso la trasformazione compiuta dagli invasori greci e romani e gli intrecci con la diaspora israeliana, si è realizzata una sorta di trama orizzontale e circolare, ad opera di mori africani/semiti, che si propagarono in Europa, a questo si aggiunsero gli intrecci dei conquistatori nord-europei in Sicilia, che venivano da quei luoghi che furono in seguito chiamati Germania, Scandinavia, Francia, Spagna, Austria e Italia settentrionale. Il punto di vista attuale sul mondo - che probabilmente era già presente nei meandri del mio inconscio - emerse chiaramente negli anni ‘60, durante il movimento per i diritti civili africani e americani e, successivamente, durante quei movimenti di consapevolezza culturale e di genere che coincisero con i movimenti anti-razzisti e anti-imperialisti che caratterizzarono quel decennio. (40) Nelle controversie contemporanee sugli ariani e le origini afro-semitiche del mondo civilizzatore, concordo con quanto è contenuto nella documentazione di Martin Bernal circa le origini africane e levantine dell’alta cultura greca. (41) Ma a queste argomentazioni aggiungo una prospettiva di genere, un punto di vista influenzato da Simone Weil, la quale provava grande ammirazione per i greci, ma considerava “l’Iliade” un importante documento sulla violenza maschile. Nonostante la sua fama, la cultura greca classica riflette la violenza degli oratori indo-europei/ariani, che invasero la Macedonia e la Dalmazia nel millennio precedente l’era comune, mascolinizzarono e distorsero l’immagine della madre nera, torturarono e sfruttarono gli schiavi, sottomisero le donne.
Sebbene la memoria della madre nera pulsasse nei miti, nei rituali, nell’arte e nel dramma della cultura greca (42), quest’ultima a dispetto delle lodi dei teorici occidentali del XIX e del XX secolo, era caratterizzata dalla violenza e dalla subordinazione gerarchica del popolo. Come Martin Bernal ha documentato, la cultura greca classica divenne il riferimento simbolico per la razza ariana, per gli imperialisti europei e gli americani della fine del XIX secolo, per il nazismo, per la supremazia bianca, e per i popoli, spesso sconosciuti, che continuano a praticare il razzismo nella nostra epoca. La Sicilia è il mio punto di riferimento, non solo perché è il luogo delle mie origini, ma perché gli antichi definivano questa isola, che è situata in zona in cui si incrociano le rotte per l’Africa, l’Asia, e l’Europa, come “il centro della terra”. Come altre isole mediterranee, la Sicilia fu raggiunta inizialmente dai migranti africani paleolitici, in seguito dai migranti neolitici dell’Anatolia, e più tardi dai commercianti canaaniti asiatici, e nell’era comune, dai mori africani. Dopo il 4.000 a.C., gli ariani indo-europei, riuniti in seguito all’interno delle élite dominanti greche e romane, portarono la violenza in terra di Sicilia, una violenza che annoverava la schiavitù ed altre forme di oppressione gerarchica. Nell’era comune i siciliani furono sottoposti alla dominazione greca, romana, bizantina ed in seguito, nord-europea, culminante nella condizione miserabile del XIX e XX secolo. La miseria costrinse i siciliani a cercare lavoro nel nord-Europa ed ad emigrare nell’America del nord e del sud, laddove essi conobbero, assieme agli “altri” neri del mondo, il razzismo, lo sfruttamento e la negazione della loro cultura (vedi capitolo VIII).
All’interno di questo lavoro storiografico, basato su dati empirici, ho introdotto le origini africane, le madrine, la memoria e la promessa della nostra antica madre comune. In questa particolare fase della storia del mondo, Noam Chomsky ha puntualizzato che la storia può essere un’estensione narrativa di un tempo in cui ognuno di noi osserva se stesso e gli altri, in un modo diverso. Per Chomsky, esperto di semiotica, il potenziale della trasformazione si trova al centro del linguaggio umano, in quei meccanismi che legano il suono al significato, “una grammatica innata” non solo “universale, ma virtualmente giusta”. (43) Il punto di vista di Chomsky è simile a quello di Gramsci il quale sosteneva che il senso della giustizia (il buon senso) era insito in tutti gli umani, e questo era evidente nelle storie, nei riti quotidiani e nelle feste, e nelle celebrazioni politiche. Le idee di Chomsky e di Gramsci sono vicine a quelle della credenza jungiana di Emmanuel Anati, il quale sostiene che la mitologia è una sorta di specchio della nostra memoria collettiva, una memoria che è stata “sorprendentemente” preservata dall’arte preistorica dei graffiti all’arte della rinascita di Giotto, fino al genio di Joan Miro e di Marc Chagall (44) nel XX secolo. Questo libro tenta di ricostruire attraverso una struttura a spirale la storia – per questo prima di proseguire dobbiamo compiere un salto all’indietro. Ho iniziato a parlare della madre nera africana, canaanita, siciliana, maltese, e successivamente prenderò in esame Santa Lucia, le madonne nere europee, le mie madrine/nonne siciliane che, insieme a tanti “altri” neri d’Europa avevano il culto della madre nera. La storia è raccontata secondo una prospettiva comparativa seguendo l’emigrazione dei miei nonni - con la loro fede nella “bedda matri” - negli Stati Uniti dove vennero a contatto con le diverse diramazioni del patriarcato - razzismo, controllo sociale degli altri neri, educazione-americanizzazione. Contestualmente, ho studiato il movimento italiano delle donne, le alleanze femminili con gli uomini e gli studenti pacifisti, come esempio contemporaneo della presenza viva dei valori dell’antica madre. La possibilità di sopravvivenza del mondo è rinvenibile nella vibrante memoria della madre nera, emersa durante la conferenza delle donne a Pechino nel 1995, e nei contemporanei segni della trasformazione.
Io sono grata, soprattutto, alle mie madrine, alle nonne siciliane che hanno mantenuto la memoria e la visione della madre nera ed ai miei nonni siciliani, che appresero i valori della giustizia e dell’uguaglianza dalle storie che le madri gli avevano raccontato. Allo stesso modo, sono in debito con le studiose womaniste/femministe, con i teorici e gli scienziati che implicitamente hanno mantenuto il valore del potere di trasformazione della nostra madre più remota. Tra i vari teorici, colui al quale sono maggiormente debitrice è Antonio Gramsci, e ad altri studiosi che hanno utilizzato una visione dinamica della storia - soprattutto il grande filosofo napoletano Giambattista Vico. In La Scienza Nuova, (1744) Vico affermò che la città di dio è fatta da dio, ma che gli umani fanno la società, che gli umani costruiranno delle buone società solo se terranno conto della “comune saggezza”, o delle credenze popolari che trasmettono la “saggezza poetica” dei nostri antenati più remoti. Questo libro può essere considerato un tentativo di rintracciare questa antica saggezza poetica - espressa nella scienza, nelle credenze popolari, ed in molte altre forme di conoscenza - per restituirla a quella generazione che crede in un mondo giusto e semplice.


N° 1. Mappa delle migrazioni umane dall’Africa tra il 100.000 a.C. e il 60.000 a.C verso gli altri continenti della terra. Da Luigi Luca Cavalli-Sforza, Francesco Cavalli Sforza, La grande diaspora umana. La storia della diversità e dell’evoluzione.

Note

1. Vedi note sullo stile.

2. La prima parte del prologo è una versione ridotta della mia relazione redatta in occasione del XVYI Simposio Valcamonica Internazionale degli Archeologi, “Prehistoric and tribal art. Deciphering the Image,” Centro Camuno Studi preistorici; Icomos International Committee on Rock Art, Darfo Boario Terme, Italia, 21-26 settembre, 1999, una relazione che ha preparato il terreno ai capitoli 1 e 2 di questo libro.

3. Vedi gli scritti di Judith Grahn, soprattutto la sua tesi Ph. D., riguardo al significato del colore ocra; vedi gli scritti di Elinor Gadon riguardo al significato della V pubica.

4. I lavori di Cheikh Anta Diop sono i lavori di una scienziata africana condotti in campo medico che conserva la memoria. Drusilla Dunjee Houston, nel suo Wonderful Ethiopians of the Ancient Cushite Empire, pubblicato inizialmente nel 1926, aveva il ricordo delle origini africane della civiltà del mondo e rafforzava questa memoria attraverso un’ampia ricerca. (Baltimora, Maryland, Black Classic Press, 1985). Buona parte della ricerca di Houston è stata in seguito confermata da Cheikh Anta Diop in Civilization or Barbarism. An Authentic Anthropology (Presence Africaine, Paris, 1981, Brooklyn, N. Y., Lawrence Hill Books, 1991). Diop rilevò, prima che le studiose femministe lo facessero, che la più antica divinità che noi conosciamo era una donna africana.

5. Luisah Teish, Jambalaya. The Natural Woman’s Book of Personal Charms and Practical Rituals (San Francisco, HarperCollins, 1985); Carnival of the Spirit. Seasonal Celebrations and Rites of Passage (HarperSan Francisco, 1994).

6. Vedi sopra nota 3.

7. Emmanuel Anati, Palestine before the Hebrews. A History from the Earliest Arrival of Man to the Conquest of Canaan (New York, Alfred A. Knopf, 1963), 38.

8. Anati, Il Museo Immaginario della Preistoria. L’arte Rupestre nel Mondo (Milano, Editoriale jaca Book SpA, 1995) 309.

9. Marija Gimbutas, The Civilization of the Goddess, ed., Joan Marler (HarperSanFrancisco, 1991). Marija Gimbutas, The Language of the Goddess, Foreword, Joseph Campbell (HarperSanFrancisco, 1980).

10. Per uno sguardo maschile eurocentrico vedi gli scritti di Colin Renfrew; cioè, “Archaeology, Genetics and Linguistic Diversity: Towards a New Synthesis,” The Charles M. and Martha Hitchcock Lectures, Università della California, Berkeley, 15 aprile, 1997.

11. Vedi i volumi e i lavori del Journal of African Civilizations, Rutgers University, New Brunswick, New Jersey.

12. Ibid. 25, 30.

13. Monica Sjoo e Barbara Mor hanno rintracciato le origini africane della madre nera in The Great Cosmic Mother. Rediscovering the Religion of the Earth (HarperSanFrancisco, 1987, 1988). Merlin Stone fu la prima a rendersi conto del razzismo e del sessismo che gravitano attorno alle tematiche della dea; vedi When God was a Woman (new York, Harcourt Brace Jovanovich, 1978).

14. Cheikh Anta Diop, Civilization or Barbarism. An Authentic Anthropology. Pubblicato inizialmente da Presence Africaine, Paris, 1981; (Brooklyn, N Y., Lawrence Hill Books, 1991). 48.

15. Non è un’esclusiva. La dottrina di Bachhoven ed altri studiosi maschi del XIX secolo precedettero il lavoro scientifico contemporaneo sulla spiritualità delle donne. Vedi la tesi di Susan Gail Carter su Amaterasu (CIIS, 2001) per una eccellente sintesi di questa letteratura.

16. Louisa Calio, Journey to the Heart Waters (manoscritto inedito, 1999). 71.

17. Teologa è per molte femministe un importante riferimento.

18. Lucia Chiavola Birnbaum, Liberazione della donna. Feminism in Italy (Middletown, Ct., Wesleyan University press, 1986, 1988); Black Madonnas. Feminism, religion, and politics in Italy (Boston, Ma., Northeastern University Press, 1993; Black Madonnas. Femminismo e Politica in Italia (Bari, Italia, Palomar Editrice, 1997; iUniverse reprint edition, 2000).

19. Vedi Randy Conner et al. Cassel’s Encyclopedia of Queer Myth, Symbol, and Spirit. Gay, Lesbian, Bisexual, and Transgender Lore (London, Cassell, 1997). Carolyn McVickar Edwards, Sun Stories (HarperSanFrancisco, 1995). Hey Paesan! Writing of Lesbians and Gay men of Italian Descent, Edito da Giovanna (Janet) Capone, Denise Nico Leto e Tommi Avicolli Mecca (Oakland, Ca., Three Guineas Press, 1999).

20. Stewart Brand, The Clock of the Long Now. Time and Responsability. The ideas behind the world’s slowest computer (New York, Basic Books, 1999).

21. Luca Cavalli-Sforza, et al. History and Geography of Human Genes, (Princeton University Press, 1994). Louise Levathes, “A Genetist Maps Ancient Migrations,” New York Times, Science Times, 27 luglio 1993.

22. Anati, Arte Rupestre. Il linguaggio dei primordi. Vol. XII, Edizione Italiana, 1994 (Edizioni del Centro Camuno di Studi Preistorici, Capo di Ponte (BS) Italia), pp. 23, 59.

23. Anati, Il Museo Immaginario, Loc. Cit., 221.

24. Ibid, 217-18.

25. Ibidem.

26. Carlo Ginzburg, Ecstasies. Deciphering the Witches’Sabbath (Pubblicato originariamente in Italia come Storia Notturna, 1989; New York, Penguin Books, 1991).

27. Lucia C. Birnbaum, Liberazione della donna. Feminism in Italy (Wesleyan University Press, 1986, 1988). Noam Chomsky, Class Welfare. Interviews with David Barsamian (Monroe, Maine, Common Courage Press, 1996). 2.

28. Noam Chomsky, Class Warfare. Loc. Cit., 2.

29. L. Luca Cavalli-Sforza, History and Geography of Human Genes. Loc. Cit.

30. Alice Walker, In Search of our Mother’s Gardens (New York, Harcourt, Brace Jovanovich, 1983).

31. Karen Smith, “Neither Here nor There. The Epistemology of the InBetween,” relazione inedita, 1996.

32. Ibidem.

33. Una buona presentazione di Irigaray è possibile trovarla in Irigaray Reader, edita con una introduzione di Margaret Whitford (Cambridge, ma., basil Blackwell Ltd., 1991).

34. Vedi Lucia Chiavola Birnbaum, “Simone Weil and Transformation in Italy,” Conferenza su Simone Weil, Graduate Theological Union, Berkeley, California, 27 aprile, 1996.

35. Vedi Birnbaum, Black madonnas, loc. Cit.

36. Vedi Lucia Chiavola Birnbaum, “Marija Gimbutas and the Change of Paradigm,” From the Realm of the Ancestors. An Anthology in Honor of Marija Gimbutas (Manchester, Ct., Knoledge, Ideas & Trends, Inc., 1997).

37. Un eccellente studio assai fantasioso sulle origini è Women’s Work. The First 20,000 Years. Women, Cloth, and Society in Early Times (new York and London, W. W. Norton & Company, 1994.) Ringrazio Yana Womack per avermi dato questo libro.

38. Vedi Charlene Spretnak, The Resurgence of the Real. Body, Nature, and Place in a Hypermodern World (Reading, Ma. Addison Wesley Publishing Company, Inc. 1997).

39. George Santayana, Scepticism and Animal Faith. An Introduction to a System of Philosophy. In Philosophy of Santayana edito da Irwin Edman (New York, Modern Library, 1942).

40. Vedi Elisabeth Schussler Fiorenza, Jesus. Miriam’s Child. Sophia’s Prophet. Issues in feminist Christology (New York, Continuum, 1994).

41. Martin Bernal, Black Athena. The AfroAsiatic Roots of Classical Civilization (New Brunswick, New Jersey, Rutgers University Press). Volume 1 The Fabrication of Ancient Greece 1785-1985, 1987. Volume II The Archaeological and Documentary Evidence, 1991).

42. Robert Bellah ha proposto questa metafora musicale nel suo saggio, “The Five Religions of Modern Italy.” In Varieties of Civil Religion (San Francisco,
Harper & Row, 1980).

43. Noam Chomsky, Class Welfare, Loc. Cit., 2.

44. Vedi il capitolo II di questo libro.