La lettera dinvito per lincontro nazionale di Paestum ci sfida
ad andare al cuore del problema: vivere nella crisi e trovare il modo
per cambiare il sistema.
La rivoluzione è necessaria!
Il femminismo può determinare questo cambiamento?
Le firmatarie della lettera ne sono convinte e anchio ne avverto
tutta lesigenza.
Le piste su cui avviare la discussione e il confronto sono sostanzialmente
tre: partecipazione/rappresentanza, economia/lavoro/cura, corpo/violenza.
Mi concentro sulla seconda, economia, lavoro, cura, poiché
penso che proprio dallintreccio, dalla reciproca relazione e rilevanza
che questi temi hanno, non solo si può cambiare lo sguardo sulla
crisi, ma è anche possibile generare il cambiamento. Per cui ordinerei
i temi in questo modo:
- cura
- lavoro
- economia
Se privilegiamo la cura, di noi stesse, delle relazioni che abbiamo e
del contesto in cui viviamo, allora, ci poniamo in unottica in cui
la ricerca di armonia e non il PIL è al centro del dibattito e
merita, quindi, tutta la nostra attenzione.
La cura del territorio e delle persone che vi abitano richiama non solo
ad un particolare modo di vivere, ma riporta al tema del lavoro.
Non cè, e non ci sarà nei prossimi anni, lavoro per
produrre merci, la nostra è una crisi anche di sovrapproduzione,
mentre di lavoro di cura cè un gran bisogno.
Sappiamo bene che gran parte del lavoro di cura è sulle spalle
delle donne e che non solo non viene retribuito, ma neanche riconosciuto.
La cura dei bambini, degli anziani è sulle nostre spalle, appesantite
peraltro dai tanti tagli sui servizi. Cè bisogno, invece,
di potenziare i servizi alle persone.
Cè bisogno di produrre meno merci che rimangono invendute
sugli scaffali o ingombrano (dopo una breve vita nelle nostre case stracolme)
le strade o le cosiddette isole ecologiche. Cè
bisogno di curare il territorio inquinato e degradato da rifiuti e da
unedilizia invasiva che ha cementificato la nostra penisola.
Cè bisogno di produrre cibo buono che cresca su una terra
rigenerata e pulita.
Cè bisogno di curare il nostro patrimonio culturale e paesaggistico.
Ponendo al centro il tema della cura e del lavoro di cura, è possibile
costruire una buona economia che non produca sfruttamento, disoccupazione,
sovrapproduzione, inquinamento?
La mia risposta è sì, si può fare!
Diversi sociologi ed economisti mi confortano in questa convinzione, a
partire dal moderato Luciano Gallino.
Ma è necessario intrecciare teorie e pratiche politiche, solo così
abbiamo contezza che si può provare a cambiare.
I femminismi hanno sempre sperimentato forti connessioni tra teoria e
pratica politica; anche nella vita ho sempre ricercato questo collegamento
che mi ha consentito di guardare meglio e con maggiori strumenti quello
che stavo facendo insieme alle altre compagne di strada. Inoltre, il fare,
la pratica politica modifica le teorie.
Per questo motivo vorrei raccontarvi una esperienza, ancora in corso,
relativa al parco sociale che stiamo cercando di realizzare nellarea
urbana cosentina.
Questa esperienza locale si inserisce allinterno di un percorso
internazionale che in altre città, aree urbane e metropolitane
si sta sperimentando.
Lesperienza del Parco sociale di Cosenza, vista dal World Urban
Forum che si è tenuto a Napoli i primi di settembre, assume una
connotazione ed una luce diversa. Ecome se, questo percorso, locale
e ancora in progress, dialogasse con modalità assolutamente innovative
con un mondo globale che sui processi di urbanizzazione si interroga da
tempo. La novità non è soltanto la centralità del
tema - gli spazi sociali, il bene comune - ma soprattutto la significatività
del contributo da un punto di vista metodologico e la possibilità
di replicare il percorso compiuto ed inserirlo allinterno di buone
pratiche.
Provo a raccontare come è iniziata questa esperienza che sarà
pubblicata nei prossimi giorni sulla rivista Marea.
Situata al centro della città, larea abbandonata delle
ex officine mostrava tutti i segni del tempo e del degrado. Sede un tempo
delle mitiche officine delle ferrovie della Calabria e della Lucania,
nei diversi capannoni venivano riparate le antiche locomotive che collegavano
valli e monti, nei tortuosi percorsi delle due regioni meridionali.
Un passato glorioso ed un presente di abbandono hanno caratterizzato per
anni quella zona nel cuore della città. Tutto intorno, Cosenza
cambiava, alti palazzi venivano costruiti ai fianchi dellarea delle
ex officine; il vecchio tracciato ferroviario che avrebbe potuto collegare
facilmente larea urbana, veniva dismesso e lasciava spazio ad un
imponente viale parco.
Il viale lungo chilometri, alla morte del sindaco, che lo aveva voluto,
prese il suo nome: Viale Giacomo Mancini. Ma mentre tutto intorno allarea,
il paesaggio cambiava, i volumi del cemento prendevano forma e consistenza,
in quella zona che un tempo era popolata da uomini e da locomotive il
degrado lentamente, ma progressivamente si faceva strada. Tra lerba,
che cresceva alta, si insinuavano polveri pericolose proveniente dai tetti
sconnessi e rovinati dal tempo e dallincuria. Le coperture dei capannoni
delle officine erano stati costruiti quasi interamente in eternit, lamianto
sfibrato per anni ha rilasciato i suoi veleni nel quartiere e nella città.
Le brezze serali che destate regalano un po di frescura alla
città - costruita lungo il fiume Crati e circondata da sette colli
che fermano i venti, insieme alla catena costiera e allaltopiano
silano - portano con sé polveri finissime damianto.
Nonostante questo quadro non proprio confortante, a partire dal 2005 quellarea
abbandonata incomincia lentamente a rianimarsi; miracolosamente, prendono
forma iniziative positive, si mettono in piedi tante attività di
accoglienza e di cura nei confronti di persone in difficoltà.
A volte accade che proprio dal degrado, dallincrocio di occasioni
mancate nasca qualcosa di inaspettato ed imprevisto che rimette tutto
in discussione e rilancia proprio da una situazione di marginalità
conclamata, su cui nessuno avrebbe scommesso.
Certo, quel tracciato ferroviario proprio al centro della città
poteva essere sistemato con un po di manutenzione e riutilizzato
per collegare larea urbana da nord a sud. Senza spendere troppo
denaro pubblico, si sarebbe potuto garantire un eccellente servizio di
trasporto per i cittadini dellarea urbana. Magari, parallelamente
al tracciato ferroviario, in tutta larea pianeggiante si sarebbero
potute predisporre piste ciclabili che insieme alla metropolitana leggera
avrebbero dimezzato il traffico cittadino. Ma quello che sembra naturale,
e soprattutto di facile realizzazione, senza costi eccessivi, per gran
parte delle pubbliche amministrazioni e degli urbanisti sembra essere
di scarso interesse e quasi impossibile da realizzare.
In tempo di crisi, queste modalità di governo del territorio andrebbero
riviste in modo radicale, a sud come a nord. Inoltre, quelle antiche locomotive
sui vecchi tracciati ferroviari, certamente, avrebbero potuto accompagnare
su e giù, dolcemente, per valli e montagne, pigri turisti e viaggiatori
curiosi, raggiunti nelle loro case europee, magari, da informazioni in
rete sulle bellezze calabre e lucane.
Ma con i se e con i ma non si costruisce la storia! Però, proprio
da questo contesto di occasioni mancate e prospettive irrealizzate, accade
che a partire dal 2005 quel luogo di degrado incomincia lentamente a popolarsi
e a mescolare mondi e culture diverse. Mescolare pensieri e culture diverse,
è per me sempre fonte di meraviglia e di azioni innovative!
Vengono ospitati i Rom evacuati dal greto del fiume Crati, si aiutano
i bambini rumeni a studiare, si organizza uno sportello legale per il
disbrigo di pratiche per gli immigrati, si tengono corsi di lingua italiana
per stranieri, si raccolgono mobili ed indumenti usati per il riciclo
ed il riuso, nasce il mercatino equo e solidale. Si susseguono attività
culturali ed artistiche: presentazioni di libri, spettacoli teatrali,
concerti, seminari, assemblee pubbliche, manifestazioni.
Viene allestita una sala Internet gratuita con lutilizzo di hardware
riqualificato, prende forma un centro di ascolto permanente, un dormitorio
per i migranti. Periodicamente si organizzano attività per i ragazzi
diversamente abili, nasce una sala di registrazione, una palestra popolare,
un luogo di culto.
E tutto un fiorire di attività, ed in occasione dellantica
festa cosentina di San Giuseppe, che si svolge ogni anno in città,
le associazioni dellarea danno accoglienza ai tanti migranti che
partecipano come espositori alla fiera: offrono loro cibo, the, servizi
e socialità. Per sei edizioni consecutive le associazioni accolgono
il mondo con Fierainmensa.
Nel 2008 il Comune di Cosenza istituisce UrbanLab, un laboratorio
di progettazione partecipata con tutte le realtà presenti nellarea.
La città, la stampa incomincia ad accorgersi di questa realtà
in fermento. Risulta del tutto evidente, anche ai cittadini più
distratti che unarea dismessa, abbandonata della città, è
stata rivalutata attraverso il lavoro gratuito di tante-i volontarie-i.
Ma in quellarea oltre ai cittadini ed i migranti attivi, ci sono
anche tante particelle di amianto altrettanto attive, e nel 2011 la Procura
della Repubblica avvia, tramite lASP, la verifica sulle condizioni
di pericolosità dei tetti in Etenit; pertanto, alcune associazioni
dellarea vengono sentite in Procura.
Nello stesso periodo le associazioni redigono un dossier sulle attività
svolte e si tenta di instaurare un dialogo con le istituzioni per promuovere
azioni positive tese a sostenere i cittadini e i migranti più deboli
e a bonificare larea dallamianto. Ma ad un certo punto questo
percorso virtuoso viene inaspettatamente interrotto da unordinanza
di sgombero!
Il dialogo diventa burocratico, bisogna sgomberare per bonificare tutta
larea dallamianto. In città e nellarea urbana,
la presenza dellamianto è assai diffusa. Come si potrebbero
sgomberare interi quartieri per effettuare la bonifica? Inoltre, non esiste
un piano di bonifica cittadino.
Da tempo, era stato sollevato dalle associazioni residenti il problema
dellesistenza dellamianto sfibrato nel quartiere dove sorge
il parco, erano state sollecitate le istituzioni competenti, ma nulla
era accaduto.
Dopo lordinanza di sgombero, le associazioni si preoccupano, temono
il peggio, in città serpeggiano chiacchiere sulla presunta occupazione
abusiva degli spazi da parte dei volontari. Si riafferma il diritto di
proprietà di Ferrovie della Calabria, anche se larea era
stata completamente abbandonata per anni. Si prova la carta ignobile di
mettere contro volontari ed operai disoccupati delle ferrovie. Un misto
di paura e sfiducia serpeggia nellaria, ma la guerra tra poveri
non funziona, alcune associazioni dellarea prendono liniziativa,
organizzano unassemblea pubblica, scrivono un appello, raccolgono
firme per dire:
Via lamianto dalla città, il parco sociale resta qua!
La cittadinanza risponde, la raccolta di firme ha successo, lassemblea
pubblica di giugno è partecipata, le decisioni prese collettivamente
diventano pratica politica. Si insedia una tavola di negoziazione
coinvolgendo tutti i soggetti istituzionali responsabili della bonifica
e del rilancio del Parco sociale. Si creano le premesse per una progettazione
partecipata dellarea e non solo, si creano i presupposti per sperimentare
una pratica politica trasparente. Questa modalità di risoluzione
dei problemi potrebbe diventare un metodo cittadino, da diffondere
nella provincia.
I sogni si fanno spazio.
I tetti di amianto potrebbero essere sostituiti con pannelli solari, nelle
zone più ventilate si potrebbero installare delle micro pale eoliche.
Nel cuore della città potrebbe essere coltivato un orto cittadino,
un spazio potrebbe essere destinato al culto e alla convivenza tra le
diverse religioni e spiritualità presenti nellarea e nel
quartiere. Un iperGAS potrebbe settimanalmente animare la piazza interna,
le bambine e i bambini potrebbero discutere della differenza di genere,
le attività culturali e sociali, già da tempo avviate, potrebbero
consolidarsi ed allargarsi.
Tante le donne attive nellarea delle ex officine, tante donne coinvolte
nella tavola di negoziazione per la bonifica ed il rilancio del Parco
sociale.
Certo la cultura patriarcale serpeggia ed interferisce nelle relazioni
anche tra donne, ma lesperimento continua, da sette anni a questa
parte si sperimentano conflitti e mediazioni.
Raccontare levolversi dellintera vicenda è utile, poiché
dimostra che la strada del dialogo costruttivo, in alternativa alle decisioni
prese dallalto, è una strada in grado di assicurare alla
progettazione del futuro Parco Sociale caratteristiche di solidità
e ricchezza di contenuti. Condivisione e partecipazione: questo metodo
potrebbe diventare nel tempo, laddove si riesca a consolidarlo, una buona
prassi da ripetere anche altrove, da esportare nel resto dItalia
ed in unEuropa, al momento tutta ripiegata su se stessa e in crisi.
Si tratta solo di un piccolo passo verso la reale salvaguardia del Parco
sociale e per un suo decisivo rafforzamento e radicamento sul territorio.
Si tratterà nei prossimi mesi di rimanere attenti, difendere larea
e radicarla sul territorio, mantenere viva la vicinanza dei cittadini,
per riconoscere così ufficialmente al Parco lo status, già
conquistato sul campo, di spazio centrale, non solo in senso fisico ma
anche umano e politico, rispetto alla costituzione di una socialità
e solidarietà altre all'interno della città. Per avviare,
in modo chiaro, un percorso virtuoso di progettazione partecipata che,
in quanto tale, dovrà essere aperta alle istanze delle associazioni,
delle cittadine e dei cittadini. Ottenere in questo modo una variante
al piano regolatore che determina lassetto urbano e che sancisce
che larea delle ex officine della Calabria non è destinata
ad ospitare altri palazzi e/o centri commerciali, ma è area del
sociale e della comunanza, sarebbe una vittoria senza precedenti nella
storia cittadina, forse, meridionale.
Il percorso è irto di ostacoli, ad esempio come tenere insieme
le associazioni residenti, i migranti, le associazioni e i cittadini dellarea
urbana? Insieme si vince, ma quando il risultato è a portata di
mano lindividualismo e legoismo potrebbero farsi spazio. Lesperienza
maturata negli anni sulla mediazione dei conflitti sarà daiuto
per rinsaldare il legame tra le diverse anime.
Sono queste le città che vorremmo?! Inclusive che valorizzano e
diffondono esperienze come queste?
Nei prossimi anni non ci sarà lavoro per tutte-i, soprattutto nellambito
della produzione di merci, la crisi è anche una crisi di sovraproduzione
di merci e di edifici, ma ci saranno tanti lavori di cura da fare. La
manutenzione di case ed edifici pubblici, la ristrutturazione e la riqualificazione
degli spazi pubblici, la cura delle persone non può essere solo
una faccenda di donne, una rivoluzione culturale è necessaria.
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PRIMUM VIVERE ANCHE NELLA CRISI:
LA RIVOLUZIONE NECESSARIA
la sfida femminista nel cuore della politica
Incontro nazionale: Paestum 5,6,7 ottobre 2012
C'è una strada per guardare alla crisi della politica, dell'economia,
del lavoro, della democrazia -tutte fondate sull'ordine maschile - con
la forza e la consapevolezza del femminismo? Noi ne siamo convinte.
Davanti alla sfida della libertà femminile, la politica ufficiale
e quella dei movimenti rispondono cercando di fare posto alle donne,
un po' di posto alle loro condizioni che sono sempre meno libere e meno
significative. No. Tante cose sono cambiate ma le istanze radicali del
femminismo sono vive e vegete. E sono da rimettere in gioco, soprattutto
oggi, di fronte agli effetti di una crisi che sembra non avere una via
d'uscita e a una politica sempre più subalterna all'economia.
All'incontro di Paestum aperto al confronto con gruppi, associazioni,
anche istituzionali, e singole donne, vorremmo verificare, discutendo
e vivendo insieme per tre giorni, se la politica femminile che fa leva
sull'esperienza, la parola e le idee, può in un momento di crisi,
smarrimento e confusione, restituire alla politica corrente un orientamento
sensato.
1. Voglia di esserci e contare
La femminilizzazione dello spazio pubblico - comunque la si interpreti:
opportunità, conquista delle donne o rischio di diventare solo
"valore aggiunto", "risorsa salvifica" di un sistema
in crisi - ha reso per alcune (molte?) non più rinviabile il
desiderio di "contare", visto come presenza nei luoghi dove
si decide, equa rappresentanza nelle istituzioni politiche, amministrative,
partiti, sindacati, e nelle imprese.
Noi consideriamo il protagonismo in prima persona di ciascuna donna
una molla dinamica importante. Quello che ci interessa è discutere
con chi si impegna nei partiti, nelle istituzioni e nel governo delle
aziende: che esperienza ne hanno, che cosa vogliono, che cosa riescono
a fare e a cambiare. E valutiamo che oggi questo confronto possa avere
esiti interessanti per tutte.
Il femminismo d'altra parte, criticato per non avere investito della
sua spinta trasformativa le istituzioni della vita pubblica, può
avvalersi oggi di una lunga elaborazione di autonomia per ripensare
il senso di concetti come "genere", "democrazia partecipata",
"soggetto politico", "organizzazione". Viene dalla
pratica dell'autocoscienza, del "partire da sé", la
critica più radicale all'idea di un soggetto politico omogeneo
(classe, genere, ecc.), di rappresentanza e di delega. Pensiamo che
un collettivo si costruisca solo attraverso la relazione tra singole/i.
E oggi vogliamo interrogare la connessione tra questa pratica politica
e la modificazione visibile del lavoro, dell'economia, e più
in generale del patto sociale.
In questo contesto, anche la scelta di Paestum come luogo dell'incontro
non è casuale, ma vuole essere un richiamo alla necessità
di articolare soggettività e racconti nei contesti in cui si
vive e agisce. Vogliamo così far crescere una rete di rapporti
tra donne e gruppi di donne già ricca e intensa. In particolare,
sappiamo che alcune caratteristiche del Sud - sia i beni sia i mali
- hanno un'invadenza sulla vita e sul pensiero di chi lì abita
che non può essere ignorata, né da chi vive in altri luoghi,
né soprattutto dalle meridionali stesse.
2. Economia lavoro cura
Molto è il pensiero delle donne sui temi del lavoro e dell'economia
a partire dalla loro esperienza. Che ha questo di peculiare: hanno portato
allo scoperto e messo in discussione la divisione sessuale del lavoro
(quello per il mercato - pagato - e quello informale ed essenziale di
cura e relazione - gratuito); in più, sanno che la cura non è
riducibile solo al lavoro domestico e di accudimento, ma esprime una
responsabilità nelle relazioni umane che riguarda tutti.
A partire da questo punto di vista, e sollecitate anche da una crisi
che svela sempre di più l'insensatezza oltre che l'ingiustizia
dei discorsi e delle politiche correnti, possiamo delineare una prospettiva
inedita: quella di liberare tutto il lavoro di tutte e tutti, ridefinendone
priorità, tempi, modi, oggetti, valore/reddito e rimettendo al
centro le persone, nella loro vitale, necessaria variabile interdipendenza
lungo tutto l'arco dell'esistenza, e avendo a cuore, con il pianeta,
le persone che verranno.
Vorremmo articolare questo discorso valutando insieme le recenti esperienze
di pratiche politiche e analizzando le contraddizioni che incontriamo
(in primo luogo le conseguenze del rapido degrado del mercato del lavoro)
in modo da rendere più efficace il nostro agire.
3. Auto-rappresentazione/rappresentanza
Nella strettoia della crisi i cittadini non hanno più libertà
politica; la politica è ridotta a niente; decidono tutto l'economia
e la finanza. In una situazione dove tutto sembra prescritto a livello
economico finanziario, la pratica e il pensiero delle donne hanno una
carta in più per trovare nuove strade.
La nostra democrazia è minacciata da pulsioni, spinte estremistiche;
le sue istituzioni elettive depotenziate o addirittura esautorate. La
rappresentanza è messa in crisi e oggi ne vediamo i limiti.
Perché una persona possa orientarsi, deve avere un'immagine di
sé, di quello che desidera e di quello che le capita. Il femminismo
che conosciamo ha sempre lavorato perché ciascuna, nello scambio
con le altre, si potesse fare un'idea di sé: una autorappresentazione
che è la condizione minima per la libertà. Invece la democrazia
corrente ha finora sovrapposto la rappresentanza a gruppi sociali visti
come un tutto omogeneo.
La strada che abbiamo aperta nella ricerca di libertà femminile,
con le sue pratiche, può diventare generale: nelle scuole, nelle
periferie, nel lavoro, nei luoghi dove si decide, ecc.
Che la gente si ritrovi e parli di sé nello scambio con altre/i
fino a trovare la propria singolarità, è la condizione
necessaria per ripensare oggi la democrazia.
Vorremmo declinare questi pensieri nei nostri contesti, confrontandoci
sia sullepratiche soggetto/collettivo, sia sui modi per dare valore
al desiderio di protagonismo delle donne. E quindi ci chiediamo: come
evitare che in alcune la consapevolezza basti a sé stessa e si
arrenda di fronte all'esigenza di imporre segni di cambiamento e alla
fatica del conflitto? E in altre la spinta a contare le allontani dalle
pratiche di relazione?
4. Corpo sessualità violenza potere
"è già politica" (sottinteso: l'esperienza personale):
il femminismo ha incominciato lì il suo percorso. Ha scoperto
la politicità del corpo e della sessualità, della maternità,
del potere patriarcale in casa, del lavoro domestico. Ha affermato che
la violenza maschile contro le donne in tutte le sue forme, invisibili
e manifeste, è un fatto politico. Radicale è stato prendere
il controllo sul proprio corpo e insieme ribellarsi a un femminile identificato
con il corpo: ruolo materno, obbligo procreativo e sessualità
al servizio dell'uomo.
Oggi la sfida è più complessa: si esibisce lo scambio
sesso/denaro/carriera/potere/successo occultando il nesso sessualità/politica;
si esalta il sesso mentre muore il desiderio; si idolatra il corpo ma
lo si sottrae alle persone consegnandolo nelle mani degli specialisti
e dei business; si erotizza tutto, dal lavoro ai consumi, ma si cancella
la necessità e il piacere dei corpi in relazione.
Sintomi estremi di questa fase sono il rancore maschile verso l'autonomia
e la forza femminile e il riacutizzarsi della violenza, dell'uso della
brutalità.
Ma qualcosa si muove. Non solo i gruppi (Maschile/Plurale) e i singoli
uomini che ormai da anni si impegnano nella ricerca di una nuova identità
maschile, spesso in relazione con le femministe. Ma anche le moltissime
blogger femministe (e blogger "disertori del patriarcato")
che ragionano su desiderio e sessualità e si impegnano contro
la cultura sessista e autoritaria.
Soprattutto le relazioni tra donne e uomini sono cambiate. Ma non abbastanza.
Sulla scena pubblica questo cambiamento non appare perché il
rapporto uomo-donna non viene assunto come questione politica di primo
piano. Eppure, solo in questo modo, possono sorgere pratiche politiche
radicalmente diverse, produzioni simboliche e proposte per una nuova
organizzazione del vivere.
Di tutto questo vogliamo parlare a Paestum.
Le promotrici:
Pinuccia Barbieri, Maria Bellelli, Maria Luisa Boccia, Ornella Bolzani,
Paola Bottoni, Maria Grazia Campari, Luisa Cavaliere, Patrizia Celotto,
Lia Cigarini, Laura Cima, Silvia Curcio, Mariarosa Cutrufelli, Elettra
Deiana, Donatella Franchi, Sabina Izzo, Raffaella Lamberti, Giordana
Masotto, Lea Melandri, Jacinthe Michaud, Clelia Mori, Letizia Paolozzi,
Gabriella Paolucci, Antonella Picchio, Biancamaria Pomeranzi, Carla
Quaglino, Floriana Raggi, Bia Sarasini, Rosalba Sorrentino, Mariolina
Tentoni
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Se fossimo state nel 1976 avrei
dovuto incontrare fisicamente le donne che hanno partecipato allincontro
di Paestum per saper come era andata. Oggi, che come allora non ci sono
andata, mi è bastato navigare un paio dore su internet.
Leggendo resoconti, commenti e soprattutto ascoltando le mini-interviste
nei QIK video, mi sono fatta lidea che deve essere andata proprio
bene: grande partecipazione al di là delle aspettative, intensità
degli scambi, conflitti forti e proficui, tanta stanchezza e tanta soddisfazione.
Ma, sopratutto tante giovani donne molto preparate, molto determinate
e
molto femministe. Dunque,
il femminismo è vivo e vegeto pieno di energie e di passione
per affrontare le sfide del presente e del futuro. Ma allora perché
tutto questo spazio dato alla rappresentanza, considerato in alcuni
commenti eccessivo fino a togliere spazio ad altri temi, come la sessualità,
che pure erano presenti nella lettera di convocazione? Cè
qualcosa che non torna.
Può darsi che, come da più di una voce viene sottolineato,
esista un desiderio femminile di contare nelle istituzioni della politica
rappresentativa, però poi, mi pare di capire che la discussione
si è concentrata più sullopportunità o necessità
di entrare nelle istituzioni del potere, come se si trattasse
di un obiettivo strategico, che sul desiderio.Alla base di questa discussione
vi è lidea più o meno esplicitata che lestraneità,
come categoria e pratica del femminismo, si possa ormai archiviare come
qualcosa passato di moda. Scrive, infatti, Ida Dominijanni il giorno
dopo la chiusura delincontro di Paestum: se allorigine
il taglio femminista significò il desiderio delle donne di collocarsi
altrove e altrimenti rispetto alla politica data, oggi laltrimenti
resta ma laltrove cade: il desiderio è di mettersi al centro
della trasformazione, e di guidarla (il manifesto 9/10) come se,
cioè, le donne non volessero o, forse, non potessero o addirittura
non dovessero più sentirsi estranee al sistema di potere, chiamate
ad assumersi la responsabilità di governo lasciata per troppo
tempo nelle mani degli uomini che nella migliore delle ipotesi si sono
dimostrati incompetenti e irresponsabili, nella peggiore disonesti,
corrotti e corruttori.
Ma quello che poi avviene nei fatti è che mentre le donne che
nelle istituzioni già ci sono spesso si lamentano della mancanza
di sostegno da parte di quelle che stanno fuori, le Pussy
Riot dichiarano di poter reggere le pesanti conseguenze dellespressione
della loro libertà proprio perché molto sostenute da donne
e uomini di tutto il mondo. Come si spiega questa sproporzione di investimento
di energia e passione? Da un lato potrebbe essere che le donne nelle
istituzioni non compiono gesti così eclatanti, eroici, dirompenti
e rischiosi da suscitare un entusiasmo comparabile allazione delle
Pussy Riot (e tutto sommato cè da chiedersi perché,
visto che la lotta è dura e che di tanto in tanto un gesto simbolico
forte, una mossa spiazzante proprio lì nella zona del potere
non ci starebbe affatto male e costituirebbe sì un spinta trascinante),
oppure che appaiono deboli, omologate, impotenti di fronte al potere.
A parte il fastidio che mi procura questa idea, che striscia nel fondo
di questi discorsi, di andare ad aggiustare quello che altri hanno sfasciato
(come sparecchiare e lavare i piatti di un pranzo a cui non si era state
invitate) il problema importante, mi sembra, sta nel costatare che forse
è il centro della trasformazione a non essere più
lì e forse è la politica rappresentativa, non a caso chiamata
politica seconda, a trovarsi oggi in un altrove.
Sappiamo bene che i governi degli stati nazione da alcuni anni agiscono
quasi esclusivamente in base alle necessità e alle richieste
delle istituzioni economiche internazionali e che la politica
la presa di decisioni, limmaginazione degli scenari, lindirizzo
delle azioni risiede ormai molto poco nei governi e nei parlamenti.
Lo scenario è quello di un mondo globale in cui ciò che
conta è ciò che ci è prossimo e si può toccare
con mano nella consapevolezza che ogni gesto ha conseguenze lontane:
quello che faccio io qui ha conseguenze per te laggiù, nel male
ma anche nel bene. In questo scenario può forse avere un senso,
può smuovere passioni e desideri, la rappresentanza locale e
territoriale, ma per ununica e ovvia ragione: le città,
i paesi esistono, sono fatti di case, palazzi, negozi, strade, piazze,
fabbriche e corpi che li abitano. Gli stati nazione, invece, sono uninvenzione,
unastrazione della politica moderna e in questa epoca di stanca
modernità stanno mostrando ampiamente la loro irrealtà.
Se, come dice Muraro nel suo Dio è violent, con la fine del patto
sociale lo stato perde il monopolio legittimo della violenza non si
può non tener conto che a questo monopolio è strettamente
legata la legittimità di legiferare e di far valere le leggi
allinterno di confini certi. Detto in altri termini: siamo sicure
che gli stati nazione attraverso le loro istituzioni fondamentali, governo
e parlamento, siano ancora legittimati ad esercitare lautorità
e il potere di legiferare e di decidere della vita dei popoli che li
abitano?
Capisco che sarebbe enorme rispondere con un no netto e deciso, allo
stesso tempo, però, so che la crisi delle istituzioni della politica
rappresentativa ci mette di fronte allanacronismo di queste forme,
alla loro obsolescenza e sono sicura che non è partecipandovi
in massa che le donne possano risolvere la questione che è di
portata epocale. Non è pulendo e facendo ordine e nemmeno portando
senso che si supera la fine di unepoca e si passa alla successiva:
qui non si tratta di aggiustare qualcosa che si è rotto e deteriorato,
non tutto può essere riciclato. Qui ci vogliono immaginazione
e invenzione. E coraggio.
Alla luce di queste considerazioni, mi pare che la ragione della disaffezione
delle donne per il potere sia ancora lestraneità che nella
versione attuale può significare il non appassionarsi a
roba vecchia. Puntare oggi sulla rappresenta può apparire come
un volare basso, proprio in un momento in cui, come dimostra lincontro
di Paestum, è vivo un desiderio di volare molto in alto, di accettare
la sfida della complessità e lincertezza che la fine di
unepoca comporta. Lo dice bene Ilaria, una donna giovane, dellassociazione
Femminile/Plurale di Padova (di cui ho visto lintervista): Il
conflitto con lo stato a me non interessa più perché credo
che non ci siano più interlocutori con cui discutere e che le
decisioni vere non vengano più prese a quel livello. Ai suoi
tempi il femminismo è riuscito a creare delle istituzioni non
statali che funzionano tuttora e che possono essere un forte esempio
per bypassare il problema di uno stato che non esiste più, per
creare nuove istituzioni al di là dello stato, che siano interlocutrici
degli organismi internazionali, perché oramai la partita della
politica si gioca a quel livello.La sua idea è quella di
immaginare una rete internazionale delle femministe di tutto il
mondo che sia in grado e le femministe lo sono di avere
un peso politico sulla scena internazionale, sullesempio
delle lotte dei contadini indiani contro le multinazionali guidate e
sostenute da Vandana Shiva. Quello che mi pare veramente interessante
è la continuità che lei stessa intravede con la pratica
dellestraneità quando sottolinea come questa idea abbastanza
nuova faccia leva su ciò che è stato il femminismo
radicale: la capacità di creare più che di contrastare,
di aprire un conflitto creativo che permette di autodeterminarsi e di
determinare la società in cui vivi senza chiedere niente a nessuno.
Noi ci chiediamo le cose tra noi.
Andare oltre le istituzioni moderne dello stato nazione e della democrazia
rappresentativa per come le abbiamo conosciute è, per il femminismo
contemporaneo, una sfida altissima ma proprio per questo estremamente
appassionante, sicuramente più attraente che ridare vita alle
agonizzanti forme della politica moderna che non funzionerebbero più
anche se fossero ripulite e aggiustate da sapienti mani femminili. Si
tratterebbe di estendere a livello globale la pratica della relazione,
di portarla ancora un po più in là, di portare ancora
un po più in là la pratica dellestraneità,
di radicalizzarla fino alle sue estreme conseguenze e immaginare nuove
forme di lotta, nuovi assetti societari, più sensati e più
rispondenti alle reali dinamiche di produzione e riproduzione della
vita che attraversano il mondo.
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