Associazione Internazionale
delle Donne per
la Comunicazione 
MEDiterranean MEDIA
AIDOS
  Médecins du Monde
   
         
   

MOSTRA FOTOGRAFICA
sulle
DONNE AFGANE

dal 9 al 18 novembre 1998
presso la Casa delle Culture di Cosenza

il WebCd-rom sulle donne afgane
clicca per maggiori informazioni sul WebCd

Come vivono le donne afgane,
come è cambiata la loro vita da quando hanno preso il potere i talebani?

La mostra tenta di fornire alcune risposte immediate.

Sono previsti momenti di confronto:

10 novembre Conferenza Stampa ore 11.00, intervengono
Nadia Gambilongo, Presidente Associazione MEDiterranean MEDIA
Maria Francesca Corigliano, Assessore alla Scuola
Lucia Parise, Redazione Mediterranean Review

14 novembre proiezioni video, Tea alla menta
Incontri Selene Falcone, Ass. MEDiterranean MEDIA

   
   
 
   
  Please post widely:
A CALL TO ACTION
Stop the Cycle of Violence!
A Day of Solidarity with the People of the World

Saturday, November 17, 2001 11AM-6PM Kennebunkport, Maine

March on the Bush Compound * Rally * Teach-ins

On September 11, thousands of innocent human beings were lost to unconscionable acts of violence. The people of New York City, of Washington
DC, and of the entire United States, experienced what the people of Afghanistan have known for a long time. The screams and cries of dying mothers, fathers, sisters, brothers, sons, daughters, lovers, and
friends.
The terrible silence of grief. The haunting fear of what will come next.
On September 11, our tears joined millions others and our anger boiled with rage.

It is from this common experience of suffering and injustice that we declare our solidarity with the innocent people of the world with whom we now share sorrow, pain, and anger. From New York City to Kabul, from Washington DC to Jalalabad, we say ENOUGH. What moral choice do we now
have as compassionate citizens and respectful survivors but to demand an end to
the escalating cycles of global violence? How better to honor our dead, and the dead of so many others, than by refusing to allow more to die?

We refuse the two choices that have been forced upon us by the government and corporate media: vengeance or inaction, loyalty or treason, support for retaliatory terror or complicity with terrorists. We will not be trapped into choosing between two global orders of violence. Another world is possible.
In the week surrounding November 17th, people around the world will be gathering to demand and end to the senseless and cruel bombings of Afghanistan and to condemn oppressive foreign policy by the powers of the West; thousands will protest in Ottawa, Canada against the meetings of the International Monetary Fund (IMF) and World Bank; many more will come together in Fort Benning, Georgia to demand the closure of the School of the Americas (SOA), a US military institution known also as the "the school of Assassins"; and hundreds of thousands will gather in cities and towns across the globe to oppose the destructive powers of corporate/capitalist globalization being unleashed by the World Trade Organization (WTO) as it meets in Quatar.

Nov. 17 also marks the beginning of Ramadan, the highest holy days for the people of Islam. Bush promises to keep up the bombing in spite of pleas from our most important allies in the Islamic world, a dangerous and destabilizing decision. Let us give voice to the opposing this destructive, disrespectful policy.

We stand in solidarity with all of these expressions of global hope, struggle, and resistance. We affirm that we are everywhere, that we will not go away, that we are part of a global movement of movements. We are not building a narrowly focused US anti-war movement, nor a movement solely against the processes of capitalist globalization; rather, we are building a movement against the fundamental structures and forces of global oppression and injustice, a movement towards a more just, dignified,
sustainable, and democratic world for all- a global solidarity movement.

STOP THE CYCLE OF VIOLENCE, DECLARE GLOBAL SOLIDARITY

* 11am: March on the Bush compound (Walker's Point) ;
Meet at St. Anne's church on Ocean Drive (Kennebunkport) at 10:45
(please note: parking is extremely limited at St Anne's. Please try, if you are able, to find parking in town-approx. 1 mile away--and walk or carpool to the church)
11am- March (bring banners, signs, drums, songs, puppets, and other tools of street-dissent!)
11:30- Public Speakout, street theater, and music at Walker's Point 12:30- Rally at St. Anne's church

* 2pm: Workshops, teach-ins, and discussions
Unitarian Universalist Church, Main St. Kennebunk (a few miles north of Kennebunkport)

Three sessions, 2-3pm; 3:15-4:15pm; and 4:30-5:30pm

Workshop and discussion themes include:

Globalization, corporate power, and economic violence
The war against Afghanistan: historical, economic, and political contexts US Foreign Policy and Intervention, making connections: Iraq, Palestine, the School of the Americas (SOA) Strategies of Resistance: building movements, popular education, envisioning alternative futures

6pm: Dinner, music, and festivities

* In honor of the 1st day of Ramadan, there will be an optional fast throughout the day. A collection will also be taken at the march and teach-ins with proceeds divided between RAWA (The Revolutionary
Association of the Women of Afghanistan) and a relief fund for children who lost parents on 9-11.

For more information, contact:

State-wide: Matt, (207)-946-4478 (mschlobo@justice.com);
Regional: Kennebunkport: David 967-2390 (kubiak@nancho.net),;
Lewiston/Auburn: Matt, 946-4478 (mschlobo@justice.com);
Augusta: Tom, 377-2370 (mevfp@ctel.net);
Midcoast: Mark, 594-9575;
Machias: Sky, 255-6737;
Western Maine: Tom, 743-2183;
Bangor: Nancy, 567-4075 (ngalland@downeast.net);
Orono: Brian, 866-3219 (geierbrian@hotmail.com)

Organized by the Maine Global Action Network from the European Federation of Green Parties e-mail list.
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Seduta n. 57 di mercoledì 7 novembre 2001
Comunicazioni del Governo sull'impiego di contingenti militari italiani all'estero in relazione alla crisi internazionale in atto (ore 9,08).
| registrazione audio | registrazione video | (Windows Media Player)

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, vi accingete a compiere una scelta che è insieme grottesca e tragica. Tragica perché è storicamente tragico quello che sta avvenendo in Afghanistan - nell'intera regione - e perché in questo modo il nostro paese si assume in forma diretta la responsabilità di una guerra unilaterale che ha conseguenze devastanti sul piano umanitario e che sempre più ne avrà su quello geopolitico e delle relazioni internazionali.
Il voto di guerra che vi accingete a esprimere - come fate a non vedere ciò - avviene proprio nel momento in cui il conflitto ha dato prova lampante di non riuscire a risparmiare la vita dei civili - le parti più indifese delle popolazioni -, donne e bambini, nel momento in cui i cosiddetti danni collaterali sono sotto gli occhi di tutti, anche dei vostri, suppongo.
I nostri ragazzi, come dice la retorica guerrafondaia di tutti i tempi, e le nostre ragazze, come impone questa modernizzazione barbarica che uccide l'aspirazione femminile alla libertà e all'autodeterminazione,
imprigionandola nello scimmiottamento di tutto quello che di peggio ha prodotto la cultura maschile, i nostri ragazzi e le nostre ragazze - ripeto - andranno ad esercitare la loro vocazione militare contro un paese poverissimo, già torturato da 20 anni di guerra contro villaggi, quartieri civili, agenzie di sminamento, ospedali civili e militari.
C'è un documento - vi suggerisco di leggerlo - che non è stato scritto dal gruppo di Rifondazione comunista ma da Pax Christi. Si intitola «Clamore dei popoli per la giustizia, la solidarietà e la pace» e vi è scritto che l'operazione militare che gli USA stanno conducendo in Afghanistan non è altro che un'altra forma di terrorismo - questo è anche il nostro giudizio! - un terrorismo che alimenta, in maniera esponenziale, il terrorismo dei gruppi politici del fondamentalismo islamista, che non bonifica ma moltiplica quelli che l'onorevole D'Alema ama chiamare i giacimenti dell'odio. I fiumi di dollari che si stanno spendendo nell'attuale campagna contro l'Afghanistan sarebbero sufficienti da soli a bonificare subito uno di quei giacimenti, eliminando, se indirizzati ad una strategia di convivenze e pace tra i popoli, la fame e la miseria dell'intera zona.
Partecipare alla guerra è una scelta tragica - dicevo prima - ma insieme grottesca perché nulla e nessuno imponeva al nostro paese di passare dalla già disastrosa scelta di appoggio politico all'operazione «Libertà duratura» a quella del coinvolgimento diretto in azioni di guerra.
Non vi è stata nessuna richiesta americana, ma soltanto l'insistenza grottesca fino al ridicolo, se non si trattasse di guerra, dell'offerta italiana, del pietire del Governo e anche di esponenti del centrosinistra di
partecipare, in forma diretta, alle azioni militari in Afghanistan, di far sventolare la bandiera italiana tra le macerie di quel paese.
Dietro al ridicolo delle forme c'è però l'idea, l'illusione, la volontà di far parte attiva, ancorché in posizione di attori di seconda o terza fila, di quel gruppo di paesi che, con la guerra, sta disegnando le nuove coordinate del potere economico, politico e militare nel mondo, di sedersi insomma al tavolo dei vincitori, semmai vi saranno, con Bush e Blair per poter dire: c'ero anch'io! Un déjà-vu che fa parte di una storia del nostro paese che noi proprio non amiamo e che ha portato più volte l'Italia ad avventure belliche disastrose, tanto più disastrose in questa occasione perché le dinamiche che si sono aperte con l'operazione «Libertà duratura» sono tutt'altro che chiare e definibili, al di là del martellamento militare
continuo, dei bombardamenti metro per metro, della propaganda bellica.
Abbiamo detto più volte - e oggi lo ribadiamo - che «Libertà duratura» non è una operazione contro il terrorismo, che il terrorismo non si combatte in questa maniera, che in questa maniera si alimentano e si estendono soltanto l'area e la legittimazione del terrorismo.
L'operazione «Libertà duratura» è un'occasione colta dagli Stati Uniti e dalla NATO per intervenire in armi a ridefinire, attraverso la guerra, il protettorato, la presenza diretta in quelle zone, i rapporti di forza in un'area del mondo che - basta leggere la stampa degli Stati Uniti e di tutti gli osservatori attenti alle questioni geopolitiche - è strategica da tutti i punti di vista.
Ma se le ragioni strategiche sono chiare e definite - in merito a ciò dovrebbe essere aperta la discussione in Parlamento, non sugli aspetti tecnici militari di cui ci ha informato il ministro Martino - non sono affatto chiare le sorti di questa guerra.
Il Parlamento dovrebbe essere messo nelle condizioni di discutere dell'andamento della guerra. Il voto è a occhi chiusi. Come può non interessarci sapere che, dopo mesi di bombardamento incessante, non vi è
nessun segno di successo, né politico né militare, nella dichiarata offensiva contro il regime dei taliban? Che Bin Laden, lungi dall'essere stato catturato o dall'essere in procinto di essere catturato, diventa ogni
giorno di più il punto di riferimento di vaste aree dei paesi arabi e che rischia di essere l'eroe di un'intera generazione di giovani maschi musulmani, sempre più schiacciati dagli avvenimenti di questo periodo su
un'identità islamista che annienta tutte le differenze culturali, che pure sono grandissime tra quei paesi, e tutte le differenze sociali?
Come ignorare che la destabilizzazione dell'area, a cominciare dal Pakistan, così duramente investito nelle responsabilità militari dell'azione « Libertà duratura » comporta rischi di una gravità inaudita per tutto il mondo, considerato che la guerra avviene in un contesto circondato da paesi
cosiddetti emergenti e dotati dell'arma atomica?
Votiamo la guerra, assumiamo il ruolo di reggicoda degli Stati Uniti d'America, mentre potremmo fare grande il nostro paese, mettendo all'opera la grande vocazione di pace che esso manifesta e che si è evidenziata nella straordinaria partecipazione popolare alla marcia Perugia-Assisi, vocazione
di pace che torna, in tutti i sondaggi investigativi, nella volontà della nostra gente di partecipare o meno alla guerra.
Potremmo fare grande il nostro paese elaborando e proponendo adeguate strategie internazionali contro il terrorismo, con un'azione pressante per risolvere i punti di crisi che lo alimentano, a partire dalla questione palestinese che continua ad essere nel fuoco di una situazione drammatica
che appare irrisolvibile; potremmo adoperarci per promuovere un'azione autonoma dell'Europa e un suo ruolo quale mediatrice dei conflitti per rilanciare, ripensare e riqualificare il ruolo delle Nazioni Unite che oggi sono ridotte a paravento subalterno delle decisioni della NATO.
Il Presidente della Repubblica Ciampi ha augurato che un tricolore sia presente in ogni famiglia. Ci dispiace che il Presidente della Repubblica abbia usato questa espressione tipica del patriottismo bellico. Ne siamo distanti anni luce e faremo di tutto perché il minor numero di tricolori di
guerra sventoli tra di noi. Se il tricolore, come deve essere, rappresenta il nostro paese, deve rappresentare l'Italia repubblicana, democratica e fondata su una Costituzione che ha nel suo DNA costitutivo il ripudio della guerra e la ricerca della pace.
Il voto di oggi fa piazza pulita di quel fondamento, distrugge le basi della convivenza internazionale, favorisce l'instaurazione della legge del più forte, eliminando ogni garanzia del diritto. Vi accingete a scrivere un'altra pagina nera della nostra storia. Per quello che è nelle nostre mani, faremo di tutto per sollevare contro la vostra decisione clamori di popolo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

Forum delle donne di Rifondazione comunista

Viale del Policlinico 131 - CAP 00161 - Roma
Tel. 06/44182204
Fax 06/44239490

   
 
   
 

UNO STRACCIO DI PACE

Siamo pericolosamente vicini alla guerra. Questo vuol dire che degli
italiani potrebbero anche uccidere dei civili, la maggior parte dei
quali donne e bambini e, a loro volta, essere uccisi.
Siamo sicuri che molti di noi non vogliono che ciò accada.
Noi vogliamo poter dire che siamo contrari, e vogliamo che chiunque ci
veda sappia che siamo contrari alla guerra.
Per farlo useremo un pezzo di stoffa bianco: appeso alla borsetta o
alla ventiquattrore, attaccato alla porta di casa o al balcone, legato
al guinzaglio del cane, all'antenna della macchina, al passeggino del
bambino, alla cartella di scuola...
Uno straccio di pace.
E se saremo in tanti ad averlo, non potranno dire che l'Italia intera
ha scelto la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti.
Sappiamo che molti sono favorevoli a questa entrata in guerra.
Vogliamo che anche quelli che sono contrari abbiano voce.

Emergency chiede l'adesione di singoli cittadini, ma anche comuni,
parrocchie, associazioni, scuole e di quanti condividono questa
posizione.

Diffondere questo messaggio è un modo per iniziare.

   
     
  DIARIO DI GUERRA
Sui banchi di scuola con Rawa
GIULIANA SGRENA INVIATA A ISLAMABAD
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/07-Novembre-2001/art27.htm

K - hihan Sir Saeed è il quartiere afghano di Rawalpindi, la città gemella della più ordinata capitale Islamabad. Un campo enorme di baracche fatiscenti in un ampio fossato pieno di polvere e di sporcizia. Non è un campo recente anche se la precarietà, la miseria e il fetore regnano sovrani. Molti degli afghani che abitano qui sono arrivati 15 anni fa, ai tempi dell'invasione sovietica; i più giovani ci sono nati. I più fortunati, ma non di tanto, abitano gli edifici che sorgono intorno: le famiglie sono ammassate in infime stanze.
Sullo sfondo qualche villa che ospita uffici - probabilmente anche organizzazioni umanitarie - e che contrasta con il paesaggio ai piedi della spianata. Animali in cerca di cibo tra i rifiuti, un grosso bue giace esanime sul selciato in attesa di essere trasportato via (deve essere caduto durante il tentativo di caricarlo sul camion lì accanto privando il padrone di un ottimo introito), fanno da sfondo a una sorta di mercato delle braccia. Divisi in piccoli gruppi, giovani afghani con i loro strumenti da lavoro, soprattutto pale e zappe, aspettano pazientemente di essere assoldati per un infimo salario nei posti di lavoro meno ambiti. In un paese dove lo sfruttamento e il lavoro minorile sono la normalità, famiglie intere di profughi afghani fabbricano mattoni in un ambiente assolutamente insalubre, tra la polvere e sotto il sole cocente; altre intrecciano tappeti, il cui mercato si sarebbe comunque ridotto negli ultimi tempi a causa della guerra. I profughi afghani sono i più sfruttati tra gli sfruttati, anche se tra l'immigrazione afghana ci sono pure i ricchi businessmen che fanno affari con il contrabbando e l'eroina, oltre che con il redditizio traffico di armi.
E' nel quartiere di Khihan Sir Saeed che si trova anche l'edificio che ospita la scuola per i profughi afghani gestita da Rawa (Revolutionary association of women of Afghanistan), l'organizzazione di donne afghane che in questi anni più si è battuta contro tutti i fondamentalismi. Si accede da una strada trafficatissima, passando accanto ad un sottoscala che ospita uno stuolo di ragazzi che fanno scarpe per poche rupie al giorno. Sono tutti molto giovani e lavorano per lo stesso padrone. Molti bambini non vengono mandati a scuola o lo sono per poche ore perché devono lavorare insieme ai genitori, o da soli, per sbarcare il lunario.
La scuola primaria Heewd è al primo piano, la pulizia contrasta drasticamente con la sporcizia che ci siamo lasciati alle spalle. Così come il fatto di trovarci di fronte a delle classi miste, mentre in alcuni campi profughi, come a Noserbach, dove ci sono scuole per bambine - e non ci sono dappertutto - le allieve sono costrette a studiare con le finestre murate, un unico piccolo spiraglio in alto. La scuola è recente, si tratta del primo anno di corsi. Non mancano le difficoltà: l'energia elettrica che spesso salta lasciando le classi sul retro nell'oscurità. Gli studenti che frequentano i sei anni di scuola primaria in due turni sono circa 300, metà uomini e metà donne. Le loro condizioni di vita non sono le più drammatiche, vivono seppur precariamente in edifici stabili e non in baracche. Ma non avrebbero la possibilità di studiare - pashtun, dari, inglese, storia e geografia, scienze e religione - se non ci fosse questa scuola gratuita dalla impostazione afghana, che non è riconosciuta dal sistema scolastico pakistano. Ma la differenza di età nelle classi è spesso notevole, dovuta alla storia di questi giovani profughi o figli di profughi. Tra le allieve vi sono anche donne adulte, che non hanno mai avuto la possibilità di studiare e ora hanno deciso di riscattarsi con lo studio, assolutamente proibito alle donne nell'Afghanistan dei taleban. I posti a disposizione della scuola non bastano a soddisfare tutte le richieste e quindi, per esempio, tra un bambino e una donna che vuole studiare, chi scegliete? "La donna", risponde immediatamente e senza dubbi Mariam, non nascondendo la drammaticità di dover respingere la richiesta di chi vuole studiare e che altrimenti non lo potrebbe fare. D'altra parte le scelte a favore delle donne sono inevitabili per una associazione come Rawa, un simbolo per le afghane che hanno deciso di rifiutare l'ordine imposto dai taleban.

   
   
                
   
                
   
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