La madre o-scura

di Lucia Chiavola Birnbaum

 

Capitolo primo

Questo studio si basa sulla scienza africana e afro-americana circa le origini africane della civiltà. (1) Possiamo sostenere, all’inizio del terzo millennio, che gli scienziati a livello internazionale concordano su un’origine africana degli esseri umani moderni: homo sapiens sapiens. (2) Non esiste ormai alcuna resistenza all’interno del mondo accademico su questo, sebbene questa convinzione non sia ugualmente diffusa tra la gente. Questione diversa è per il riconoscimento dell’esistenza del culto della madre nera di origine africana, esistono molte resistenze in questo senso nel mondo accademico. In questo capitolo e in quello successivo, tenterò di fornire la prova scientifica delle origini africane degli esseri umani e delle origini africane della più antica divinità a nostra conoscenza. I capitoli successivi rafforzeranno la prova scientifica riguardo la diffusione del culto della madre nera in tutte le culture, attraverso la testimonianza storica e culturale dell’attuale persistenza della sua memoria.
L.Luca Cavalli-Sforza, il più autorevole genetista a livello mondiale, ha sintetizzato le più recenti scoperte scientifiche. Gli esemplari risalenti a 3 ed a 4 milioni di anni fa, inclusa Lucy, sono stati rinvenuti in zone differenti dell’est asiatico. L’homo habilis è stato ritrovato, con certezza, “solo in Africa”. L’homo erectus si è sviluppato dapprima in Africa, poi nell’Asia occidentale e meridionale, in seguito nell’Europa e nell’Asia orientale. Tre o quattro milioni di anni fa, i migranti africani si mossero all’interno dell’area ovest asiatica del Medio Oriente (le attuali Palestina e Israele), in seguito all’interno dell’Asia sud orientale, di Giava e dell’Asia orientale. (3) I reperti ossei e gli utensili in pietra rinvenuti, recentemente, nella Cava di Longport nella Cina centrale, costituiscono una prova che gli umani emigrarono dall’Africa verso la Cina “almeno 1.9 milioni di anni fa”. (4) La nostra specie, l’homo sapiens sapiens apparve nell’Africa orientale e meridionale circa 100.000 anni fa, prima di estendersi altrove. Cavalli-Sforza afferma che gli umani moderni, succeduti agli umani preistorici, ebbero origine in Africa e dopo il 50.000 a.C. gli africani si diffusero in Asia, in Europa, in Australia, nel sud e nel nord America. (5)
L’eredità africana, secondo Cavalli-Sforza, ha trasmesso a tutti i popoli un bagaglio di pace, festosità, inventiva tecnologica e disponibilità a cooperare, a vivere democraticamente. Gli umani moderni vivevano, 100.000 anni fa, così come i loro antenati, in piccoli gruppi, senza gerarchie o capi, e conducevano una vita sociale basata sul rispetto reciproco. (6) I contemporanei pigmei africani, che hanno mantenuto tra tutti gli umani le caratteristiche somatiche dei loro antenati paleolitici, erano già da allora estremamente cooperativi e rimangono, tuttora, il popolo più pacifico che Cavalli-Sforza abbia mai studiato. (7) In questa ricostruzione di due o tre milioni di anni fa della società umana, i genetisti parlano di piccoli uomini nomadi o semi-nomadi che cacciavano, di donne che raccoglievano frutta e verdura, di popolazioni che ad ogni cambio di stagione si incontravano in occasione delle festività per compiere insieme rituali e danze. Come l’homo habilis, i nostri antenati africani camminavano in posizione eretta e costruivano attrezzi in pietra per cacciare e per cuocere i cibi. Alcuni utensili in pietra datati 2.600.000 e 2.520.000 di anni, sono stati rinvenuti nel fiume Gona in Etiopia, utensili considerati “i più antichi da almeno 120.000 anni”. (8) L’Homo sapiens, la nostra specie, risale a 300.000 - 500.000 anni fa, una specie che presentava differenze individuali, ma nessuna differenza tra il genere maschile e quello femminile. La mancanza di differenze si mantenuta per lungo tempo. Nel 40.000 a.C., gli africani migrarono a Har Karkom, nel Sinai e incisero delle figure megalitiche simili ad esseri umani senza raffigurare alcuna distinzione nelle caratteristiche di genere. (Vedi capitolo successivo). Le immagini raffiguranti la madre paleolitica, risalenti al 18.000 - 26.000 a.C. rinvenute a Savignano, in Italia, hanno sia caratteristiche maschili che femminili. Si tratta di una immagine di donna incinta dalla testa a forma di fallo. (9) La differenza tra donne e uomini è data dalla struttura del DNA, le formazioni cellulari fonti di energia, ereditate “solo attraverso la madre”. (10) A causa di questa eredità nel DNA, Cavalli-Sforza sostiene che le credenze religiose, le pratiche politiche radicate nel tempo assumono le caratteristiche del culto della grande madre. (11)
L’analisi del DNA dimostra che l’Homo sapiens si manifestò in Africa 100.000 anni fa, sovrapponendosi e sostituendosi ai suoi predecessori. Dopo il 50.000 a.C., gli emigranti africani si spostarono e navigarono verso ogni continente della terra. L’analisi del DNA rivela, inoltre, che le numerose migrazioni avvenute fuori del continente africano erano recenti così come lo erano 20.000 anni fa. Dall’Africa, l’Homo sapiens si mosse dapprima verso l’Asia occidentale 40.000 - 50.000 anni fa, in seguito si spostò a piedi o via mare verso l’Europa occidentale e orientale, in seguito verso l’Europa orientale e la Siberia, da dove attraversò lo stretto Bering superando i ghiacciai e raggiungendo così le Americhe tra i 15.000 - 30.000 anni fa. (Vedi la cartina delle migrazioni).
Le immagini di donne corpulente con grossi seni, chiamate “Veneri” o dee, sono state ritrovate lungo le strade delle migrazioni africane in Italia, lungo i Pirenei spagnoli e francesi, nell’area della Dordogna in Francia e nell’Europa centrale e occidentale, soprattutto in Austria, in Germania, nelle repubbliche ceche e slovacche, in Bulgaria e in Romania. Nel 1880, a Monaco, vicino al confine tra Francia e Italia, furono rinvenute molte di queste raffigurazioni. Sebbene la maggior parte di queste statuine siano finite nelle mani di vecchi collezionisti, almeno sette di loro possono essere ammirate all’interno del Museo di Antichità Nazionale a St. Germain-enLaye, vicino Parigi.
Nell’ottobre del 1995, Wally e io visitammo la zona in cui erano state rinvenute queste statuine, a Balzi Rossi, in Italia (chiamata dai francesi Cava dei Grimaldi), situata tra Menton, in Francia e Ventimiglia, in Italia. Lungo questa costa del mediterraneo italo-francese, rimasi sbalordita dalla presenza delle numerose tracce della antica presenza della madre africana. Le scogliere sono di un colore rosso ocra, le grotte sono a forma di ventre. Le conchiglie trovate sulla spiaggia somigliano a quelle del Senegal, in Africa. A Balzi Rossi immaginai gli sbarchi delle popolazioni africane sulle spiagge, al riparo dalle rosse scogliere, all’interno delle grotte, intenti magari a scolpire statuine della grande madre dal colore rosso. Queste immagini raffigurano donne nude, alte quindici centimetri, con larghi fianchi e grandi seni. Il fatto che molte di queste immagini rappresentino delle donne incinte sta ad indicare la matrice feconda della madre nera. Gli enormi seni rappresentano il nutrimento. L’immaginazione prende il volo davanti ai visi non delineati e a mammelle pendule. Alcuni teorici di genere maschile ritengono che “le parti sessuali siano spesso eccessive”. Le zone in cui sono state rinvenute queste statuine della madre nera, sulle rotte dei migranti africani preistorici, lungo il litorale mediterraneo dell’Europa, spesso sono diventati, in epoca storica, santuari di madonne nere. Gli studiosi del Frauen Museume di Wiesbaden, in Germania, furono tra i primi, del nostro tempo, ad accorgersi dell’esistenza di altre divinità femminili tra le immagini europee studiate dall’archeologa lituana Marija Gimbutas. Nel 1996 venne organizzata una mostra da un museo, Oya Kala Dao, dedicata alle donne, che presentava le icone della madre nera rinvenute in tutto il mondo - dall’Africa, dall’Asia, dall’Europa del Nord, dal sud America e dall’Oceania. L’origine africana degli umani moderni è stata confermata dai genetisti, dagli archeologi e dai paleontologi. Tre differenti gruppi di lavoro sulla struttura del DNA formati da genetisti confermano l’origine dell’umanità in Africa. L. Luca Cavalli-Sforza, genetista, ha documentato, inoltre, che le popolazioni africane racchiudono nel continente il maggior numero di differenze genetiche e costituiscono la più grande espressione di eterogeneità dei gruppi umani di tutti i continenti. “La popolazione che per più tempo è stata differenziata mostra la massima eterogeneità”. (12) La testimonianza fornita dai genetisti indica che i nostri antenati africani sono più antichi delle date indicate dall’archeologia. (13) L’armonia presente nell’antica civiltà incentrata sulla madre ha dimostrato che nell’Africa paleolitica non esisteva alcuna divisione tra il sacro e il profano, così come non esisteva una divisione tra l’io e l’altro: la madre e il mantenimento di tutte le forme di vita erano un tutt’uno. Il concetto dell’altro sembra essere emerso in Europa con le invasioni di popolazioni di lingua indoeuropea dopo il 4300 a.C. (14)
Emmanuel Anati, archeologo italiano, ritiene che l’origine degli umani moderni nell’Africa centrale e meridionale - da dove migrarono in tutto il mondo tra il 50.000 e il 60.000 a.C. - conferisca implicitamente credito agli africani, i primi umani moderni, che hanno dato origine alla civiltà del mondo. Gli africani primitivi possedevano una eccezionale curiosità dalla quale deriva ogni forma di conoscenza, così come l’abilità di creare, di esprimersi attraverso un linguaggio articolato e la capacità di astrazione, di sintesi, e di concettualizzazione… le basi delle religioni, dei ragionamenti e della filosofia. La natura matriarcale di questa prima civiltà del mondo è indicata dalla scoperta fatta da Anati sul diffuso utilizzo del colore rosso nelle cave africane e nei graffiti sulle rocce risalenti a 50.000 – 60.000 anni a.C., allorché gli africani emigrarono in tutti i continenti portandosi dietro i simboli della madre nera. (15) Nel Sudafrica, nei pressi di una caverna che presentava al suo interno graffiti di colore rosso ocra, è stata rinvenuta un’orma risalente al 115.000 a.C. appartenente presumibilmente ad una donna “del lignaggio della nostra ipotetica comune antenata”. (16) L’Africa meridionale del Sahara, dove si sviluppò l’umanità moderna, è la regione più ricca al mondo di graffiti. Il rosso ocra è il colore predominante all’interno della caverna artistica tra Tassili n’Ajjer e Tadrart Acacus (circa 300 pareti raffiguranti 2.700 immagini). Secondo l’archeologo Umberto Sansoni, le figure danzanti, che cantano o che suonano strumenti musicali, o immerse in rituali di iniziazione, con decorazioni sul corpo e che indossano maschere, caratterizzano l’arte dell’intero continente africano che per altri versi è così eterogeneo. L’antica arte degli africani a sud del Sahara indica che essi veneravano i loro antenati, consideravano sacri gli animali e tutte le forme viventi, e che vivevano sostanzialmente in maniera non violenta. L’antica arte africana che abbonda di creature fantastiche evoca l’arte surrealista contemporanea, soprattutto quella di Marc Chagall. (17) La migrazione africana verso diversi i continenti trova conferma negli esami del DNA, nell’arte dei graffiti e nelle similitudini riscontrate nelle statuine preistoriche rinvenute in Africa, nella vecchia Europa e nell’Asia. Steatopigia è il termine inusuale per definire l’accumulo di tessuto adiposo in alcune parti delle corpo, cosce e glutei, delle donne particolarmente evidenti in di alcune popolazioni: “gli Hottentots, i Bushmen e altre popolazioni dell’Africa meridionale.” (18) Gli scheletri (quelli delle ginocchia di una donna anziana e quelli di un uomo giovane, rinvenuti in Liguria e nell’Italia settentrionale) sono descritti dagli antropologi come aventi “caratteristiche negroidi”. Gli scheletri africani di epoca preistorica custoditi nel museo Bardo, in Africa e, gli scheletri siciliani che si trovano nel Museo Paolo Orsi di Siracusa, in Sicilia, sono del tutto simili. (19)
I graffiti raffiguranti alcune specie di animali, all’interno delle caverne africane, risalenti al 30.000 a.C., sono raffigurazioni di scheletri colorati in rosso ocra, carbone ed ematite. Meravigliose per la loro grazia e per la loro bellezza, gli storici dell’arte pensano che il livello artistico raggiunto all’interno di queste antiche caverne non sia, da allora, mai stato eguagliato. Gli specialisti di graffiti giudicano le tecniche dell’arte paleolitica estremamente sofisticate: la testa di un bisonte “è sostenuta sulla curva di una roccia ed è girata allo scopo di ottenere un duplice effetto prospettico. Le sfumature sono usate allo scopo di dare maggiore contrasto alle figure, alcune ondeggianti, l’una dietro l’altra, per ottenere una prospettiva di maggiore impatto. (20)
Tra le varie testimonianze sulle migrazioni in Sicilia da parte degli africani è da evidenziare l’incisione risalente al 10.000 a.C. nella grotta dell’Addaura, vicino Palermo, raffigurante uomini e animali mentre compiono un rituale. Questa incisione è considerata la più antica rappresentazione riprodotta in una caverna da esseri umani in Europa. (21) All’interno della penisola italiana, le immagini della madre paleolitica, soprattutto quella della “Venere” di Savignano, 26.000 - 18.000 a.C., (22) sono simili ad altre rappresentazioni della madre nera rinvenute lungo i sentieri delle migrazioni africane in Europa: a Laussel Dordogne, in Francia (22.000 – 18.000 a.C.); a Lespugue Haut-Garonne, Francia (20.000 – 18.000 a.C.); a Willendorf, Austria (20.000 – 18.000 a.C.); a Dolni Vestonice, Cecoslovacchia, (20.000 a.C.); ed a Petersfels, Germania (14.000 a.C.). Queste statuine della madre nera segnano la mappa degli itinerari della migrazione africana nell’Europa – prima in Sicilia, poi in Italia, in Francia, in Austria, in Cecoslovacchia e in Germania. I capelli della statuina di Willendorf, in Austria, sono acconciati a spiga di grano, uno stile africano tuttora utilizzato dalle donne afro-americane. Le successive migrazioni africane sono indicate nelle immagini di madri neolitiche corpulente, inclusa la Lady di Pazardzik nella Bulgaria centrale (4500 a.C.) e la donna incinta con la testa a forma di fallo di Cernavoda, in Romania (5000 a.C.). In maniera del tutto indipendente, Luca Cavalli-Sforza, genetista, e Emmanuel Anati, archeologo, hanno, di fatto, confermato le scoperte compiute da Marija Gimbutas. La supposizione che la vecchia Europa prima del 4000 a.C. fosse armoniosa, che le credenze rintracciate nelle caverne e nei graffiti ruotassero attorno a una donna, intesa come progenitrice della vita e come metafora della fecondità della terra e, che i popoli preistorici cooperassero tra di loro, senza guerre, fortezze o schiavitù. (23) Secondo la tesi di Gimbutas, dopo il 4000 a.C., popoli guerrieri provenienti dalle steppe eurasiatiche soppressero questa civiltà pacifica incentrata sulla madre. Questi genti di lingua indoeuropea, chiamati Kurgani per via delle loro sepolture a tumulo, sono conosciuti anche come ariani. (24) I sostenitori delle culture dominanti, che hanno visto come straordinaria la civiltà occidentale degli ariani o degli indoeuropei, hanno ignorato la possibilità che prima del disgelo dei ghiacciai, la penisola asiatica, che i greci chiamavano Europa, fosse contigua ai territori africani. La vicinanza dei continenti favoriva le prime migrazioni africane all’interno dell’Europa. Esistono testimonianze sulle navigazioni africane ad occidente verso il nuovo mondo. Ivan Van Sertima ha messo in luce la presenza di immagini africane all’interno della civiltà degli olmechi del Messico. (25) Le migrazioni a occidente dall’est asiatico si sono ripetute, dall’epoca preistorica ai giorni nostri. Tenuto conto del bagaglio genetico degli europei contemporanei si può parlare del 65% di origine asiatica e del 35% di origine africana. (26) Le testimonianze sull’origine africana della civiltà del mondo sono in crescente aumento. Nel novembre 1999, l’origine africana dell’alfabeto, fin qui attribuito ai canaaniti dell’Asia occidentale, è stata rintracciata nel deserto occidentale del Nilo. “Le incisioni sulle rocce in pietra liscia, le scritture semitiche con influenze egiziane, risalgono al periodo compreso tra il 1900 e il 1800 a.C., due o tre secoli prima della datazione del primo alfabeto. I primi esperimenti a riguardo, sembrarono essere opera della popolazione semitica che viveva in Egitto e non nella loro terra, all’interno della regione sirio-palestinese, come si era precedentemente supposto.” (27) Questa scoperta converge, inoltre, con la scuola di pensiero (discussa nel capitolo II) che documenta le complesse migrazioni dall’Africa all’Asia occidentale e le migrazioni di ritorno dall’Asia occidentale all’Africa. La tesi policentrica, multiregionale che riconosce la genesi africana, ma sostiene che i popoli si svilupparono in varie aree della terra e in maniera differente, è stata di fatto confutata, da Cavalli-Sforza, il quale ritiene che non ci siano prove sufficienti per sostenerla. Questo studioso ritiene che le popolazioni africane siano tra le più eterogenee al mondo. (28) All’inizio del terzo millennio, le tesi neandertaliane, così come quelle policentriche sono state categoricamente rigettate a livello internazionale dagli scienziati. In passato si è dato credito alla teoria del multiregionalismo per difendere l’ideologia della purezza della razza bianca. Ma a partire dal 2001, gli scienziati sostengono che l’uomo moderno si è evoluto solo in Africa. Da quel continente, gli antenati degli esseri umani moderni migrarono in tutto il mondo senza fondersi con le razze più antiche dell’umanità. Rebecca Cann, docente di antropologia molecolare all’Università delle isole Hawaii, si chiede, perplessa, come mai l’idea delle razze separate abbia avuto così tanto successo. Come mai gli scienziati, così come gli accademici, hanno rifiutano la prova del DNA che attesta le origini africane di tutta l’umanità? La teoria del DNA – che conferma l’eredità della madre – secondo Cann, non è accettabile da alcuni scienziati di genere maschile. (29) Nel 2000, Cavalli-Sforza, con l’opera Genes, People and Language, (30) all’interno della ricerca interdisciplinare conferma la sua ipotesi rendendo noti i dati scientifici attestanti che le differenze principali tra gli esseri umani sono tra gli individui e non tra le popolazioni, “o tra le cosiddette ‘razze’”. Se le differenze esistono, egli afferma, sono da attribuire al clima. Cavalli-Sforza fornisce, inoltre, una risposta al quesito – se sia mai esistita una Eva africana o un Adamo africano.
Secondo il genetista è esistito un Adamo africano, aggiungendo enigmaticamente, “ma i processi di trasmissione paterna e materna si verificavano in maniera indipendente”. Secondo le recenti ricerche genetiche sul cromosoma Y che integra il lavoro sul DNA, i nostri antenati primordiali, che i cattolici chiamano Adamo ed Eva, vissero entrambi in Africa, sebbene non necessariamente nella stessa regione. Sia Eva che Adamo nacquero circa 144.000 anni fa. Inoltre, una scoperta sorprendente è emersa dalla ricerca sul cromosoma maschile Y – nella preistoria, le donne, che generalmente vengono considerate sedentarie, percorrevano distanze maggiori degli uomini. Il nuovo albero genealogico, radicato nel cromosoma maschile Y, così come nell’eredità del DNA della madre, avvalora le prime scoperte genetiche. La prima emigrazione partì dall’Africa orientale verso l’Asia, probabilmente da Suez e dal Mar Rosso. Le migrazioni africane nell’Asia occidentale proseguirono in seguito verso la costa meridionale dell’Asia. Dal nord est asiatico si giunse probabilmente nell’Asia sudorientale e centrale. Dal sud est asiatico, l’espansione continuò a sud nei pressi della Nuova Guinea e dell’Australia. La diffusione nell’Europa fu relativamente recente; iniziò circa 40.000 anni fa e partì dall’est, dall’ovest e dal centro dell’Africa. (31)
Ci sono voluti un paio di decenni affinché venisse riconosciuta l’attendibilità della trasmissione ereditaria del DNA attraverso la madre. Esisteva una forte resistenza tra gli scienziati di sesso maschile, i quali non condividevano il dibattito sulle implicazioni spirituali delle statuine delle dee. Ora che il dovuto rilievo è stato accordato al cromosoma Y, provando che esisteva un Adamo così come molte Eve, gli scienziati di sesso maschile, fin qui ostili alle teorie spirituali basate sul DNA trasmesso attraverso la madre, stanno discutendo sulle implicazioni spirituali del cromosoma maschile Y. Edward O. Wilson, in un’intervista realizzata dal Wall Street Journal, afferma che una nuova base per i valori spirituali si potrebbe ritrovare, non “nelle solite fonti religiose”, ma in ciò che egli chiama “la storia ispiratrice delle origini umane e della storia”. Abbiamo bisogno, afferma Wilson, “di creare una nuova epica basata sulle origini dell’umanità (…) l’Homo sapiens ha avuto una storia infernale! E io parlo di storia approfondita (…) sull’evoluzione, sulla genetica (…) e, sull’antropologia culturale per i passati 1000 anni o più in là.” (32) Un altro scienziato, meditando sul recente lavoro sul cromosoma Y maschile, fu spinto a dichiarare: “Relativamente al cromosoma Y siamo tutti africani e, quindi, siamo davvero tutti fratelli”. (33) Sebbene la conclusione degli scienziati che “davvero siamo tutti fratelli” sia una buona notizia, Wilson non menziona il fatto che ciascuno di noi ha una madre nera africana. Tutto ciò non è nuovo per Necia Desiree Harkless, un’etnografa afro-americana, che ha compiuto importanti studi sulle nostre origini, sulle migrazioni africane nei diversi continenti, sul culto antico e moderno della madre nera. Queste verità, afferma Harkless, non sono ancora comprese fino in fondo dalle culture internazionali dominanti, ma “indubbiamente avranno un grande impatto nel ventunesimo secolo”. (34) La rappresentazione della dea africana serpente con la testa a forma di uccello con le braccia sollevate in posizione di oratrice durante una celebrazione, risalente al 4000 a.C., è ritenuta l’immagine più rappresentativa della nostra creatrice. Il dottorato di ricerca di Angeleen Campra di Sophia mi ha insegnato che il termine genitrice è più appropriato. L’immagine si trova nel Dipartimento delle Antichità Egiziane del British Museum. Di data posteriore sono il segno della V pubica ed il colore rosso ocra. Le sue caratteristiche sono quelle di un uccello e di un serpente, sebbene rappresenti un’immagine femminile. Le gambe sono saldamente piantate a terra, le braccia celebrano l’universo e le mammelle offrono il nutrimento necessario per ogni forma di vita. Come mai a questi segni non è stato dato alcun rilievo? I mercanti di schiavi, i mercenari, gli imperialisti (europei, arabi e nordamericani) schiavizzarono le popolazioni africane. Le risorse africane furono trafugate, i tesori vennero saccheggiati, le icone ed altri oggetti d’arte furono depredati e portati via. Le tradizioni africane furono espropriate, distrutte, distorte, soppresse. Ciò che oggi rimane, in Africa, è ciò che non può essere rubato: la memoria della madre nera nelle incisioni sulle rocce, nei dipinti delle caverne, attraverso altre forme di arte e nei rituali. L’arte preistorica africana associa la madre nera alla fecondità della terra, attraverso i suoi segni antichissimi che esprimevano l’origine di tutte le forme viventi. Le donne sono spesso dipinte nell’atto di danzare. Gli uomini sono dipinti in corsa con antilopi, elefanti, rinoceronti, leoni e giraffe. Nelle regioni dell’Hoggar, del Tadrart Acacus, soprattutto nel Tassili, “si trovano circa 12.000 dipinti realizzati tra il quinto e il primo millennio, comprendenti le più belle rappresentazioni di forma umana che la preistoria possa mostrarci”. (35) Durante l’era neolitica, graziose ciotole rosse con la parte interna di colore nero apparvero in Nubia e in altre zone. “Questi recipienti (quasi tutti senza coperchio) sono di un nero lucido all’interno che si spande anche all’esterno per mezzo centimetro fuori dal bordo, mentre la parte esterna è completamente rossa. Il rosso era ottenuto tinteggiando la superficie di rosso ocra prima di metterlo sul fuoco, mentre il nero sembra che si ottenesse sistemando la ciotola direttamente sul fuoco con il bordo rivolto verso il basso, su un cumulo fumante di foglie e di paglia. (36) Questa tecnica, tipica delle ceramiche del nord est africano, fu successivamente riscontrata nella lontana India. (37) Durante il primo millennio avanti Cristo e per i primi cinquecento anni, dopo la sua venuta, nel mondo mediterraneo la principale divinità sembra che sia stata l’Iside africana, madre nera dai molti nomi. La grande madre del mediterraneo, Iside, ereditò la lunga tradizione della madre africana i cui segni erano il colore rosso ocra e la V pubica, così come le spirali, i cerchi e l’identificazione umana con gli animali. La scienza, a partire dal 1960, ha compreso ciò che gli antichi già sapevano: Iside era una dea africana, le cui origini sono rinvenibili nella Nubia o nel nord dell’Egitto. La Nubia, che si trova alla confluenza tra il Nilo blu e quello bianco, era una regione africana la cui civiltà prosperò per “più di 500 anni prima della costruzione delle grandi piramidi di Egitto”. (38) Nel suo santuario di File, in Africa, Iside era una dea nera. Metafora della grande madre dell’umanità, anticipatrice della madonna nera, così come delle madonne sbiancate dalla chiesa dell’Europa cristiana, (39) la sua civiltà, a Meroe, in Nubia (attuale Sudan) dal 100 a.C fino al 400 d.C. trasmise i suoi valori. La regione più interna dell’Africa, ben nota agli antichi, era l’Etiopia, il suo nome era attribuito nell’antichità a “tutte quelle zone africane abitate da popolazioni dalla pelle nera”. Gli artisti egiziani utilizzavano una “tinta rosso-marrone per il colore della pelle degli uomini egiziani, giallo per le donne e nero-marrone o nero per tutti i nubiani”. I greci ed i romani definivano l’Etiopia (la zona a sud dell’Egitto) come la “Terra delle facce bruciate” e definivano il Sudan come “la Terra dei neri”. (40) L’Etiopia, oggi, comprende la Nubia, (41) sebbene i nubiani siano simili ai sudanesi, la loro lingua è unica e si richiama ad un antico ceppo linguistico, differente dall’arabo parlato ai confini della loro terra. (42) Gli egiziani costruirono alcuni dei loro mastodontici monumenti in Nubia, soprattutto sul grande tempio in roccia di Abu Simbel, ma la Nubia donò la madre nera Iside all’Egitto ed al resto del mondo. (43) La piccola isola di File in Nubia era nota come “Holy Island” o come “Interior of Heaven” e “City of Iside”. (44) Nel 1960, William Y. Adams, archeologo, antropologo ed esperto UNESCO, coordinò il recupero dei tesori durante la costruzione della diga Aswan. Adams considera la venerazione di Iside come “una delle più importanti trasformazioni ideologiche della storia”. Nella terra del Nilo, la venerazione di Iside divenne “la prima vera religione internazionale e soprannazionale, non più culto di un solo gruppo ma venerata e protettrice di tutti i popoli”. File divenne una città santa ed un luogo di pellegrinaggio di tutte le classi sociali e di tutti i popoli: i cusciti, gli egiziani, i greci, i romani e i nomadi del deserto. (45) Il culto della “anziana dea della fertilità dell’Egitto” secondo Adams, anticipò il ruolo che ebbe il “Cristianesimo e l’Islam nell’Epoca Medioevale”. (46) La Città di Meroe, sito della corte reale cuscita, era il centro di un impero, “che includeva non solo buona parte di Nubia, ma anche alcune regioni a sud del moderno Khartoum. La cultura meroica era strettamente legata alle tradizioni dell’Africa centrale, sebbene facesse uso degli stili egiziani, ai quali si aggiunsero elementi greco-romani”. (47) Lo studio dell’archeologia e della storia nubiana ha stabilito la centralità del culto della madre nera Iside, che esemplifica le tradizioni africane matriarcali. “Solo attraverso il regno delle donne i monarchi potevano ottenere il trono. Tutti i re e le regine dovevano essere nati da una regina, di solito dalla sorella del regnante”. (48) La saldatura tra la religione e la vita quotidiana in Africa è suggerita dal ruolo della donna africana, la madre nera sacerdotessa, era la “Signora del Paradiso”, così come la “Padrona della Casa”. (49) Gli occhi di Iside nelle tombe dei faraoni egiziani guardavano verso l’eternità; come nel caso di Khnumnakht (100-100 a.C.), il cui sarcofago si trova ora al Metropolitan Museum of Art di New York. I suoi occhi si possono ritrovare sugli amuleti portati dalle popolazioni mediterranee ancora oggi per allontanare “l’occhio del diavolo”. La diffusione della credenza popolare “nell’occhio del diavolo” può spiegare il fascino della madre nera, così come l’ansietà del patriarcato di fronte quegli occhi fissi. (50) La venerazione di Iside, secondo R.E. Witt, si diffuse dalla Nubia all’Afghanistan, dal Mar nero al Portogallo, fino al nord dell’Inghilterra. (51) A partire dal primo secolo dell’era moderna, uno dei più grandi templi costruiti ad di fuori dell’Africa fu edificato a Roma, mentre altri vennero innalzati a Ostia e a Pompei. A File, in Nubia, Iside era così invocata: “Salve Regina, madre di dio”. A Ostia, vicino Roma, in Italia, veniva ricordata il 5 marzo, la data in cui i navigatori di ritorno dal mare sani e salvi dedicavano le loro navi e barche al suo nome. Le donne romane, dopo essersi immerse nel freddo Tevere, camminavano in ginocchio sulle rive del fiume fino al Pantheon, divenuto oggi un luogo di raduno delle femministe. L’immagine più diffusa di Iside, durante l’impero romano, è quella che la raffigura nell’atto di allattare suo figlio, Horus. Oltre ad essere considerata la regina del mare, Iside era vista anche come la regina del cielo e della terra e, fu facilmente trasformata nella santa madre cristiana. Le regioni dell’impero romano, le cui truppe erano formate da uomini neri dei tre continenti, portavano le immagini dell’africana Iside assimilata ad altre divinità dell’Asia occidentale, come Cibele, Inanna e Astarte, conosciute in tutto il mondo, dall’Africa all’Asia, a Roma, alla Francia, all’Inghilterra, fino al Danubio. (52) A Benevento, dove un grande iseo fiorì durante l’epoca romana, le seguaci di Iside furono, in seguito, chiamate streghe. (53) Nell’ottobre del 1999, quando Wally ed io visitammo il santuario di Iside a File, mi ricordai della descrizione fatta da Lucius Apuleius. Lucius, cittadino romano di Atene che studiò a Cartagine e visse in Marocco, disse di essere stato colpito dai “profumi d’Arabia” allorché Iside apparve e disse: “Io sono la Natura, la Madre universale, la padrona di tutti gli elementi, la figlia primordiale del tempo, la sovrana della spiritualità, la regina della morte, la regina degli immortali, l’espressione di tutti gli dei e di tutte le dee esistenti”. Venerata sotto vari nomi in Africa, in Asia e negli imperi dei romani e dei greci, era conosciuta con i diversi nomi di Iside, Hathor, Ma’at, Artemide, Demetra, Persefone, Era, Madre del frumento, Giunone e Hecte. Era Lilith nell’Asia occidentale e Kali in India. Gli Hymn la veneravano come “la sola che dissipa le tenebre”, la sovrana del sole che “punisce i suoi nemici”, i cui raggi “riempiono la terra di polvere d’oro”. (54) La memoria dell’antica madre africana è richiamata, oggi, nelle poesie di Luisah Teish, poeta e scrittrice afro-americana che attribuisce la sua ispirazione all’Egitto, definendolo “la culla mistica della civiltà”, rintraccia Iside nella dea yoruba Yemonja, dea madre che “ci nutre con l’alternarsi dei cicli della vita”. Teish identifica Iside, inoltre, con la dea yoruba Oshun, dea dell’amore, dell’arte e della sessualità che “rappresenta la natura erotica”. L’Africa, per Teish, è il continente in cui “le divinità si muovono con gli esseri umani e la danza diviene una preghiera”. Consapevole delle diaspore africane, Teish scopre il rispetto per la terra nella “necessità di muoversi con equilibrio” delle credenze africane ibo e dei nativi americani. Le poesie di Teish sono delle preghiere rivolte a Yemonja la yoruba come “madre della notte, delle profondità delle tenebre, portatrice della luce” legata ad Iside e a Hathor. Nella sua poesia considera le diverse implicazioni delle molteplici manifestazioni della madre nera: “La mucca con le corna, la scrofa dai molti seni, l’ape regina, la madre genealogica, il ventre pregnante, il seme di ginestra, la candela consunta, vedova e donna, tu sei mia figlia”. (55) La civiltà della madre nera africana possiamo ritrovarla a Meroe, in Nubia, nella regione superiore dell’antico Egitto, nell’area chiamata attualmente Etiopia. L’Egitto, nonostante la visione eurocentrica lo veda come un paese “orientale” o del “Vicino Oriente”, (56) è in realtà un paese africano, plasmato dal Nilo, il fiume che trasporta le merci africane e la sua gente su e giù, lungo un asse nord-sud dall’Egitto alla Nubia. Nell’antica civiltà nubiana di Meroe, la successione matriarcale era un costume diffuso, poiché i generi coesistevano in maniera pacifica. Alcune regine madri regnavano da sole, altre regnavano assieme ai loro mariti o figli. Nelle culture matriarcali dell’Africa, anche le varie religioni convivevano in maniera pacifica. A Meroe, la religione di Iside onorava il culto del dio con la testa di leone chiamato Apedemek, e il culto di Amun. I sacerdoti e le sacerdotesse delle varie religioni gestivano insieme l’amministrazione politica ed economica di Meroe. Civiltà egualitaria che sosteneva ogni forma di vita, Meroe era, inoltre, un noto centro di cultura e di commercio che offriva benessere e prosperità a tutti. Ogni giorno, nel tempio chiamato Tavolo del Sole, dedicato alle dee e agli dei, gli africani offrivano cibo e altri beni. “I bisognosi potevano venire al tempio e prendere liberamente ciò di cui necessitavano”. (57) Questa antica tradizione africana, che è sopravvissuta per vari millenni, è rievocata, oggi, a San Francisco, nei servizi della comunità del Reverendo Cecil Williams del Glide Memorial Church. Il Tavolo del Sole, a Meroe, era il precursore dei templi romani dedicati a Cerere, la dea del grano di Roma, dove i poveri si recavano per rifornirsi di grano”.
Questa celebrazione africana del grano persiste tuttora in Italia. A Ferragosto, nel giorno della festa cristiana dell’assunzione della vergine in cielo, avviene una celebrazione analoga. Il 15 agosto del 2000 ci trovavamo in Sicilia e prendemmo parte alla festa del Gangi, sulle montagne della Sicilia nord-occidentale, dove centinaia di lavoratori emigrati, ogni anno, si recano con le loro famiglie. Da questa festa, che celebra le dee pagane del grano portammo via come ricordo una spiga di grano e la sistemammo sulla porta di ingresso della nostra casa di Berkeley. A Roma, il tempio della dea del grano Cerere, è divenuto la chiesa di Santa Maria di Cosmedin, dove viene venerata una madonna nera. All’inizio dell’era storica, una scultura, che simboleggia l’appropriazione maschile ad opera dei romani di Iside, fu collocata all’ingresso di questa chiesa. La leggenda che ruota attorno a questa scultura, chiamata Bocca della Verità, dice che la bocca colpirà la mano di tutti coloro che mentiranno. Le femministe italiane contemporanee, celebrando i valori di giustizia e di verità della grande madre, hanno collocato una copia della Bocca della verità all’interno di teatri, in luoghi frequentati, in cui la gente può depositare denunce su azioni mafiose e di corruzione politica.
Una conferma italiana sulla venerazione della madre nera africana può essere rintracciata nelle icone di Iside, all’interno del museo nazionale di Napoli e nelle icone di Pompei, di Benevento, di Palestrina, di L’Aquila, di Verona e di Roma. Molte testimonianze sulla diffusione della venerazione della Iside africana, durante l’impero romano, furono distrutte dall’eruzione del vulcano che seppellì Pompei. (58) Nel 1997, l’esposizione di Iside a Milano ha documentato il vasto arco di tempo in cui fu venerata Iside, dall’antichità all’inizio dell’era cristiana, dall’Africa all’Europa, all’Ucraina e fino all’India. Con l’avvento della religione cristiana, nel 323 d.C., i padri della chiesa, animati dalla volontà di cancellare le precedenti credenze pagane, distrussero, nel 450 d.C., Meroe. Cosa sarebbe successo se fossero stati minacciati da questa civiltà africana che si identificava con la natura ed in modo particolare con il Nilo? “Ogni anno la terra riviveva più rigogliosa e più vitale grazie al flusso del Nilo; ogni anno gli uccelli migratori sorvolavano la regione del Nilo in cerca di cibo e di riposo. Un ordine superiore, antico e sempre mutante, ha sostenuto l’Egitto mentre altre potenze sorgevano e cadevano tutto intorno … La natura trasformava pazientemente, generava con abbondanza e nutriva ininterrottamente. L’ordine umano che ebbe origine da quella grande e naturale magia primordiale fu unico quanto il suo ambiente.” (59)
Questo sapere legato ad una terra onnipresente e protettrice può aiutarci a comprendere il perché gli egiziani raggiunsero uno straordinario livello artistico, architettonico e morale. “Gli dei” e “le dee” d’Egitto si sollevarono dalla terra e l’acqua del fiume fu un tutt’uno con l’aria e le creature che volavano su di esso, influenzando con la loro armonia la vita dell’intero paese.” Ogni cosa e ogni creatura fu permeata di forza vitale.
“Il termine geroglifico di coleottero significa “essere”. Il coleottero ed il sole sono entrambi analogie della stessa forza, non soltanto simboli”. Per i popoli legati alla terra, gli africani, i siciliani e gli altri, “Il nome di una cosa e la cosa stessa coincidono.” (60) La teologia legata alla terra non è ponderante. In una delle storie egiziane sulla creazione, il creatore Amun vola tutto attorno starnazzando dopo avere covato un uovo. Gli africani, che nutrono un affetto familiare per le loro divinità, chiamano Amun “la grande gallina che cova l’uovo”. Allo stesso modo, gli africani attribuiscono le caratteristiche animali agli esseri umani e le caratteristiche umane agli animali, identificando le divinità con le forme umane ed animali. (61) Talvolta la dea era un vitello chiamato Hathor, altre volte era una donna con la testa di Hathor. Horus, figlio di Iside, potrebbe essere un falco, talvolta un uomo con la testa di un falco, altre volte un bambino nelle braccia di sua madre. (62) L’armonia tra gli umani e gli animali caratterizzava l’Africa di un tempo, così come l’armonia tra gli uomini e le donne. Un visibile appagamento si può notare in molti dipinti di coppie abbracciate. Considerando la vita come una spirale, gli africani credevano che una nuova vita scaturisse dalla morte. Iside è assimilata a Ma’at, dea africana il cui nome denota la madre, (63) ed a Sekhmet, il cui nome significa “la sola potenza”. Ma’at porta una penna sulla testa, indicante la giustizia. In molte rappresentazioni Iside (così come di Ma’at) porta delle penne. Le penne, che rappresentano le guide egiziane, denotano l’uguaglianza, poiché sono uguali da una parte e dall’altra. Quando una persona muore, il suo cuore, il centro dell’intelligenza, sarà pesato su una bilancia mantenuta in equilibrio dalle penne di Ma’at. Se il cuore non è leggero quanto la piuma, l’anima sarà consegnata ad Apet, il divoratore.
Ma’at, o la madre, personifica la verità, l’etica, la giustizia ed il comportamento irreprensibile (64). Sekhmet, la rappresentazione feroce della madre nera africana, era una donna con una testa di leone. Centinaia di statue di Sekhmet furono scoperte all’interno del tempio di Mut a Karnak. Così come Iside, originariamente Sekhmet portava un disco di sole sulla sua testa ed un “ankh”, ad indicare che la vita era nelle sue mani. Si dice che l’ankh” prefiguri la croce cristiana, sebbene il simbolo cristiano non abbia un ovale femminile. (65) L’africana Iside è assimilata all’anatoliana Cibele, alla sumera Inanna, alla canaanita Astarte ed alla romana Diana. Le immagini tipiche di Diana sono un trono, una barca, delle vele ed il flusso annuale del fiume Nilo. Spesso dipinta con ali spiegate, Iside richiama l’uccello paleolitico e la dea serpente africana. Una statuina americana contemporanea che mostra una donna idolo con le ali rafforza la tesi che le credenze africane sono state portate dai migranti africani in tutti i continenti. Nel XX secolo, un artista siciliano ha dipinto alcune comari, donne legate tra loro in memoria della madre, sostenute dall’ala protettrice di Iside.
Nell’antichità, a Biblo, nell’Asia occidentale, l’Iside africana veniva identificata con la dea canaanita Astarte. Durante il periodo ellenico, Iside divenne la grande madre; il suo consorte Osiride, o “il grande nero”, divenne Zeus, Pluto e Dioniso. La persistenza delle verità di Iside, la cui civiltà era incentrata nella nubiana Meroe, può dipendere dal fatto che incarna il rispetto di tutte gli esseri viventi … sono sacri gli alberi, così come lo sono gli uccelli, i coccodrilli, i coleotteri, i cobra e tutte le creature viventi. R.E. Witt, storico, analizzando la trasformazione della “fede africana in una religione diffusa a livello mondiale” sottolinea che la venerazione africana di Iside fu dapprima greca, e in seguito greco-romana”, (66) poiché l’impero greco-romano invase l’Africa, l’Europa e l’Asia. Dopo il 332 a.C., quando Alessandro di Macedonia conquistò l’Egitto, Alessandria divenne la capitale di un impero che si estendeva dal Nilo fino al Danubio. Nella città gli africani, gli asiatici, gli europei, i giudei ed i greci si mescolarono, Osiride divenne Esculapio o Serapide, dio della guarigione dei greci e dei romani; Iside fu assimilata all’anatoliana Cibele, alla canaanita Astarte ed alle dee greco-romane divenendo, infine, la grande madre del Mediterraneo. (67)
In tutto il mondo, nel corso del primo secolo dell’era comune, gli schiavi e le donne della nobiltà veneravano l’africana Iside considerata la divinità che “si imponeva attraverso la forza dell’amore, della pietà, della compassione e della sua particolare attenzione nei confronti degli afflitti”. (68) Prima dell’avvento del cristianesimo, la religione di Iside prometteva la vita dopo la morte. Templi dedicati ad Iside si trovavano in tutto l’impero romano: in Gallia, in Portogallo, in Spagna, in Bretagna, in Germania, in Italia ed in tutti quei luoghi che in seguito divennero santuari di venerazione delle madonne nere. In Italia, Iside era una divinità madre associata alla guarigione; il tempio a lei dedicato a Pompei, risalente al VI secolo a.C., è situato in prossimità di un tempio consacrato a Esculapio o Serapide. (69) Una caratteristica significativa di Iside, in seguito identificata con la madonna, consisteva nell’essere madre compassionevole. Durante l’epoca cristiana, suo figlio Horus venne rappresentato come l’immagine di Cristo. Iside è spesso rappresentata con una corona di alloro e due orecchie prominenti, a simboleggiare il fatto che ascoltava con grande attenzione le preghiere di coloro che a lei si rivolgevano, un’immagine che oggi può essere riscontrata anche nel folclore italiano. L’acqua, sempre associata a Iside, possedeva un carattere sacro: acqua sacra, fiumi sacri e mare sacro. Hathor, era associato alla forza rigeneratrice. La mucca, altra immagine di Iside, divenne sacra in India. La musica, associata ad Iside, era emessa da un sistro da lei suonato, un tintinnio che si può ancora udire nella musica africana contemporanea. Iside e il grano, in epoca romana divennero Cerere e il grano. Nell’epoca cristiana la dea divenne Santa Lucia, che nelle sue immagini mostra sempre un spiga di grano. L’albero di ulivo a lei associato, è oggi considerato simbolo di trasformazione non violenta. In Italia, la coalizione politica di sinistra si chiama, l’Ulivo. (70) Signora delle religioni, in Egitto, Iside era dio madre, poiché non rappresentava alcuna scissione tra femminile e maschile, era venerata da uomini e donne, da vecchi e giovani, da tutte le classi sociali. La sua statua, a File, costruita tra il secondo ed il primo secolo, prima della venuta di Cristo, raffigura Iside con un sistro in una mano e l’ankh nell’altra. Nell’immagine del 600 a.C., che si trova nel Museo del Cairo, Iside è raffigurata come una madre nutrice nera, ed inizia a somigliare alle immagini cristiane della madonna. La venerazione di Iside, del suo sposo Osiride e di suo figlio Horus, si mantenne all’interno di tutte le dinastie faraoniche, una storia lunga 3000 anni, risalente al tempo in cui la credenza in Iside si diffuse da Meroe e da Alessandria in tutto il “bacino del mediterraneo.” (71) In Italia ed in tutti quei paesi latini, in cui la sacra famiglia è alla base della devozione, la trinità di Iside, di suo marito e di suo figlio divenne la trinità cristiana popolare di Maria, Giuseppe e Gesù. Trinità popolare differente dalla trinità cristiana, poiché il cristianesimo canonico non prevede la figura della madre - padre, figlio e spirito santo. Nell’africana Memphis, gli inni erano rivolti ad Iside come divinità civilizzatrice ed universale, colei che aveva messo fine al cannibalismo, istituito leggi eque e dato origine all’agricoltura, alle arti, alle lettere, ai principi morali, alle buone maniere ed alla giustizia. Signora della medicina, guaritrice di tutte le disgrazie umane, sovrana della terra e dei mari, patrona dei pericoli derivanti dalla navigazione e dalla guerra, Iside era la “Dea della salvezza per eccellenza… colei che veglia anche sulla morte”. (72) Ai nostri giorni, un segno della persistenza dei valori della madre nera Iside, lo possiamo ritrovare nella cultura della trasformazione non-violenta. La cosmologia e la psicologia relative a questo valore di non violenza possono essere ritrovate nel fatto che in Iside non esisteva alcuna scissione tra maschile e femminile e nessuna separazione tra le donne. Iside diede “luce al sole”, sua sorella Ma’at, alla quale venne assimilata, era la dea della verità. Iside e Ma’at costituivano l’ordine della natura, principio sostenuto da Pitagora e dai suoi seguaci durante il periodo greco. Nella civiltà africana di Iside, gli esseri umani e la giustizia sociale erano un tutt’uno. Ogni essere umano era giudicato dall’ala della giustizia di Ma’at e dalla confessione in forma negativa: “Non ho commesso ingiustizie…non ho oppresso i poveri (…) non ho sbagliato (…) non ho maltrattato gli schiavi (…) non ho ucciso (…) non ho provocato il pianto (…) non ho falsificato l’asta della bilancia”. (73) I valori della confessione negativa isiaca spiegano perché, nel XX secolo, Simone Weil sostenne che le scritture ebraiche erano in obbligo con le scritture sacre egiziane. (74) I greci ed i romani si appropriarono dei valori di Iside trasferendoli ad Era, Demetra, Fortuna, Cerere, Giunone, e ai culti cristiani dei santi - soprattutto di Santa Lucia (vedi capitolo V). Gli imperatori romani ed i padri cristiani distrussero i suoi templi, ma la memoria della madre nera africana rimase nell’arte e non solo, a dispetto dei numerosi tentativi di cancellazione e di soppressione. La possiamo ritrovare in “Les Demoiselles d’Avignon” di Picasso, un’opera apparentemente africana, raffigurante una dea vagamente somigliante ad Iside ed a molte madonne nere presenti in questa regione della Francia (vedi capitolo IV). (75) Secondo Jean Leclant, egittologo dell’Accademia francese, “Iside, madre di Horus, trionfante, ma allo stesso tempo con il cuore spezzato, prefigura la Madonna col bambino della religione cristiana”. (76) Le madonne nere in Europa e le altre divinità femminili nel mondo, sono la prova più tangibile della profonda e persistente memoria della madre nera africana. La sua eredità è sottolineata dall’appassionata identificazione con i bisogni degli oppressi e con i valori della giustizia, con la compassione, l’uguaglianza, la trasformazione. In epoca cristiana, il tempio di Iside, a Pompei, fu rimpiazzato da molti santuari di madonne nere. A Pomigliano d’Arco, i rituali utilizzati per venerare la madonna nera sono di grande forza. A Montevergine, a dimostrazione del fatto che le icone simboleggiano la storia dei popoli subalterni, la madonna nera viene chiamata la schiavona. A Foggia, dove si dice che i contadini comunisti vadano in pellegrinaggio, l’immagine nera è chiamata l’Immacolata. (77) Le madonne nere si trovano in tutta Italia, come ho documentato nel mio libro “Black Madonnas” ed in tutto il mondo, come le illustrazioni contenute all’interno di questo testo dimostrano. In Sicilia, sulle rotte delle prime migrazioni dall’Africa, la memoria di Iside si può ritrovare dappertutto. Dozzine di icone raffiguranti Iside vicina a Bastet, il suo gatto, possono essere contemplate nei musei siciliani. Durante il carnevale, a partire dall’epoca cristiana fino ai giorni nostri, le immagini di Iside e del suo gatto esprimevano la derisione dei subalterni nei confronti della chiesa e dello stato. In Africa, durante il V secolo dell’era comune, i nubiani e le popolazioni vicine si armarono per combattere la diffusione forzata del cristianesimo, che comportò l’occupazione dei templi di Iside a File. Già a partire dalla metà del VI secolo, gli imperatori bizantini avevano imposto una versione patriarcale del cristianesimo come religione di stato in Nubia. Quando, meno di un secolo più tardi, gli invasori islamici conquistarono l’Egitto, i nubiani resistettero ma, alla fine, negoziarono ed ottennero un trattato in cui mantenevano il cristianesimo e la sovranità politica. Nel XV secolo, quando la Nubia cadde in mano ai nomadi arabi, l’islam divenne la religione di stato. In Africa, tuttavia, il ricordo dell’antica madre nera permane nonostante il dominio delle religioni patriarcali cristiane ed islamiche. (78) È visibile nei rituali delle feste, il ricordo ha lasciato traccia nei corpi e non è vissuto come rimembranza cognitiva. La memoria è rinvenibile in Africa nei rituali contemporanei, così come nei rituali di tutte quelle terre abitate dai migranti africani, ovvero in tutti i continenti della terra. Victor Turner, studioso della cultura matriarcale tra i ndembu, una popolazione del nordovest dello Zambia, descrive il rituale della pubertà delle ragazze, vale a dire il momento in cui l’adolescente viene separata dalla madre e lascia la sua infanzia alle spalle. Il rituale è praticato sotto un “albero di latte” che produce un lattice bianco. L’eco di questo rituale della separazione tra madre e figlia si può riscontrare in molti miti nel mondo, soprattutto nel mito di Demetra e Proserpina. Per i ndembu, l’albero del latte è – non simboleggia – il latte, l’allattamento, il seno ed il nubilato. E’ il luogo determinato “dove riposano le antenate”, in cui le nonne, le madri e tutte le donne ndembu furono iniziate alla femminilità ed in cui le tribù ebbero origine. Per i ndembu, l’albero del latte è il principio del matriarcato, della centralità della madre e costituisce la stessa nazione dei ndembu. La memoria della madre nera persiste, inoltre, all’interno delle credenze popolari africane contemporanee. Per i yoruba africani, la spirale, il simbolo della madre, genera la vita. Ogni cosa è un moto perpetuo all’interno di un movimento a spirale: “L’intero ciclo della vita di un uomo o di una donna è un viaggio. Le nostre credenze (…) tutti gli spostamenti che compiamo non sono nient’altro che viaggi. Stiamo avanzando, ci stiamo muovendo”. (79) In questo movimento, le donne yoruba, hanno piena consapevolezza del potere che possiedono e ciò consente loro di adeguarsi alle incertezze maschili. Per esempio, due spose acconciano i capelli di un prete, travestito da Agemo, con una foggia femminile. (80) Le donne yoruba sono economicamente indipendenti, soprattutto quando entrano in menopausa o diventano nonne, col passare del tempo dichiarano la propria autonomia dai lavori domestici. La civiltà di Iside ha conferito agli africani una “grande tolleranza nei confronti delle pratiche religiose e delle divinità di coloro che hanno incontrato sul loro cammino”. È una consuetudine quella africana di accogliere ed incorporare gli dei delle altre popolazioni, con cui sono venute in contatto, all’interno del proprio luogo di culto “con un senso totale di inclusione che ha visto tutte le divinità come una più grande manifestazione della medesima spiritualità”. (81) Quali
sono le implicazioni che l’antica madre nera africana comporta per la contemporanea teologia femminista? Attualmente, le teologhe femministe occidentali si stanno gradualmente avvicinando a ciò che può considerarsi il tema della cancellazione della madre nera africana. Delores Williams, una teologa afro-americana, considera Hagar come la madre nera di Ishmael, (mandato nel deserto da Abramo e da Sara in cerca della protezione divina) e come la più significativa figura biblica per le donne afro-americane. Secondo Williams, il patriarcato è un concetto inadeguato, poiché “non svela una discriminazione importante operata nei confronti di donne e uomini bianchi, che agisce allo scopo di preservare la supremazia ed i privilegi dei bianchi”. (82) L’analisi womanist di Williams si basa sulle “questioni delle donne, dei bambini e degli uomini neri e poveri immersi nella dura lotta di sopravvivenza fisica, spirituale ed emotiva e per una vita migliore (…)” (83) Nell’analisi di Williams, Hagar è la figura che incorpora la maternità, l’allattamento, la cura, la resistenza, la tolleranza, alla base della spiritualità delle donne afro-americane. (84)
Ada Maria Isasi-Diaz, latina, ha scritto una teologia mujerista che travalica il termine femminista, poiché ritiene che il termine abbia connotazioni legate alla classe borghese bianca. Cubana, in esilio, negli Stati Uniti, Isasi-Diaz si occupa di razzismo e di pregiudizi razziali, la sua prospettiva mujerista enfatizza la vita di tutti i giorni, l’amore per il prossimo e la giustizia.
Come donna americana dalle origini siciliane, mi sento vicina al pensiero delle teologhe africane e latine, pensiero che pone l’accento sull’importanza delle credenze religiose quotidiane e sui rituali utilizzati per sconfiggere le ingiustizie. (85) Essendo sposata con un ebreo (i nostri figli si definiscono ebrei), mi sento vicina agli adattamenti femministi dell’ebraismo, particolarmente a quelli di Asphodel P. Long, femminista britannica educata da un ebreo ortodosso. Long considera il proprio lavoro come una sorta di commentario su Hochuma e su Asherah, “principi divini della religione ebraica e, in seguito, di quella giudaica.” (86) Affascinata dalla “figura divina femminile della Saggezza, chiamata Hochuma in ebraico e Sophia in greco, figura che pervade le scritture ebraiche e cristiane”, (87) Long prende l’avvio dall’ebraico convenzionale, in cui la figura della saggezza si identifica nella torah. Questa figura differisce anche dal cristianesimo, in cui la figura femminile, chiamata Saggezza, “diviene parte integrante del Cristo maschio e, quindi, della Chiesa, mentre per molti cristiani diviene una caratteristica di Maria Vergine.” (88) A lungo sottolinea la frequenza con la quale i rappresentanti dell’ortodossia giudea si scagliano contro le pratiche popolari, a dimostrazione del fatto che le credenze giudaiche contemporanee differiscono dalle dottrine ufficiali giudee. “Ciò che viene chiamata religione popolare continuava a essere largamente diffusa, nonostante le severe prescrizioni praticate nei confronti dei suoi aderenti”. (89) L’ebraismo ufficiale demonizzava la “dea ebrea”, come Raphael Patai la chiama, ma, di fatto, non fu mai cancellata all’interno della cultura popolare giudea. (90) Una quantità straordinaria di immagini della madre nera africana e dell’Asia occidentale sono state ritrovate in Israele. (91) La teologa cristiana Elizabeth Schussler Fiorenza, che ricerca analiticamente nei testi biblici allo scopo di ritrovare la donna cancellata nelle scritture ebraiche e cristiane, ritiene che “considerando Gesù come il figlio di Miriam ed il profeta della Divina Sophia, si può ridare spazio alle donne, attraverso un approccio teorico femminista, che consenta di mettere in discussione gli inquadramenti maschilisti del cristianesimo”. (92) I bambini di Sophia, secondo Fiorenza, sono Giovanni Battista e Gesù; entrambi erano “emissari del Giudizio divino”, ed entrambi furono uccisi. Schussler Fiorenza si riconosce nel ruolo di “sovvertitrice” nella critica delle forze politiche conservatrici che usano la religione a sostegno e copertura dei loro interessi economici, così come fanno i movimenti fondamentalisti religiosi in tutto il mondo, che respingono le misure sociali progressiste ed i diritti delle donne. Riflettendo sul dogma patriarcale per cui le donne devono essere sottomesse, Fiorenza puntualizza che questo processo, non è nato con il cristianesimo, ma nella decantata città stato dei greci. Lì la democrazia veniva esercitata solo se si era “nati liberi, possidenti, istruiti e capo-famiglia, ad esclusione di tutti gli altri”. (93) Il cattolicesimo ed il protestantesimo, per Schuller Fiorenza, sono ugualmente religioni patriarcali, ma la riforma protestante, che ha portato all’eliminazione di tutte le figure spirituali femminili, ha radicalizzato un processo già in atto nei confronti della donne. (94) Sebbene iconoclasta, Fiorenza non si avventura in un’area di discussione religiosa precedente al giudaismo ed alla cristianità. Si riferisce piuttosto alle implicazioni teologiche dell’esistenza di una “divinità femminile nera” riscoperta nella letteratura egiziana. (95) Questo studio può essere considerato complementare all’impresa in cui si sono impegnate Delores Williams, Ada Isasi-Diaz, Asphodel Long ed Elizabeth Schussler Fiorenza. Mi sembra, quindi, che il passo successivo che possa consentire una comprensione delle diverse religioni, da quella giudaica, cristiana, islamica, a quella buddista, sia quello di riportare alla luce, di riscoprire la storia popolare e divenire consapevoli del ruolo della madre nera nella preistoria, per un mondo più giusto. E’ necessario rivedere gli studi in campo genetico ed archeologico che, congiuntamente riescono a provare che tutti noi discendiamo da una madre nera africana, che noi tutti siamo gente di colore proveniente da varie tribù, con climi diversi, e differenti diaspore. La conoscenza delle origini africane può contribuire a dissipare l’atteggiamento bigotto che affonda le radici nell’ignoranza, che può essere considerata come il più grande ostacolo alla giustizia sociale. In questa nostra epoca di violenza, abbiamo la necessità di riportare alla coscienza la madre nera, poiché rappresenta la giustizia e la compassione. L’accettazione della madre africana, antecedente alle religioni del mondo patriarcale, non sembra (a questa donna americana dalle origini siciliane) del tutto iconoclasta. (96) Questo aspetto potrebbe costituire una difficoltà per il nostro pensiero. Erik Hornung, egittologo dell’Università di Basel, fa riferimento al principio della complementarietà della logica egiziana, simile alla complementarietà della fisica. “Per gli egiziani due per due fa sempre quattro, nient’altro. Ma il cielo è visto come un numero indefinito di cose - mucca, padiglione, acqua, donna. Il cielo è la dea Nut e la dea Hathor, in sincronicità, una divinità è a ed allo stesso tempo un’altra divinità, diversa da a. (97) Secondo Hornung, “la natura è un dio accessibile attraverso ‘una molteplicità di approcci’ e, solo quando questi ultimi vengono considerati tutti insieme il tutto può essere compreso.” (98) I siciliani, proprio come Vitello ci ricorda, li riconoscono per intuito. (99) Così come gli artisti, gli artigiani, i poeti ed i contadini. Negli anni ’70, allorché iniziai la ricerca dei miei antenati/e, mi imbattei in una mattonella raffigurante una stella blu-nera con trentadue punte in un mare verde. La tessera era chiamata Iside, il termine italiano per Isis. Necia Desiree Harkless, etnografa nubiana, a Meroe, a Kush e in Nigeria, figura autorevole dell’arte sacra del nord Africa, nel suo poema, Evolution, sembra avere afferrato un concetto fondamentale della madre nera africana.

Senza tempo mi fermai lontano dal cielo
Approdai in mare
Vidi la mia immagine/ riflessa nel Sole…
Costruii templi ed autorevoli strade
da Tyre a Timbuctoo con il mio totem
Senza tempo ritornai nel cielo
Toccai la polvere di luna e proclamai
Siamo Una
 (100)

Note

1. Una accurata bibliografia della storia africana si può trovare in African History. From earliest times to independence di Philip Curtin, Steven Feierman, Leonard Thompson a Jan Vansina. II edizione. (Londra e New York, Longman, 1995). Il capolavoro di Cheikh Anta Diop è Civilization or Barbarism. An Authentic Anthropology (Paris, Presence Africaine, 1981; Brooklyn, N.Y., Laurence Hill Books, 1991)

2. Vedi, per esempio, la similitudine tra le diverse relazioni presentate dalle studiose italiane, tedesche, spagnole, svizzere, austriache, statunitensi, francesi, greche, namibiane e marocchine al simposio su “Arte preistorica e tribale. Decifrare le immagini”, il XVII Valcamonica che si tenne dal 21 al 26 settembre 1999 a Darfo Boario Terme, Italia. La mia relazione per il simposio, “Converging Interpetations of Prehistoric Signs for Woman”, ha costruito le basi dei primi due capitoli di questo libro. L’origine africana del mondo rimane una tematica controversa per molti europei e americani. Il taboo era, particolarmente evidente durante la conferenza di Milano “Le radici dell’Europa. Stratificazione, processi diffusivi, scontri e incontri di culture”, Banca popolare di Milano, 27,28, Ottobre 1999. Gli organizzatori di questa conferenza sulle radici dell’Europa non invitarono a partecipare nessun studioso africano o afro-americano.

3. L.Luca Cavalli-Sforza, History and Geography of Human Genes (Princeton, N.Y., Princeton University Press, 1993). Vedi anche Louise Levathes, “A Genetist Maps Ancient Migrations, New York Times, Science Times, 27 Luglio, 1993.

4. John Noble Wilford, “Bones in China Casting new Light on Human Ancestors”, The New York Times, 16 Novembre, 1995.

5. History and Geography, Loc. Cit. Capitolo 2. Storia genetica delle popolazioni mondiali, 60.64.

6. Luca e Francesco Cavalli-Sforza, Chi Siamo. La storia della diversità umana (Milano Arnoldo Mondadori, 1993), 38.

7. Ibid., capitolo II.

8. “Archeologia”, Encyclopedia Britannica Year Book, 1997.

9. Lucia Chiavola Birnbaum, Black Madonnas. Feminism, religion and politics in Italy (Boston, Northeastern University Press, 1993; iUniverse edition, 2000), 8.

10. Louise Levathes, “A Genetist Maps…” Loc.Cit..

11. Conversazione con l’autore, 1994.

12. Cavalli-Sfroza, Chi siamo, Loc. Cit., 107

13. Ibid., 104-5

14. Vedi anche Morrison Berman Coming to our senses. Body and spirit in the hidden history of the west (New York, Simon and Schuster, 1989).

15. Emmanuel Anati, Il Museo Immaginario della Preistoria. L’arte Rupestre nel Mondo (Milano, Editoriale Jaca Book SpA, 1995), 217-218.

16. “Tracking the First of Our Kind”, National Geographic, Settembre 1997, 95. Paul G. Bahn e Jean Vertut, Journey through the Ice Age (Berkeley and Los Angeles, University of California Press, 1998, 1997).

17. Vedi Umberto Sansoni, Le Più Antiche pitture del Sahara. L’Arte delle Teste Rotonde. Prefazione di Emmanuel Anati (Milano, Jaca Book, spa, 1994).

18. Webster’s Encyclopedic Unabridged Dictionary of the English Language (New York, Gramercy Books, 1989).

19. Vedi Lucia Chiavola Birnbaum, “The long History of Sicilians”, Loc. cit.

20. “Dawn of Art: A New View,” The New York Times, 8 Giugno, 1995.

21. Vedi L. Luca Cavalli Sforza, History, Loc. Cit. Anche Birnbaum, Black Madonnas. Loc. Cit.

22. Un accurato studio sulle dee paleolitiche è stato compiuto da Anne Baring e Jules Cashford in The Myth of the Goddess. Evolution of an Image (Arkana Penguin, London, 1991, 1993): vedi il capitolo 1, “In the beginning: The Paleolithic Mother Goddess.” Le autrici non riconoscono l’origine africana delle dee paleolitiche della vecchia Europa.

23. Vedi Marija Gimbutas, The Civilization of the Goddess, ed. Joan Marler (HarperSanFrancisco), 1991). Vedi, inoltre, The language of the Goddess (HarperSanFrancisco, 1989). Elinor W.Gadon, The Once Future Goddess. A symbol for our time (HarperSanFrancisco, 1989). Gijmbutas ha dato un contributo notevole alla storia culturale femminista, ma nel suo studio non ha riscontrato le origini africane della dea. Il suo lavoro sull’invasione delle popolazioni ariane è stato avvalorato da Luca Cavalli Sforza, Ph.D., “Genetic Evidence Supporting Marija Gimbutas’ Work on the Origins of Indo-European People”, From the Realm of the Ancestors. An Anthology in Honor of Marija Gimbutas (Manchester, Ct., Knoledge, Ideas & Trendes, Inc., 1997. Vedi anche, Emmanuel Anati, Il Museo Immaginario della Preistoria. L’arte rupestre nel mondo (Milano, Editoriale Jaca Book, SpA, 1995), 13, 186 - 235 passim.

24. Per una buona analisi sulla conquista ariana e la trasformazione delle culture antiche incentrate sulla madre con gli dei del cielo, la schiavitù, e la subordinazione delle donne, vedi Riane Eisler, Sacred Pleasure, Sex, myth, and the politics of the body. New paths to power and love (HarperSanFrancisco, 1995), 88 ff. lo studio standard è J.P. Mallory, In Search of the Indo-Europeans. Language, Archeology and Myth (London, Thames and Hudson 1989).

25. Vedi Ivan Sertima, They Came Before Columbus. The African Presence in Ancient America (New York, Random House, 1976). Vedi, inoltre, Cheikh Anta Diop, Civilization or Barbarism. An Authentic Anthropology (Presence africaine, Paris, 1981); The African Origin of Civilization Myth or Reality. Edited and translated by Mercer Cook (Chicago, III, Lawrence Hill Books, 1974). Vedi anche Basil Davidson, African Civilization Revisited. From Antiquity to Modern times (Trenton, N.J., Africa World Press, Inc., 1991).

26. Vedi Cavalli-Sforza, Human Diasporas (Addison-Wesley, 1995). Levathes, “A Genetist Maps Ancient Migrations,” Loc.Cit.

27. John Noble Wilford, “Finds in Egypt Date Alphabet in Earlier Era”, The New York Times, 1 Novembre, 1999.

28. L. Luca Cavalli-Sforza, Chi siamo. Loc. Cit. 103

29. Vedi “La Riscossa dell’Eva Africana,” Il manifesto, giovedì, 30 marzo 2000. Gianfranco Biondi e Olga Rickards. Vedi, sullo stesso argomento, Rebecca Cann, “la madre della nostra madre”, Paleologia, Loc. Cit. Vedi anche, “The Human Family Tree: 10 Adams and 18 Eves. Tracing Human History through Genetic Mutations, “Science Times, The New York Times, martedì, 2 Maggio, 2000. Il cromosoma-y, la controparte maschile del DNA (ereditato solo attraverso la madre), è stato aggregato a un albero genealogico umano dal Dr. Douglas C.Wallace e dai colleghi dell’Emory University, Scuola di Medicina di Atlanta.

30. Capitolo 3, “Of Adam and Eve”, Luigi Luca Cavalli-Sforza, Genes, People, and Languages, Loc. Cit

31. Ibid., 90-91

32. Ibid., vedi anche, “Human Family Tree: 10 Adams and 18 Eves” Loc. Cit.

33. Ibid.

34. Necia Harkless Harkless, Poems & Heart Images (Lexington, Kentucky, Heart to Heart Associates, 1995). Passim.

35. Buchard Brentjes, African Rock Art, Tr. Anthony Dent (New York, Clarkson N. Potter, Inc. Publisher, 1965),. 71.

36. William Y. Adams, “Ceramics”, Africa in Antiquity, Loc. Cit., 127. La priorità degli africani nel costruire utensili è stata sottolineata nella recente scoperta di un “tool factory” risalente a 2.3 milioni di anni fa, in Kenya. Vedi “Ancient tool ‘factory’ linked to pre-humans,” The Vancouver Sun, 6 maggio, 1999.

37. Ibid.

38. Vedi “Foreword,” di Michael Botwinick, Africa in Antiquity. The Arts of Ancient Nubia and the Sudan (New York, The Brooklyn Museum, 1978). Vedi Jocelyn Gohary, Guide to the Nubian Monuments on Lake Nasser (The American University in Cairo Press, 1998). Vedi pagina 14 per Meroe, in cui le donne godevano di un status elevato. Durante la nostra visita a Nubia, nella parte alta dell’Egitto, notammo che in un piccolo tempio dedicato a una regina a Abu Simbel, questa aveva la stessa statura del re ed una testa di Hathor con corna di toro sormontate da un disco di sole con due penne (indicanti l’uguaglianza), e teneva il sistro contro il petto.

39. Vedi Lucia Chiavola Birnbaum, Black Madonnas., Loc. Cit.

40. Ibid. 13.

41. William Y. Adams, “Geography and Population of the Nile Valley”, Africa in Antiquity, Loc. Cit. 17.

42. Ibid.20.

43. Vedi “Goddesses”, in Mistress of the House. Mistress of Heaven. Women in Ancient Egypt, ed., Anne K. Capel and Glenn Markoe (New York, Hudson Hills Press in association with Cincinnati Art Museum, 1996). 121 ff.

44. Vedi John H. Taylor, Egypt and Nubia (London, The British Museum Press, 1991).

45. William Y. Adams, Nubia, Loc. Cit., 338.

46. Ibid.

47. Ibid.23.

48. Ibid.25.

49. Mistress of the House. Mistress of Heaven. Loc. Cit. 9

50. Vedi Lawrence DiStasi, Mal’Occhio. The Underside of Vision (Berkeley, Ca., North Point Press, 1981.

51. R.E. Witt, Isis in the Ancient World. Aspects of Greek and Roman Life (Ithaca, New York, Cornell University press, 1971; Baltimaora, Md., Johns Hopkins University Press paperback, 1997). Per informazioni sul maggiore rispetto di cui godevano le donne nell’antico Egitto a confronto con l’alta cultura greca, vedi Gay Robins, Women in Ancient Egypt (Cambridge, Ma., Harvard University Press, 1993).

52. The British Museum Book of Ancient Egypt, edito da Stephen Quirke and Jeffrey Spencer (London, British Museum Press, 1992). 196.

53. “Guardate bene Iside sembra una Madonna,” la Curiosità, La Repubblica, 29 agosto 2000.

54. Lucius Apuleius, The Golden Ass. Una nuova traduzione fatta da Robert Graves, (New York, Farrar, Straus & Giroux, 1951). 264-266.

55. Vedi Luisah Teish, Carnival of the Spirit. Season Celebrations and Rites of Passage (HarperSanFrancisco, 1994), Introduzione, 22. Vedi anche Drewal Thompson, Yoruba Ritual. Performers, Play, Agency (Bloomington, Indiana, Indiana University Press, 1992) 22.

56. Vedi Edward W.Said, Orientalism. (New York, Vintage Books, 1979).

57. D. Jean Collins, “The Message of Meroe,” Gnosis Magazine, primavera 1990. N° 15.

58. Stefania Adamo Muscettola, “La decorazione architettonica e l’arredo,” Soprintendenza Archeologica per le Province di Napoli e Caserta, Alla ricerca di Iside. Analisi, studi e restauri dell’Iseo pompeiano nel Museo di Napoli (Napoli, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, 1992).

59. Michael Crisp, “The Spirit of Egypt,” Gnosis Magazine, primavera 1990. N° 15.

60. Ibid.

61. Vedi “Votive Figurines,” Egyptian Art in Munich, edito da Sylvia Schoske (Munchen, Staatliche Sammlung Agyptischer Kunst Muchen, 1993), 4

62. Ibid.

63. “Figure of the goddess Mut,” Egyptian Art in Munich (Loc. Cit.) 52.

64. Ibid.

65. “Standing Statue of Sakhmet,” Ibid., Loc. Cit. 38.

66. E. E. Witt, Isis in the Graeco-Roman world. Aspects of Greek and Roman life. Loc.Cit. Vedi anche Alla ricerca di Iside. Analisi, studi e restauri dell’Iseo pompeiano nel Museo di Napoli (Roma, Arti S.P.A., 1992).

67. Witt, Isis, p. 69. Sebbene Witt faccia eco ad alcune nozioni eurocentriche (“La nostra civiltà del mondo occidentale greco romano e cristiano è emersa e si è modellata attraverso il modello culturale del Vicino Oriente.”), egli offre una gran quantità di testimonianze alle tematiche di questo libro relative al fatto che l’Africa sia l’origine degli umani moderni le cui migrazioni endemiche lasciarono una eredità africana significativa alla civiltà del mondo; per esempio, “Da Memphis ad Alessandria il culto di Iside e delle divinità associate al suo Tempio ebbe una enorme persuasiva sulle fedi antagoniste, incluso il Cristianesimo.” (prefazione).
Witt, docente di studi classici al Queen Mary College, Università di Londra, dove egli si è specializzato nelle religioni greca e romana, ha scritto un libro indispensabile, pubblicato per la prima volta nel 1971, per la formazione dei classicisti moderni e di coloro che denunciano “l’afro-centrismo”. Una teoria di Witt. “L’Egitto per i suoi abitanti era la Terra Nera.” (14). “Nel corso dei 4000 anni di storia egiziana, ogni faraone era l’incarnazione del giovane Horus e, perciò, egli era il figlio di Iside, la Dea Madre che lo aveva allattato e allevato.” (15). “Erodoto, che aveva precedentemente soggiornato in Egitto e che aveva scritto delle sue religioni (...) concluse che le città della Grecia si erano appropriate dei suoi dei.” (16) “Nell’antichità si riteneva che Iside fosse il suolo egiziano con cui il Nilo si mescolava e dava i suoi frutti.” (19). “Già nell’età tolemaica essa era conosciuta a File come Iside dagli Innumerevoli Nomi. Ora, quindi, essa viene identificata con tutte le dee antropomorfiche del Pantheon Greco-Romano (...) Demetra e sua figlia Persefone, (...) Pallas Athena (...) Afrodite e Venere (...) Hera (...) Artemide (...)Wisdom (Sofia) (...)” (20). “Nella stessa Italia, la fede egiziana era una forza dominante. A Pompei, come gli scavi archeologici rivelano (...) Iside giocava un ruolo predominante. Nella capitale, venivano costruiti dei templi in suo onore (...) venivano innalzati degli obelischi e gli imperatori si inchinavano quando pronunciavano il suo nome. Nel golfo arabo e nel Mar Nero si trovavano i porti di Iside. Le iscrizioni indicano che aveva dei fedeli seguaci in Gallia e in Spagna, in Pannonia e in Germania. La sua influenza si estendeva dall’Arabia all’Asia Minore ad est e dal Portogallo alla Bretagna nell’ovest e i reliquiari erano a lei consacrati sia nelle piccole che nelle grandi città (...) Benevento, Londra.” (21). “L’amica degli schiavi e dei peccatori, degli artigiani e degli oppressi, nello stesso tempo ascoltava anche le preghiere dei benestanti (...)”(23), “ Il culto di Iside aveva la sua culla nell’Africa nord-orientale, in Egitto e in Etiopia.” (23). “Per comprendere la religione dell’antico Egitto e, soprattutto la religione di Iside, dobbiamo riconoscere la sacralità della vita in tutte le sue forme in tutta la civiltà del Nilo.” (25) “(...) il culto degli animali seguiva senza dubbio la venerazione dell’albero sacro (...)” (26). “Gli animali erano generalmente simboli di divinità.” (28) “(...) Nella lunga storia della religione egiziana Iside e suo marito/fratello rimasero divinità complementari.” (36) “(...) Biblo in Fenicia (...) dove le antichità egiziane erano state sotterrate era un punto di contatto economico e religioso tra Fenicia e il paese del Nilo. È lì che Osiride fu assimilato a Adonis (Thammuz) e la stessa Iside fu assimilata ad Astarte (Istar, Ashtaroth).” (43) “(...) i riti di Dioniso e di Demetra sono molto simili a quelli di Osiride e di Iside.” (67) “(...) nelle Cicladi, Iside era assimilata ad Artemide (...)” (68). “Gli obelischi appartenenti in origine all’Iseum Campestre si trovano ora nelle Piazze chiamate Pantheon, Dogali, Minerva e Navona (a Roma).” (87). Tra le serve sacre di Iside, “Il Sinodo di Coloro che vestono di Nero (...) era particolarmente devoto a Iside chiamata “la regina vestita di nero.” (97).
“Erodoto afferma che il primo popolo che istituì le feste, le processioni e le presentazioni religiose fu il popolo egiziano (...) e che i greci devono a questo popolo la loro conoscenza”. (165). “Iside era una nemica insidiosa per i teologi cristiani perché si credeva che fosse essa a dare ai suoi seguaci il loro pane quotidiano.” (180). “Il rituale della Chiesa Cristiana ha un debito considerevole e ignorato nei confronti della religione egiziana che la precedette nel mondo greco-romano.” (184).” Nella teologia e nell’arte dello gnosticismo Horus e Cristo sono facilmente assimilabili.” (2189.”A metà del primo secolo d.C., l’Isiacismo, lungi dall’essere morto, era in ascesa.” (259).
“E’ innegabile la prova che i luoghi in cui Paolo predicava praticavano la fede in Iside.” (261). “Agostino (...) ricorda che nessuna idolatria è più profonda e più superstiziosa di quella dell’Egitto.” (262). “(...) a bocca aperta è un nome culto che nella tradizione egiziana è tanto vecchia quanto i Testi delle Piramidi e personifica tenerezza, compassione e amore divino.” (266). “Chiaramente la visione Paolina dell’Isiacismo era fortemente critica. Il mondo di Paolo era il patriarcato, la sua religione era Cristiana e monoteistica e Dio era visto come un uomo. Iside era femmina, Iside era il campione dell’idolatria e Iside era l’amante del serraglio del Nilo. Tuttavia, la fede Paolina e quella Isidiaca avevano almeno una caratteristica in comune. Entrambi mettevano da parte le distinzioni razziali e sociali. ‘There is neither Greek nor Jew (...) Barbarian, Scythian, bond nor free: but Christ is all, and in all.’ Cambia Cristo in Iside (...) e le parole saranno ancora vere” (268). “Giordano Bruno era convinto che la saggezza e la religione magica dell’antico Egitto fosse superiore alla teologica fanatica che bruciava i pensatori dissidenti come eretici (...) Il monaco sconsacrato, perì il 1 febbraio del 1600 per il suo intransigente diniego verso l’unicità del cristianesimo.” (269).

68. Egyptian Art in Munich, Loc. Cit., 60.

69. Superintendenza Archeologica per le Province di Napoli e Caserta, Alla ricerca di Iside. Analisi, Loc. Cit.,7.

70. Ibid., 16.

71. “Iside. Mito Mistero Magia,” Archeologia Viva, 3 marzo-aprile 1997.

72. Ibid., 43.

73. Citato in Asphodel P. Long, In a Chariot Drawn by Lions. The Search for the Female in Deity (Freedom, Ca., Crossing Press, 1993), 85. Vedi anche David Kinsley, Hindu Goddesses. Visions of the Divine Feminine in the Hindu Religious Tradition (Berkeley, Los Angeles, London, University of California Press, 1968).

74. Per quanto concerne Weil, vedi il capitolo II di questo libro.

75. Vedi Ladislas Segy, African Sculpture Speaks. IV edizione, ampliata (New York, Da Capo Press, Inc., un sussidiario di Plenum Publishing Corporation, 1969, 1975), 7.

76. “Iside in mostra a Milano. Un’inedita rassegna a Palazzo Reale,” Archeologia Viva, marzo-aprile 1997. Nell’ostile ambiente protestante degli Stati Uniti, è ragguardevole il fatto che la memoria di Iside si trovi dappertutto; una fonte significativa nella memoria statunitense è Helen in Egypt di Hilda Doolittle (H.D.). Sono debitrice a Clare Fischer per avere presentato questo tema al nostro gruppo di donne.

77. Vedi Birnbaum, Black Madonnas., Loc. Cit.

78. The British Museum Book of Ancient Egypt, Loc. Cit. Per quanto concerne l’interscambio egiziano con la Nubia sub-sahariana, vedi pp. 39-41, 202-19.

79. Vedi Mercy Amba Oduyoye, Daughters of Anowa. African Women and Patriarchy (MaryKnoll, N.Y. Orbis Books, 1995). 32.

80. Thompson, Loc. Cit. Vedi 72, 130.

81. Vedi Anna Joyce, “Dark Mother as Symbol of Resistance in Haiti. A Historical Overview,” relazione per il corso, Dark Mother, California Institute of Integral Studies, primavera 2000.

82. Delores S. Williams, Sisters in the Wilderness. The Challenge of Womanist God-Talk (Maryknoll, New York, Orbis Books, 1994). Vedi 185ff.

83. Ibid. p. 196

84. Ibid. p. 235

85. Ada Maria Isasi-Diaz, Mujerista Theology. A Theology for the Twenty-first Century (Orbis Books, 1996).

86. Asphodel Long, In A Chariot Drawn by Lions. The Search for the Female in Deity (Freedom, Ca., The Crossing Press, 1993). 15

87. Ibid. pp. 14, 15.

88. Ibid. p. 16.

89. Ibid. p. 131.

90. Ibid. capitolo 9.

91. Amihai Mazar, Archeology of the Land of the Bible. 1,000-586 a.C. Centro di Studi Giudeo-Cristiani (New York, et al., Doubleday, 1992). Vedi p. 77-78, passim.

92. Elisabeth Schussler Fiorenza, Jesus. Miriam’s Child. Sophia’s Prophet. Critical Issues in Feminist Christology (New York, Continuum, 1994). 3, 8.

93. Ibid.

94. Ibid. p. 168.

95. Ibid. p. 162.

96. Luigi L. Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza, “Demic Expansions and Human Evolution,” Science, 29 gennaio 1993, Volume 259, 639-646.

97. Erik Hornung, Conception of God in Ancient Egypt. The One and the Many. Tradotto dal tedesco da John Baines (Itacha, New York, Cornell University Press, 17l). 241.

98. Ibid. 252.

99.Vedi Justin Vitello, Poetics and Literature of the Sicilian Diaspora. Studies in Oral History and Story-Telling (San Francisco, Mellen Research University Press, 1993).

100. Necia Desiree Harkless, Poems and Heart Images, Loc. Cit., “Evolution.”

Venere di Laussel Francia
25.000 a.C.
Banner di Lydia Ruyle

Venere di Willendorf Austria
25.000 a.C.
Banner di Lydia Ruyle

Madre nera siberiana
20.000 a.C.
Banner di Lydia Ruyle

Figure pubiche ed animali
10.000 a.C.
Cava del Genovese
Isole Egadi

Iside ed Horus

Madre nera Ashanti
foto Wallace Birnbaum