Il femminismo e le sue differenze


Teresa De Laurentis

Nel 1989, durante un seminario di poesia a Stanford, Audre Lorde si rivolse al suo pubblico con queste parole: "Sono una femminista nera, guerriera lesbica e poetessa madre, e sto facendo il mio lavoro", e poi aggiunse: "Chi siete voi e come state facendo il vostro?" Non ho mai incontrato Audre Lorde, ma quello che dirò oggi sarà una risposta alla sua domanda e dedico a lei il tentativo di realizzare una sorta di dialogo a diverse lunghezze d'onda che potrebbe contribuire alla realizzazione di quella "casa della differenza" che lei così acutamente immaginò nella sua mitobiografia, Zami: A New Spelling of My name (Trumansburg, NY: The Crossing Press, 1982).
Lasciatemi cominciare nuovamente col dire che sono una femminista bianca, lesbica guerriera e teorica madre che fa il suo lavoro, che poi significa parlarvi della teoria in questo particolare momento storico, ora e qui in questo luogo, e insegnare e scrivere di teoria altrove e in vari modi.
Dunque ora mi occupo di teoria e vi dirò, in tutta sincerità che avrei desiderato di poter scrivere poesie, romanzi di fantascienza o fare dei film. Ma non saprei come fare e probabilmente se ci avessi provato non avrei raggiunto dei buoni risultati. Vorrei potermi dire poetessa, piuttosto che teorica, come possono fare Audre Lorde e Adrienne Rich. Nella cultura del paese in cui sono cresciuta, fare il poeta è ancora sinonimo di prestigio rispetto alla professione del critico, del teorico o del filosofo; infatti il massimo esponente della cultura italiana è Dante e non Tommaso D'Aquino. Ovviamente entrambi furono eminenti scrittori politici come lo è Audre Lorde, ma fu Dante, il poeta guerriero, che con la sua mitobiografia, La Divina Commedia, infiammò l'immaginario di intere generazioni, plasmandone i sogni e gli incubi.
Il mio lavoro è simile a quello del filosofo, non va molto lontano ed ha un pubblico ed un impatto sul mondo più limitato; qualunque cosa la parola teoria voglia significare, essa è comunque più umile della poesia, se solo guardiamo fuori dalle aule scolastiche o accademiche ci accorgiamo che non esiste il premio Nobel per la teoria e ancor meno per la teoria femminista. Tuttavia, nelle università americane, la teoria ha recentemente raggiunto un certo livello di prestigio e si presta quindi agli attacchi dei suoi oppositori. Ad ogni buon conto, ripeto che il mio lavoro è teorico ed è di questo che mi è stato chiesto di parlare in questa sede, dal momento che è necessario affrontare alcune questioni "essenziali nella definizione del femminismo e delle sue differenze".
Il femminismo e le sue differenze. Le differenze all'interno del femminismo ci sono e ce ne sono state molte ed anche serie. Quelle che hanno a che fare con la razza e la sessualità sono forse le più serie, ma ce ne sono anche delle altre - differenze di classe, etniche, linguistiche e culturali, metodologiche, generazionali, geografiche ed anche di genere (relative alla posizione che l'uomo occupa rispetto al femminismo); ed anche contrasti all'interno dello stesso femminismo in ambito teorico. Ma prima di discutere delle divisioni "interne" ad esso, vorrei dire che, sebbene esistano delle differenze all'interno del femminismo, queste non sono mai semplici conflitti tra femminismi- ad esempio i conflitti esistenti all'interno degli Women's Studies. In realtà sono sempre frutto dell'impegno politico ed intellettuale che il femminismo ha avuto nel mondo esterno, per così dire ossia nella realtà sociale "esterna" al femminismo ma in cui a sua volta esso esiste, cioè nel mondo della Professione, nelle istituzioni universitarie e nelle altre istituzioni sociali. (Le virgolette su interno ed esterno intendono snaturare l'idea che ci sia un di confine tra il femminismo e ciò che è inteso come il suo fuori, l'altro da sé, il non femminismo. Perché, anche se dobbiamo parlare di divisioni all'interno del femminismo, sappiamo bene che non esiste confine permanente o stabile che isoli il discorso e le pratiche femministe da quelle che non lo sono). Allo stesso modo, le differenze all'interno del femminismo non sono semplicemente differenze e divisioni tra donne, ma anche e, altrettanto importanti, differenze e divisioni nella donna; cioè sorgono come effetti di differenze e divisioni nella soggettività di ogni donna. Il dilagare recente di dibattiti nel mondo della professione (specialmente nelle scienze sociali ma anche nel campo umanistico) circa il femminismo e la teoria riguarda le presunte opposizioni tra post-strutturalismo o post-modernismo e femminismo - quest'ultimo solitamente inteso come femminismo culturale e radicale, visto dai suoi oppositori come essenzialistico, separatista, mentre il primo sempre secondo i suoi oppositori, sarebbe colpevole di elitarismo, oscurantismo e dipendente da quella che viene definita la "teoria maschile" (male theory). Poiché, come ho detto, la teoria è divenuta una misura di prestigio nel mondo accademico e il femminismo ha naturalmente un interesse diretto, storicamente provato per la teoria, si è verificata una situazione in cui, mentre soltanto la teoria femminista sembra essere valorizzata e legittimata accademicamente, tutti gli altri scritti critici femministi, sia che siano o che vogliano essere teorici o meno, devono affermare ciò che chiamerei il diritto alla teoria.
A molti di voi credo che questa frase ricorderà il titolo dell'articolo di Barbara Christian, "The Race for Theory" (La corsa alla Teoria), pubblicato nel Critical Inquiry (Spring 1987). Christian giustamente si preoccupava delle conseguenze del prestigio del "potere" accademico che pervengono a coloro che partecipano alla corsa alla teoria, in particolare "le donne nere e i critici terzomondisti che sono stati spinti o anche cooptati a parlare una lingua ... aliena ed opposta ai nostri bisogni e orientamenti". "Non me la prendo", aggiunge, "con quelli che desiderano filosofeggiare su come noi sappiamo ciò che sappiamo ma mi disturba il fatto che questo particolare orientamento (verso la teoria) è così privilegiato da sviare tanti (critici letterari afro-americani) dal leggere le opere letterarie che vengono scritte oggi". Il punto della Christian è chiaro: entrare nella corsa accademica per le poche cattedre prestigiose che le università offrono come premi a studiosi di colore e a studiose sia di colore che bianche può spesso sfociare in una "teoria istantanea", in concetti non assimilati e in una scrittura opaca, oscura: una sorta di stenografia che evita di affrontare le complessità di un argomento o di eplicitare i significati stratificati in un termine, in una parola, in un'immagine o in un concetto. Un concetto che potrebbe essere o non essere utile ai nostri "bisogni e orientamenti", quando invece occorre svilupparne ed articolarne altri più utili.
Tuttavia la corsa alla teoria non è qualcosa che noi possiamo fermare con un atteggiamento pro o contro. Perché ciò che succede poi è che l'istituzione, il mondo intellettuale "esterno" (e nella maggior parte dei casi ostile) al femminismo, reagisce definendo due tipi di teoria, una alta ed una bassa, a seconda dei rispettivi gradi di sofisticatezza : un tipo di basso livello di pensiero critico (il femminismo) e un tipo di alto livello teorico (il poststrutturalismo) che solo alcune femministe sarebbero riuscite ad imparare. Ma da teorica femminista che è stata simultaneamente impegnata nel femminismo, nei women's studies, nella psicoanalisi, nello strutturalismo, nella semiotica e nella teoria cinematografica, dall'inizio della mia attività critica, so che imparare ad essere femminista ha plasmato ed integrato tutto il mio sapere. Quel pensiero in-generato, quella coscienza del genere, conoscenza incarnata o "sapere situato" (per usare una frase di Donna Haraway), sono la sostanza della "teoria femminista", sia che il termine significhi il crescente numero di discorsi critico-filosofici - sulla cultura, la razza, le scienze, la soggettività, la sessualità, la scrittura, la rappresentazione visiva, le istituzioni sociali come l'etnicità, l'eterosessualità ecc. - o che significhi, più in particolare, l'elaborazione critica dello stesso pensiero femminista e la continua ridefinizione della sua specifica differenza.
In entrambi i casi, la teoria femminista non è di livello inferiore rispetto a quella che qualcuna chiama "la teoria maschile", ma è di altro genere; ed è questa differenza di genere che mi interessa, in quanto teorica del femminismo, come pure le varie differenze, i dibattiti, le divisioni interne e le polarizzazioni che sono scaturite e dall'intervento del femminismo nelle varie istituzioni, del sociale e dalla riflessione auto-cosciente su quell'impegno. Vale a dire, voglio riflettere sulle divisioni che hanno segnato il femminismo (divisioni di genere, razza, classe, etnicità ecc.) poiché esse esistono nel sociale stesso; sulle frontiere discorsive e sui limiti soggettivi che il femminismo ha definito e ridefinito per sé, storicamente e nel processo del suo intervento nelle formazioni sociali e culturali; sui paradossi e sulle contradizioni che costituiscono la storia reale e la differenza essenziale del pensiero femminista.
In un resoconto che possiamo fare di quella storia, la teoria femminista si è sviluppata attraverso una serie di posizioni di opposizione non solo nei confronti del più ampio contesto "esterno" - le costrizioni sociali, la legislazione, gli apparati ideologici, i discorsi dominanti e le rappresentazioni contro cui il femminismo ha lanciato la sua critica e le sue strategie politiche in particolari situazioni storiche - ma anche scontrandosi ed interagendo nel suo proprio "interno". Per esempio, negli anni '70, i dibattiti sul femminismo accademico contro l'attivismo negli USA hanno creato una dicotomia tra la teoria e la pratica che ha condotto, da una parte, ad una polarizzazione di posizioni pro e contro la teoria in quasi tutte le pratiche culturali e, dall'altra, ad una persistente, seppur mai pienamente vincente, sforzo di superare la stessa dicotomia.
In seguito, verso la metà degli anni '80, la divisione interna del movimento sul problema del separatismo, sia nel mondo accademico che in altri campi istituzionali, ricostituisce l'opposizione pratica-teoria in termini di identificazione lesbica contro quella eterosessuale, e di women's studies o studi delle donne contro la teoria culturale femminista. Anche in questo campo, l'opposizione ha portato sia ad una polarizzazione (la critica femminista contro la teoria femminista negli studi letterari ), che allo sforzo di superarla attraverso un'estesa, flessibile e infine insoddisfacente ridefinizione della "teoria femminista" valida per qualsiasi tipo di scrittura, in versi o in prosa, e qualsiasi espressione verbale, visiva o forma di rappresentazione che testimoniasse l'oppressione delle donne.
Un'altra importante controversia all'inizio degli anni `80, con relativo cambio di marcia del pensiero femminista, sorse dall'ampia produzione scritta delle donne di colore e dalle loro accuse di razzismo rivolte al movimento femminista. La divisione sorta intorno al rapporto tra razza e genere, ha anche prodotto l'idea di un femminismo "bianco" o "occidentale" in contrasto con un "femminismo terzomondista statunitense" articolato in molti gruppi etnici e razziali , definito da Alice Walker "womanism" (donnismo). Il termine "donne di colore" che comincia a circolare in quel periodo, ha precisamente quel significato, ed è un termine teorico oltre che politico. La pratica di assumere l'identità di "donna di colore" diffusasi negli USA (e similmente, di una identità "nera" in Gran Bretagna), fra donne di diversissimi retroterra culturali, le asiatiche, le americane native, le americane nere, le caraibiche, le latine ecc., è un esempio di coscienza personale e politica la quale non è semplicemente fondata su differenze etniche o culturali rispetto alla cultura bianca dominante; e non è affatto l'opposizione di un insieme di valori culturali riconosciuti all'interno di una data minoranza etnica, contro quelli della maggioranza dominante. In altre parole, ad una donna di colore l'identità di donna di colore non le viene offerta ma deve acquisirla, o svilupparla da una specifica esperienza storica che non è quella etnica ma quella del razzismo nella societa statunitense di oggi dominata dalla cultura bianca e maschile. Quella identità si sviluppa dall'analisi del comune bisogno personale e politico di costruire una società che vada oltre e contro, che sia in tensione e anche in contraddizione con i valori culturali di un gruppo etnico tradizionale, di una famiglia o di una "casa".
Dato che la critica delle donne di colore è stata marcatamente, se non esclusivamente, indirizzata verso le femministe bianche, piuttosto che verso le strutture del potere patriarcale, o verso gli uomini di colore, ancora una volta il contrasto tra tema razziale e genere ha condotto ad una polarizzazione e allo stesso tempo al tentativo di superarla, almeno internamente alle pratiche femministe teoriche e culturali. Anche in questo caso, però, i risultati sono stati insoddisfacenti e hanno raggiunto soluzione. In tutti i casi suddetti, dunque, anche se la polarizzazione può essere messa da parte e sostituita da altre che sopravvengono, ciò nonostante non scompare, ma resta viva e attiva nella coscienza femminista. E dico addirittura che così deve rimanere all'interno della teoria femminista, in quanto una teoria del soggetto sociale donna si fonda sulla sua storia specifica di soggetto emergente, una storia che si sta facendo.
Dalla metà degli anni '80, la cosiddetta guerra femminista dei sessi ha messo le femministe del pro-sex e il movimento anti-pornografico in un conflitto tale da ristabilire le differenze tra sesso e genere in una forma di paradossale opposizione: il sesso e il genere vengono o assimilati l'uno all'altro in modo da non poterli più distinguere né analiticamente, né politicamente, o completamente separati e visti come infinitamente ricombinabili in quelle figure limite rappresentate dal transessualismo, dal bisessualismo, dal trasvestismo, ecc.. Questi argomenti sono centrali nel dibattito lesbico sul sadomasochismo che ripropone le primissime controversie nell'ambito del lesbismo tra il movimento di liberazione della donna, caratterizzato dalla sua più o meno aperta omofobia, e il movimento di liberazione gay, caratterizzato, a sua volta, dal più o meno aperto sessismo, traducendole nella recente polarizzazione tra il lesbismo radicale S/M e il femminismo lesbico.
Deve inoltre essere ricordato l'atteggiamento pro e contro la psicanalisi che, paradossalmente, è stata completamente ignorata in questi dibattiti sulla sessualità, pur avendo determinato l'elaborazione concettuale della differenza sessuale negli anni '70 ed avendo, da allora, giocato un ruolo fondamentale nella critica femminista dei media e dalle arti.
Questo resoconto della storia del femminismo in relazione ad eventi, discorsi e pratiche sia "esterni" che "interni", suggerisce che due spinte opposte lavorano alla produzione della sua autorappresentazione: una spinta erotica e narcisistica che accresce l'immagine del femminismo come differenza, ribellione, intervento, self-empowerment (autopotenziamento), sfida, eccesso, sovversione, slealtà, piacere e pericolo, e che rigetta ogni immagine di impotenza, di vittimizzazione, sottomissione, acquiescenza, passsività, conformismo, sesso debole ed una spinta etica che lavora a favore della comunità, della responsabilità, del potere collettivo, della sorellanza, dei legami femminili, dell'appartenenza ad un mondo comune di donne che dividono ciò che Adrienne Rich ha chiamato "il sogno di un linguaggio comune". La spinta erotica e quella emotiva hanno alimentato insieme e spesso in mutua contraddizione, non solo i vari antagonismi ma anche l'invenzione o la creazione concettuale di un "continuum" di esperienza, di un femminismo globale, di una "casa della differenza".
Non ci sorprende che le due spinte spesso cozzino o causino una situazione di stallo politico e concettuale dato che hanno obiettivi e scopi diversi e sono costrette ad un aperto conflitto all'interno di una cultura in cui le donne non devono essere , nè devono conoscere o vedere se stesse come soggetti. Ed è forse per questo che le due forze contrapposte caratterizzano il movimento femminista ed in particolare il femminismo lesbico, la sua storica, intrinseca ed essenziale condizione di contraddizione ed i processi costitutivi del pensiero femminista nella sua specificità. Quello che vorrei suggerire è che la tensione tra le due spinte è la condizione stessa, la possibilità e il limite dell'elaborazione della teoria femminista; il suo valore sta nella pratica di un pensiero critico che rifiuta la polarizzazione e ricollega il dibattito interno al femminismo al prezzo di ridurre un processo storico, un movimento, alla fissità di un impasse ideologico.
La teoria femminista, vista da questa prospettiva storica più ampia, non è meramente una teoria dell'oppressione della donna all'interno della cultura dominante. Non è neanche la teoria essenzialista di una natura femminile che qualcuno oppone ad una teoria della cultura anti-essenzialista e post-strutturalista. E', invece, una teoria in fase di sviluppo del soggetto donna soggetto sociale, la cui costituzione include ovviamente il sesso e il genere, ma anche, e in egual misura, la sessualità, la razza, la classe, l'etnicità e ogni altra divisione socio-culturale significativa, una teoria, dunque, del soggetto sociale donna che può prescindere dalla sua storia specifica, emergente e conflittuale.
Non possiamo ignorare o tralasciare i conflitti o le differenze, ma dobbiamo continuare ad articolarli e ad esaminarli ascoltandoci. anche, all'occasione, non ascoltandoci. E tenendo bene in mente l'immagine della casa della differenza con cui Audre Lorde, la poetessa guerriera rende concreto il mio argomento teorico. E così come ho cominciato, così voglio concludere con le sue parole:
«Stare insieme alle donne non era abbastanza, eravamo diverse. Stare insieme alle donne gay non era abbastanza, eravamo diverse. Star insieme alle donne nere non era abbastanza, eravamo diverse. Stare insieme alle donne lesbiche nere non era abbastanza, eravamo diverse. Ognuna di noi aveva i suoi propri bisogni ed i suoi obiettivi e tante e diverse alleanze. La sopravvivenza avvertiva qualcuna di noi che non potevamo permetterci di definire noi stesse facilmente, nè di chiuderci in una definizione angusta ... C'è voluto un bel po' di tempo prima che ci rendessimo conto che il nostro posto era proprio la casa della differenza piuttosto che la sicurezza di una qualunque particolare differenza».




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Mailto Med Indice del numero 2