Per parlare delle donne in Albania, della loro vita, delle loro speranze,
dei loro sforzi, non è compito che si possa portare a termine in
un solo articolo; l'Albania rimane ancora per certi versi "la sconosciuta
del Mediterraneo" come mi sento di definirla quando mi trovo davanti
alle infinite domande degli stranieri.
L'Albania non ha gentilmente bussato alle porte d'Europa, dove sapeva di
far parte per più di duemila anni, li ha spalancate in modo traumatico,
spettacolare, tragico.
Le navi rubate nel Mediterraneo, cercando smarrite isole dei sogni, come
Ulisse, il loro antico antenato. Questa è la parte in fiamme dell'Albania.
L'altra parte, rocciosa, dura, con i fiori sulla cenere, rimane lì,
nella sponda Est dell'Adriatico.
Per parlare delle donne di questo paese, devo per forza descrivere il contesto
storico, sociale e politico dove sono vissute e vivono.
L'Albania si trova nei Balcani, la terra degli iliri e degli albani. Qui
passavano le armate dei romani e le crociate che andavano verso Est, attraverso
la famosa via Equatia; tramite questa terra i popoli del Nord facevano
rotta verso i paesi del Sud. Un nodo strategico geograficamente, dove si
sono mescolate le culture iliriche-pelasgiche, greche e romane, bizantine
e orientali. Più che in qualsiasi paese balcanico qui si sono incrociate
religioni diverse, solo qui le donne libere europee sono state obbligate
a coprire il volto.
Il popolo albanese, dopo una disperata resistenza di venticinque anni si
è trovato, all'indomani dell'occupazione turco-islamica, in un universo
spirituale ed ideologico estremamente diverso dal suo.
In tutte le leggende, nella mitologia e nella poesia popolare albanese
- che sono straordinarie per la varietà di espressioni artistiche
- si sente la forte sensazione di fatalità, del passaggio dal `normale'
all''anormalità', dalla vita alla morte.
La donna albanese ha subito per secoli questa fatalità di essere
stata condannata alla discriminazione più assoluta e nello stesso
tempo adorata idolatrata nei versi di splendide leggende. Come se l'uomo
stesso soffrisse di questa legge crudele che l'obbligava ad opprimere la
bella creatura che amava.
Come tutte le donne del Mediterraneo, le albanesi hanno portato sulle spalle
il peso della vita. Hanno lavorato la terra, cresciuto i figli, hanno rafforzato
le tradizioni, la cultura, il processo di civilizzazione, mentre l'uomo
emigrava. Le donne hanno trasmesso ai figli il codice della vita, poiché
loro si sentono più vicine alla vita e alla morte.
Se la donna albanese non ha potuto partecipare alla vita sociale, ha sempre
lottato per la libertà del suo paese, l'unico atto liberatorio che
gli era concesso. Nella lotta antifascista durante la Seconda Guerra Mondiale,
6.000 donne fecero parte dell'esercito dei partigiani, in una popolazione
in quel tempo solo di un milione di abitanti. Il regime comunista diede
per questo come premio alle donne l'uguaglianza totale con gli uomini:
il diritto al voto, gli stessi salari, etc. Ma l'uguaglianza non è
soltanto un atto legale, si realizza con una trasformazione economica,
sociale, culturale e psicologica; sotto ex regime questo processo andò
avanti verso un processo sociale che nessuno ha potuto più fermare.
Le donne sono entrate gradualmente nella vita economica del paese diventando
una forza principale nella produzione nelle città e nelle zone rurali.
In quel periodo fu fissata l'istruzione obbligatoria per tutti per otto
anni.
Dopo alcuni anni si notò subito l'innalzamento del livello educativo
delle donne che sfruttarono immediatamente le opportunità offerte
dalla maggiore conoscenza.
Questi cambiamenti furono alla base delle battaglie contro il patriarcato
e le tradizioni di schiavitù.
Le donne subivano una duplice oppressione: dentro e fuori casa. In famiglia
vivevano anche senza il minimo indispensabile. All'esterno non avevano
la possibilità di esprimersi liberamente per la mancanza di diritti
umani. La partecipazione della donna nella vita sociale era nello stesso
tempo una conferma del suo valore ma anche della lotta per prendere questa
posizione.
Come in tutti i paesi ex socialisti, durante il periodo di transizione,
anche in Albania si è osservato l'abbassamento delle quote percentuali
di donne presenti negli apparati statali ma più in generale a tutti
i livelli.
Se facciamo riferimento alla partecipazione delle donne nella vita politica
in Albania prima degli anni '90, la percentuale della rappresentanza femminile
era molto alta, più del 30%; dopo le elezioni del '91 le donne presenti
in Parlamento sono diventate 8 su 140 deputati, la percentuale è
quindi scesa al 5.7 %. Attualmente, in Albania c'è una donna al
governo, nessuna prefetto o sindaca; nel sistema giudiziario 21% sono donne,
28% nel sistema universitario (docenti), 8% responsabili di Dipartimento
nei Ministeri, 35% negli uffici di assistenza sociale, etc.
Le donne operaie coprivano, prima, l'80% dell'industria leggera e del sistema
d'istruzione. Oggi, dopo la privatizzazione e la chiusura delle fabbriche,
queste donne sono disoccupate. Nelle zone rurali le donne lavorano la terra,
che è stata divisa in piccolissimi appezzamenti, senza il supporto
di strumenti meccanizzati e più con il peso sulle spalle della casa,
dei figli.
Sembrava questa, fino a due/tre anni fa, una situazione senza via d'uscita.
Gli uomini hanno cominciato ad andar via, ad emigrare in altri paesi, qualcuno
ha avviato attività commerciali. Le donne a casa. Ma lo spirito
battagliero delle donne albanesi non ha tardato a dare segni di resistenza
alla disperazione: sono nati i primi gruppi indipendenti di donne, il Forum
Indipendente delle Donne Albanesi è uno dei più grandi e
più attivi in Albania; i primi gruppi politici di donne dentro ai
partiti; i primi sforzi per cercare di essere determinanti nel varo di
nuove leggi; i primi passi per fare progetti ed entrare nella cooperazione
europea; le prime pubblicazioni.
Una via sconosciuta, estremamente diversa da quella degli anni 50. La legislazione
di quel periodo era stata importante, ma non una vera conquista delle donne,
era stato quasi un regalo, le donne non avevano cambattuto per ottenerla.
Adesso le donne dovevano capire da sé come andare avanti: indicare
le questioni cruciali, organizzarsi, costruire relazioni con il mondo,
lavorare su cose concrete, fare progetti, cercare posti di lavoro per le
donne. Cominciare, insomma, una nuova lotta femminile, diversa dalla battaglia
condotta con i comunisti, diversa dalla strada percorsa dalle donne occidentali,
individuare un nostro itinerario. Nei contatti che abbiamo con le donne
di altri paesi, l'esperienza che facciamo è quella dello scambio:
non solo noi prendiamo da loro ma anche loro prendono da noi.
Il femminismo europeo e statunitense, l'emancipazione delle donne dell'Est
sono realtà che si stanno avvicinando a fatica, ma lo SCAMBIO è
già iniziato. Mondi diversi con lo stesso scopo: essere donne, essere
libere.
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