Vivere in Algeria


Aicha Bouabaci

Algeria violenta, Algeria che soffre, Algeria che resiste.
A partire dal 1993 questi sono i titoli che occupano le prime pagine dei quotidiani. Il 1988 ha segnato la fine di un periodo uniforme e triste, annunciando l'inizio di disordini che, nelle intenzioni degli Algerini, avrebbero dovuto aprire alla democrazia ed aiutare a dimenticare le miserie e gli errori di un regime inaccettabile. Non si poteva immaginare la violenza di questa gestazione; una violenza che desta preoccupazione ma non è riuscita a distruggere completamente la speranza. E' una speranza che si cela dietro le lacrime e la sofferenza e trova manifestazione nelle varie forme di resistenza.
In Algeria oggi, aldilà della passività di una parte della popolazione e degli interessi dei clan, che approfittano di una situazione altamente confusa per rafforzare propri privilegi ed arricchirsi, uomini e donne lottano per evitare che l'Algeria precipiti nel caos. Più donne che uomini. E lo fanno in silenzio più che con alte grida. Donne che rifiutano di indossare lo hidjab, donne che proseguono nella loro professione nonostante le minacce, donne che agiscono i gesti proibiti per il piacere di dire NO ai DIKTAT integralisti: quelle che normalmente non usavano il rossetto ora escono in pubblico con le labbra delineate da un filo di rosso. Un gesto simbolico di colore; solo per dire che ci sono, visibili e splendenti, contro la tristezza del loro passato, contro l'ingiustificata inferiorità del loro status di donne e cittadine. Contro qualsiasi politica del peggio, contro la loro sistematica esclusione dalla vita pubblica; un'esclusione che ha origine nei primi anni dopo l'indipendenza, benché la partecipazione delle donne alla guerra di liberazione non fu per nulla trascurabile, come io stessa ho avuto modo di descrivere in un precedente studio.
Volevano ridurre la donna all'unica funzione procreativa. E le donne hanno procreato senza interruzione... e questa discendenza si è riunita a migliaia nelle strade di Algeri il 5 ottobre 1988 per gridare la propria indignazione. Già da anni i demografi avevano annunciato questa esplosione. Vi è un forte incremento demografico in Algeria, come dimostrano i numeri dati di seguito.
Nel 1897, sette anni dopo la conquista francese, l'Algeria aveva una popolazione di 3,8 milioni di abitanti. Nel 1965, tre anni dopo l'indipendenza, ve ne erano 11.923 milioni. Nel 1995 la popolazione è stimata essere di 28 milioni. Bisogna ricordare che la popolazione è confinata nella zona nord del territorio algerino, che ricopre un'estensione di circa cinque volte la Francia.
La popolazione si è più che raddoppiata dall'indipendenza. Entro il 2005, se permane l'attuale ritmo delle nascite, una ogni 40 secondi, potrebbe raggiungere i 40 milioni.
Sono stati resi noti i dati ufficiali dell'Istituto Nazionale di Statistica e delle Nazioni Unite. Il primo prevede, per l'anno 2005, una popolazione di 32,83 milioni, le seconde, con una previsione fatta nel 1985, di 35 milioni.
I tre quarti della popolazione è rappresentato da giovani sotto i 30 anni. Ciò crea una situazione altamente esplosiva. I giovani al di sotto dei 15 anni rappresentano il 44% del totale. E' la percentuale più alta nel Maghreb.
Perché una natalità così alta?
La spiegazione prima fa riferimento al riflesso di natalità: le perdite umane, subite a causa della Guerra di Liberazione, furono stimate essere il 18% della popolazione. Al momento dell'indipendenza vi erano 34 nascite ogni 1000 abitanti. Nel 1988, ci furono 788,749 nascite contro 118,069 decessi. Il tasso di incremento per lo stesso anno è di 27,30 su 1000. Se paragonato al 1981, anno in cui l'incremento era di 31,60 su 1000 abitanti, si nota una notevole regressione.
Questa regressione è dovuta agli sforzi per l'attuazione di una politica di pianificazione familiare, già avviata nel 1966 ma concretizzata molto dopo.
Le prime vittime di un lento degrado degli standard sanitari sono le donne e i bambini.
La prima campagna per la pianificazione delle nascite fu lanciata nel 1983. Nel 1984 furono create due strutture, all'interno di due ministeri (della Protezione Sociale e della Sanità Pubblica), affinché potessero dare seguito al programma. Si tratta rispettivamente della Direzione all'Educazione e Prevenzione alla Salute e della Direzione alla Famiglia.
Nel 1986 questo programma entrò a far parte del Programma Nazionale per le Azioni contro la Mortalità Infantile. Queste azioni trovarono maggior forza nel 1988, con l'istituzione del Comitato Nazionale per la Protezione della Famiglia, che aveva il compito di coordinare, stimolare e valutare le azioni attuate per regolamentare la crescita demografica.
Nel 1989 la Direzione alla Famiglia passò sotto l'amministrazione del Ministero della Sanità. Con gli anni questa struttura è stata ridotta ad una sotto-direzione all'interno della Direzione alla Prevenzione. Nel 1993, fu creata una Segreteria di Stato per la Solidarietà Nazionale, assegnata al Capo del Governo. Tre donne si sono succedute alla sua direzione, probabilmente una concessione per dimostrare che le donne non sono discriminate.
Le attività delle sotto-segreterie possono essere seguite in televisione: visite agli istituti per gli anziani, per i bambini abbandonati, per i portatori di handicap - le vittime del terrorismo... Queste visite mostrano l'interesse ai problemi della famiglia, una famiglia che subisce i maltrattamenti di un codice familiare inaccettabile, ma ancora valido... Capifamiglia assassinati, madri o padri, intere famiglie trucidate, orfani in gran numero. Cosa è stato fatto per una effettiva e giusta politica familiare? Quale coerenza si può avere quando l'alternarsi dei responsabili a queste istituzione è così rapido? Qual è il margine di manovra per una tale politica in Algeria, dove il vento dell'integralismo soffia così violentemente?
Non dobbiamo scordare che le azioni delle istituzioni incaricate della pianificazione familiare non sempre hanno trovato supporto nelle autorità religiose, ancor prima che si formassero il Fronte Islamico di Salvezza (FIS) e gli partiti islamici. Sempre si è reso necessario ottenere un parere preliminare da parte delle istituzioni religiose. Nel 1982 il Consiglio Superiore Islamico ha pronunciato una Fatwa sulla contraccezione. Con la Fatwa, l'Islam autorizza il controllo delle nascite ma non la loro limitazione. I metodi ammessi per il controllo delle nascite sono quelli che fanno riferimento a metodi naturali per prevenire una nuova gravidanza, come il prolungamento dell'allattamento. Nonostante questa Fatwa, gli Imam nelle moschee esaltano il ruolo riproduttivo delle donne musulmane, una condizione leggendaria della donna che prende forza dal numero dei figli che dà alla luce. Non dimentichiamo che ancora oggi è atteggiamento comune tenere in scarsa considerazione la donna sterile o con pochi figli. Sappiamo cosa attende queste donne che non hanno adempiuto al loro ruolo di procreatrici: il divorzio o l'accettazione di una nuova sposa.
Non dobbiamo inoltre dimenticare la situazione delle donne che danno alla luce solo bambine: ripetute gravidanze fino all'arrivo di un erede maschio. Il numero dei ragazzi rispetto alle ragazze, nelle famiglie, è tuttora predominante.
Dobbiamo notare che la normativa che si riferisce alla pianificazione delle nascite, nel servizio sanitario, ha favorito in modo netto l'accesso ai servizi pubblici, quali i centri sanitari per la pianificazione familiare: da 745 nel 1984, sono diventati 1400 nel 1986, 1872 nel 1987 e 1955 nel maggio 1988. Nel 30% di questi centri si applicano IUD. Esiste un centro ogni 2970 donne in età fertile, anche se nel sud rurale del wilayate ve ne è uno ogni 15.400 donne.
Si sono determinati degli aspetti positivi della politica per la pianificazione delle nascite: accesso a prodotti contraccettivi; la formazione di personale qualificato; aumento di consapevolezza; calo del tasso di fertilità.
Accesso, in 2000 strutture, a prodotti contraccettivi. Nel 1987 10 milioni di opuscoli e 104.000 contraccettivi intrauterini vengono registrati sul registro nazionale dei farmaci. Il Fondo Unito per la Popolazione sostiene un progetto per la produzione di pillole anticoncezionali nella stessa Algeria, anche se un recente studio ha classificato questo investimento come non produttivo.
Fra il 1980 ed il 1987 sono stati formati 5000 agenti, levatrici rurali, tecnici e specialisti sanitari per fornire aiuto ostetrico. Nelle scuole paramediche un modulo di 20 ore è assegnato al tema della programmazione delle nascite. Il personale coinvolto deve sottoporsi a formazione di riconversione.
Le azioni sopra descritte hanno favorito un progresso mentale nelle città, già evidenziato in un sondaggio del 1966 condotto dalla Società Algerina per la Ricerca Demografica e Sociale: il 44,5% delle donne ed il 65% degli uomini conoscevano almeno un metodo contraccettivo.
Nel 1980 un sondaggio nazionale evidenziò che solo l'11% delle donne usavano metodi contraccettivi.
Nel 1984 un sondaggio dell'Ufficio Nazionale di Statistica, condotto nelle famiglie, diede percentuali superiori: il 23% come valore medio; il 31% nella regione di Algeri ed il 15% nell'area rurale.
Un sondaggio condotto dal Centro Nazionale di Studi e Analisi per la Pianificazione su un campione di 5300 famiglie mostra, relativamente alla zona nord dell'Algeria: una netta diminuzione dell'età matrimoniale e del numero di matrimoni; il calo del tasso di fertilità ed aumento della contraccezione.
Nel 1966 il 50% delle donne si sposavano prima dei 20 anni. Il numero delle donne single fra i 20 e 24 anni era del 10%. 20 anni dopo questo numero sale al 50%. L'età matrimoniale negli uomini è di 27,2 anni, nelle donne di 23,7. La crisi della famiglia e le difficoltà economiche hanno ampiamente contribuito a protrarre l'età matrimoniale. Molti uomini e donne sopra i 30 e persino i 40 anni non sono sposati e vivono con i genitori. Talvolta sono sposati sulla carta, con un matrimonio civile che verrà consumato solo nel momento in cui la coppia potrà avere una casa propria.
Nel 1992 il valore medio per una donna coniugata fra i 15 ed i 50 anni, era di 11 bambini. Il calo di fertilità è espresso nel 1986 in una diminuzione di 80.000 nascite rispetto all'anno precedente. Il brusco calo della percentuale di nascita dello 0,4% nell'anno 1986-87, si è verificato nonostante l'altrettanto netto aumento della percentuale dei matrimoni del 3,49%. Il 35% delle donne coniugate in età fertile fanno uso di contraccettivi. Nelle città la percentuale raddoppia, una donna su due fa uso di contraccettivi. Il 38,1% del totale delle donne non ha mai sentito parlare di metodi contraccettivi. Per quanto riguarda il metodo usato la preferenza va chiaramente alla pillola (73,2%). Il 6,2% delle donne sceglie un metodo intrauterino, il 3,3% la sterilizzazione ed il 17,3% altri metodi. Nella maggioranza dei casi le ricette sono rilasciate da studi medici privati.
Questa politica di pianificazione familiare non sembra essere stata efficace se la si confronta con l'aumento della popolazione. Perché?
Dev'essere forse attribuito allo scarso miglioramento del servizio sanitario durante questo dominio? Di fatto le donne si accostano sempre più al privato, anche se il settore pubblico ha più infrastrutture e forza lavoro. Probabilmente le donne apprezzano, nel privato, la qualità degli standard offerti, la disponibilità all'ascolto e alla comunicazione. Questo fatto ha indotto gli specialisti sanitari a pensare nuove forme per rivitalizzare il settore pubblico, per esempio visite domiciliari che si basano su un nuovo rapporto fra la famiglia ed il personale sanitario. Questi specialisti richiedono anche una migliore integrazione del settore privato con gli obiettivi del pubblico.
Un altro elemento di ostacolo alla diffusione della pianificazione delle nascite deve essere ricercato della mancanza di anticoncezionali. Ciò accade abbastanza spesso per i prodotti medici importanti. Questo fatto evidenzia una cattiva gestione delle scorte. Le donne sono costrette ad interrompere la contraccezione iniziata.
Come è stato affrontato il problema demografico?
Nel 1976, in una fede socialista, fu redatta una Carta Nazionale, adottata successivamente in seguito ad un referendum. In questa Carta si affermava che era necessario dare una soluzione positiva al problema demografico, sostituendo all'obbiettivo di ridurre il numero dei cittadini, quello di formare produttori e di dotare "la società di strutture atte ad utilizzare e valorizzare questi ingenti numeri". Questa dichiarazione politica, di permettere a 100 milioni di persone di vivere in Algeria, è stata ora sostituita da una politica di controllo demografico, in quanto si è giunti alla considerazione che l'aumento della popolazione è la causa del sottosviluppo. Il controllo delle nascite è una necessità sia economica che socio-culturale.
Dal 1980 il problema della pianificazione delle nascite è passato sotto il totale controllo del Ministero della Sanità. L'approccio medico al problema ha indotto il Dr Khiati ad affermare che le spese dovrebbero essere razionalizzate quando le risorse sono scarse e che è importante capire che la pianificazione familiare è prima di tutto un problema personale della coppia stessa; la coppia quindi ha il diritto di esercitare la propria libertà all'interno del proprio spazio personale. Il Dr Khiati ha inoltre dichiarato che la pianificazione delle nascite non può essere affrontata per decreto. Egli ha voluto dare al problema un punto di vista religioso, rammentando che il controllo delle nascite è proibito dalla religione islamica e che la società algerina è governata da regole islamiche. Non dobbiamo dimenticare le dichiarazioni non solo degli uomini, ma anche delle donne, per i quali un bambino è un dono di Dio e, a coloro che guardano all'aspetto economico, egli risponde: "Colui che può sfamare due bambini ne può sfamare dieci". Ciò significa che non è data alcuna attenzione ai diritti dell'infanzia: che progetti si possono fare per il proprio bambino? Sarà un essere umano che vive, cresce e muore in una società congelata o un essere umano chiamato a muoversi indipendentemente sulla base della propria personalità e aspirazioni? E affinché ciò sia reso passibile non dobbiamo avere la capacità di sfamarlo? E' sufficiente sfamare il corpo? Non è necessario dargli un'educazione che lo possa liberare dall'ambiente ignorante nel quale si muove? Qui dovrebbe intervenire il servizio sanitario: un'informazione totale e capillare. Le stesse strutture dovrebbero essere disponibili a rispondere alle necessità espresse dalla popolazione, cosa che implica un ascolto e che eviterebbe il crearsi di situazioni drammatiche, se non tragiche.
Se si considera l'influenza che la morte della donna durante la gravidanza, il parto o immediatamente dopo il parto ha sullo sviluppo sociale di un paese, cosa si può dire di un fenomeno che ha visto il decesso di 130 madri su 100.000 durante il periodo 1986-87. Le morti furono causate dalle difficoltà di accesso a strutture sanitarie. Tutte le donne partoriscono al di fuori di strutture ospedaliere. Gli specialisti sono propensi ad un miglioramento del sistema di prevenzione attraverso una costante sorveglianza della madre dall'inizio della gravidanza fino al parto. Il settore privato, che si prende cura di un numero sempre maggiore di madri, potrebbe rafforzare questo sistema.
Dei decessi registrati in Algeria, uno su tre risulta essere un bambino al di sotto di un anno di vita. Una volta su due si tratta di neonati di meno di un mese, bambini nati prematuri o la cui crescita intrauterina è stata ritardata.
Anche se questo punto rientra nel programma per la limitazione della mortalità infantile, non è stato ancora oggetto di studio. Ciò può essere spiegato con la difficoltà di intraprendere azioni nel campo del follow up delle madri, della ospedalizzazione delle nascite e della creazione di centri sanitari specializzati.
In seguito all'esodo dalle campagne (la popolazione urbana rappresenta la metà del totale), sono stati compiuti considerevoli sforzi per mantenere un buon standard sanitario: fornitura di acqua potabile, fognatura. Tuttavia queste strutture sono diventate vecchie, la siccità ha imposto severe restrizioni all'uso dell'acqua potabile. L'uso dell'acqua è limitato per brevi o lunghi periodi, fatto che ha trasformato la vita della popolazione. I bambini percorrono molta strada alla ricerca di acqua, portandosi dietro recipienti di plastica, invece di andare a scuola. La popolazione, già compressa dai costi della vita quotidiana, è costretta a comprare l'acqua potabile. Ad Oran, per esempio, è in programmazione un impianto di desalinazione. Le donne sono costrette ad andare a prendere l'acqua dalle più vicine fontane, durante il giorno, e lavare i panni a mano perché la fornitura d'acqua non permette l'uso delle lavatrici... quando ve ne è una. La mancanza d'acqua provoca anche paura di epidemie: meningiti o colera. Ogni estate ci si prepara ad affrontare la paura o la malattia... la situazione è resa ancor più grave dalla promiscuità nella quale la gente è costretta a vivere.
La politica dell'edilizia abitativa ha evidenziato le proprie deficienze: le stanze sono sovraffollate, ciò favorisce il diffondersi di malattie, ma anche qualcos'altro di terribile, l'incesto. Dal 1988, da quando la stampa ha iniziato a parlarne creando un'esplosione sociale, si è riusciti a vincere qualche tabù; ma le vittime degli incesti, o di altre forme di violenza sessuale, le sorelle nelle loro stesse abitazioni, hanno la possibilità di parlare? Anche se i tabù vengono denunciati dai media o in convegni tematici, continuano a permanere nelle famiglie ed in questo corpo opaco che è la società. Le donne e i bambini sono gli eterni ostaggi di questi tabù, vittime di paura e violenza.
Nel gennaio 1993 abbiamo dedicato alla violenza sessuale uno studio approfondito, che includeva l'incesto, la molestia sessuale, lo stupro. Per ciò che riguarda lo stupro, in un altro articolo abbiamo condotto uno studio sugli orribili crimini contro le donne commessi in Bosnia Erzegovina, da ascrivere all'atroce strategia che vuole che vengano dati alla luce, con la violenza, bambini serbi, invece dei naturali bambini bosniaci, per la gloria della Grande Serbia.
Il terrorismo che sta colpendo l'Algeria mira a mantenere le donne dietro il velo, un terrorismo che sta uccidendo ORA donne e bambini.
"Dietro il velo il virus" o la violenza dei tabù
"Dietro il velo il virus" è il titolo di un articolo di Marie Muller, inviata speciale del Nouvelle Observateur in Marocco. Che si tratti del Marocco, dell'Algeria o della Tunisia, i tabù sono gli stessi, uniti, in questi paesi del Maghreb, dalla cultura, dalla lingua e dalla religione. Nel territorio dell'Islam, l'AIDS, perché questo è il problema, è il tabù peggiore di tutti. L'ipocrisia che regna nel campo della sessualità non conosce confini. In Algeria, uomini e donne lo hanno pubblicamente rivelato in un terribile show televisivo: la grande miseria dei pazienti affetti da AIDS e la terribile minaccia per tutti. Lo rivelano i numeri: uomini e donne sono contagiati; più uomini che donne; volti nascosti parlano e parlano con voce rotta. L'ultimo, che ha viaggiato, raccomanda ai giovani coetanei di non fare come lui, lui si vergogna. Lui si vergogna; ma gli altri uomini si vergogneranno? Ma poi di cosa?
In Marocco, una donna, Hakima Himmich, diagnosticò, nel 1988 a Casablanca, il primo caso di AIDS. Nel 1988 fondò l'Associazione Marocchina contro l'AIDS. In Marocco è diffusa la prostituzione maschile. Sono state denunciate pratiche omosessuali. Nella società islamica, l'omosessualità è favorita da una società rigida, piena di tabù. Himmich ha spiegato che gli omosessuali maghrebini si organizzano fra di loro per combattere l'AIDS, come accade in altri paesi del mondo, in quanto questo argomento è tabù. Questa mostruosa ipocrisia conduce alla sieropositività, nelle donne e nei bambini, senza che essi ne siano coscienti: i mariti non parlano con le mogli, che scoprono la tragedia dopo il parto, quando il bambino risulta sieropositivo.
Nel 1986, Himmich non aveva donne fra i suoi pazienti. Nel 1992 le donne rappresentavano un terzo dei suoi pazienti, con l'80% contagiate all'interno della famiglia. La donna riconosce il diritto agli uomini di richiedere un certificato di verginità alla futura sposa. Alle donne, al contrario, non è riconosciuto alcun diritto. Dopo la bugia del coniuge, quando la malattia è scoperta, offrono la loro assistenza. Se il marito muore, la famiglia di lui le si rivolta contro, "colei che è stata la causa". Come al solito sono le donne la causa di tutti i mali. Il marcio che le donne trasmettono. Fin dall'inizio dei tempi non può essere l'uomo colui che trasmette il male. L'uomo, dopo aver contagiato la moglie, chiede il divorzio dalla donna sieropositiva e l'abbandona con i figli, per trovare sollievo in campagna, persino talvolta da una vergine che lo aiuterà a recuperare la salute. Queste credenze ancora sopravvivono, pur se sono vane.
Un sondaggio ha rivelato che le famiglie immigrate in Francia rimandano i figli divorziati o sieropositivi a casa e li fanno sposare con giovani e robuste ragazze, in grado di espellere il male, nato dai cattivi costumi praticati nelle città occidentali.
Come è possibile attuare una politica di prevenzione dell'AIDS in una atmosfera così chiusa? Solo le donne sanno, solo le donne possono aiutare.
Aiutano i mariti, aiutano le figlie. Quando esse stesse sono contagiate, sono mandate via, non hanno alcun diritto di chiedere che i mariti usino il profilattico; questa cosa porterebbe al riconoscimento della responsabilità dell'uomo, e gli uomini non lo vogliono. Gli uomini preferiscono credere solo a ciò che può dare conforto al loro benessere mentale, tutto il resto non li riguarda. Il resto è un problema delle donne: scoprire le menzogne, le ipocrisie, portare conforto e, insieme, costruire una rete di supporto. Ancora una volta è provato che, di fronte al male, le donne sono sempre presenti ed attive.
Il fuoco della guerra è sempre acceso dagli uomini ma, da sempre, sono le donne, i vecchi, i bambini ed i deboli che si bruciano alle sue fiamme.
In Algeria donne e bambini muoiono in nome di un'ideologia che sta deformando il paesaggio mediterraneo in tutti i suoi aspetti. Da paese caldo e assolato l'Algeria è diventata il paese del lutto, le lacrime hanno sostituito il buon umore che contraddistingueva il suo popolo, tutto è smembrato, le abitudini alimentari, l'abbigliamento, il modo di vivere, tutto.
215 donne sono state assassinate fra l'agosto 1993 e il novembre 1994. Sono queste le cifre ufficiali che si riferiscono ad assassini "importanti", ma tutti sanno che donne senza nome sono state uccise e che nessuno registrerà la loro morte; è impossibile crederci, uccise da proiettili o da coltelli, ma nessuno ne sa nulla. Donne giovani e anziane vengono rapite, portate nei nascondigli, le prime per soddisfare i piaceri dei combattenti, le seconde per svolgere lavori domestici.
Si fa richiesta di matrimonio temporaneo "el Mout'aa". Talvolta viene offerto del denaro ai genitori per l'acquisto della figlia, come "rimborso". Queste ragazze vengono violentate, ingravidate, talvolta uccise. Quelle che non sono uccise ritornano presso le loro famiglie. I padri non vogliono queste figlie incinte, preferiscono che vadano via, liberasi della vergogna. Alcune di queste ragazze hanno la fortuna di trovare un'associazione, come la coraggiosa "SOS donne in difficoltà". Non provano neanche risentimento per il padre. Al contrario, mantengono l'anonimato per impedire che il padre venga punito dai terroristi.
Che indossino o no lo Hidjab, che siano o no istruite, giovani o anziane che siano, le donne costituiscono l'oggetto privilegiato: per sottomettere una società, un popolo, bisogna iniziare dalle donne. Attraverso l'umiliazione, il terrore; le donne bosniache lo sanno bene, ogni donna infatti ne conosce tutti gli aspetti, ad iniziare dalla cellula familiare.
Che tipo di protezione e di appoggio queste donne, segnate a vita dalla violenza sessuale subita, possono aspettarsi? Le cicatrici sono enormi: ansia, depressione, stress, trauma, senso di colpa, vulnerabilità che possono affliggere per sempre. Chi può offrire loro quel tatto, quella comprensione e solidarietà di cui la loro condizione necessita?
La violazione dei diritti delle donne con atti di violenza, è violazione dei diritti umani. Ci associamo a Suzanne Moubarak nel dire: "Non dovremmo permettere che queste violazioni si perpetuino nell'ignoranza e nell'indifferenza generali".




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Mailto Med Indice del numero 2