Algeria violenta, Algeria che soffre, Algeria che resiste.
A partire dal 1993 questi sono i titoli che occupano le prime pagine dei
quotidiani. Il 1988 ha segnato la fine di un periodo uniforme e triste,
annunciando l'inizio di disordini che, nelle intenzioni degli Algerini,
avrebbero dovuto aprire alla democrazia ed aiutare a dimenticare le miserie
e gli errori di un regime inaccettabile. Non si poteva immaginare la violenza
di questa gestazione; una violenza che desta preoccupazione ma non è
riuscita a distruggere completamente la speranza. E' una speranza che si
cela dietro le lacrime e la sofferenza e trova manifestazione nelle varie
forme di resistenza.
In Algeria oggi, aldilà della passività di una parte della
popolazione e degli interessi dei clan, che approfittano di una situazione
altamente confusa per rafforzare propri privilegi ed arricchirsi, uomini
e donne lottano per evitare che l'Algeria precipiti nel caos. Più
donne che uomini. E lo fanno in silenzio più che con alte grida.
Donne che rifiutano di indossare lo hidjab, donne che proseguono nella
loro professione nonostante le minacce, donne che agiscono i gesti proibiti
per il piacere di dire NO ai DIKTAT integralisti: quelle che normalmente
non usavano il rossetto ora escono in pubblico con le labbra delineate
da un filo di rosso. Un gesto simbolico di colore; solo per dire che ci
sono, visibili e splendenti, contro la tristezza del loro passato, contro
l'ingiustificata inferiorità del loro status di donne e cittadine.
Contro qualsiasi politica del peggio, contro la loro sistematica esclusione
dalla vita pubblica; un'esclusione che ha origine nei primi anni dopo l'indipendenza,
benché la partecipazione delle donne alla guerra di liberazione
non fu per nulla trascurabile, come io stessa ho avuto modo di descrivere
in un precedente studio.
Volevano ridurre la donna all'unica funzione procreativa. E le donne hanno
procreato senza interruzione... e questa discendenza si è riunita
a migliaia nelle strade di Algeri il 5 ottobre 1988 per gridare la propria
indignazione. Già da anni i demografi avevano annunciato questa
esplosione. Vi è un forte incremento demografico in Algeria, come
dimostrano i numeri dati di seguito.
Nel 1897, sette anni dopo la conquista francese, l'Algeria aveva una popolazione
di 3,8 milioni di abitanti. Nel 1965, tre anni dopo l'indipendenza, ve
ne erano 11.923 milioni. Nel 1995 la popolazione è stimata essere
di 28 milioni. Bisogna ricordare che la popolazione è confinata
nella zona nord del territorio algerino, che ricopre un'estensione di circa
cinque volte la Francia.
La popolazione si è più che raddoppiata dall'indipendenza.
Entro il 2005, se permane l'attuale ritmo delle nascite, una ogni 40 secondi,
potrebbe raggiungere i 40 milioni.
Sono stati resi noti i dati ufficiali dell'Istituto Nazionale di Statistica
e delle Nazioni Unite. Il primo prevede, per l'anno 2005, una popolazione
di 32,83 milioni, le seconde, con una previsione fatta nel 1985, di 35
milioni.
I tre quarti della popolazione è rappresentato da giovani sotto
i 30 anni. Ciò crea una situazione altamente esplosiva. I giovani
al di sotto dei 15 anni rappresentano il 44% del totale. E' la percentuale
più alta nel Maghreb.
Perché una natalità così alta?
La spiegazione prima fa riferimento al riflesso di natalità: le
perdite umane, subite a causa della Guerra di Liberazione, furono stimate
essere il 18% della popolazione. Al momento dell'indipendenza vi erano
34 nascite ogni 1000 abitanti. Nel 1988, ci furono 788,749 nascite contro
118,069 decessi. Il tasso di incremento per lo stesso anno è di
27,30 su 1000. Se paragonato al 1981, anno in cui l'incremento era di 31,60
su 1000 abitanti, si nota una notevole regressione.
Questa regressione è dovuta agli sforzi per l'attuazione di una
politica di pianificazione familiare, già avviata nel 1966 ma concretizzata
molto dopo.
Le prime vittime di un lento degrado degli standard sanitari sono le donne
e i bambini.
La prima campagna per la pianificazione delle nascite fu lanciata nel 1983.
Nel 1984 furono create due strutture, all'interno di due ministeri (della
Protezione Sociale e della Sanità Pubblica), affinché potessero
dare seguito al programma. Si tratta rispettivamente della Direzione all'Educazione
e Prevenzione alla Salute e della Direzione alla Famiglia.
Nel 1986 questo programma entrò a far parte del Programma Nazionale
per le Azioni contro la Mortalità Infantile. Queste azioni trovarono
maggior forza nel 1988, con l'istituzione del Comitato Nazionale per la
Protezione della Famiglia, che aveva il compito di coordinare, stimolare
e valutare le azioni attuate per regolamentare la crescita demografica.
Nel 1989 la Direzione alla Famiglia passò sotto l'amministrazione
del Ministero della Sanità. Con gli anni questa struttura è
stata ridotta ad una sotto-direzione all'interno della Direzione alla Prevenzione.
Nel 1993, fu creata una Segreteria di Stato per la Solidarietà Nazionale,
assegnata al Capo del Governo. Tre donne si sono succedute alla sua direzione,
probabilmente una concessione per dimostrare che le donne non sono discriminate.
Le attività delle sotto-segreterie possono essere seguite in televisione:
visite agli istituti per gli anziani, per i bambini abbandonati, per i
portatori di handicap - le vittime del terrorismo... Queste visite mostrano
l'interesse ai problemi della famiglia, una famiglia che subisce i maltrattamenti
di un codice familiare inaccettabile, ma ancora valido... Capifamiglia
assassinati, madri o padri, intere famiglie trucidate, orfani in gran numero.
Cosa è stato fatto per una effettiva e giusta politica familiare?
Quale coerenza si può avere quando l'alternarsi dei responsabili
a queste istituzione è così rapido? Qual è il margine
di manovra per una tale politica in Algeria, dove il vento dell'integralismo
soffia così violentemente?
Non dobbiamo scordare che le azioni delle istituzioni incaricate della
pianificazione familiare non sempre hanno trovato supporto nelle autorità
religiose, ancor prima che si formassero il Fronte Islamico di Salvezza
(FIS) e gli partiti islamici. Sempre si è reso necessario ottenere
un parere preliminare da parte delle istituzioni religiose. Nel 1982 il
Consiglio Superiore Islamico ha pronunciato una Fatwa sulla contraccezione.
Con la Fatwa, l'Islam autorizza il controllo delle nascite ma non la loro
limitazione. I metodi ammessi per il controllo delle nascite sono quelli
che fanno riferimento a metodi naturali per prevenire una nuova gravidanza,
come il prolungamento dell'allattamento. Nonostante questa Fatwa, gli Imam
nelle moschee esaltano il ruolo riproduttivo delle donne musulmane, una
condizione leggendaria della donna che prende forza dal numero dei figli
che dà alla luce. Non dimentichiamo che ancora oggi è atteggiamento
comune tenere in scarsa considerazione la donna sterile o con pochi figli.
Sappiamo cosa attende queste donne che non hanno adempiuto al loro ruolo
di procreatrici: il divorzio o l'accettazione di una nuova sposa.
Non dobbiamo inoltre dimenticare la situazione delle donne che danno alla
luce solo bambine: ripetute gravidanze fino all'arrivo di un erede maschio.
Il numero dei ragazzi rispetto alle ragazze, nelle famiglie, è tuttora
predominante.
Dobbiamo notare che la normativa che si riferisce alla pianificazione delle
nascite, nel servizio sanitario, ha favorito in modo netto l'accesso ai
servizi pubblici, quali i centri sanitari per la pianificazione familiare:
da 745 nel 1984, sono diventati 1400 nel 1986, 1872 nel 1987 e 1955 nel
maggio 1988. Nel 30% di questi centri si applicano IUD. Esiste un centro
ogni 2970 donne in età fertile, anche se nel sud rurale del wilayate
ve ne è uno ogni 15.400 donne.
Si sono determinati degli aspetti positivi della politica per la pianificazione
delle nascite: accesso a prodotti contraccettivi; la formazione di personale
qualificato; aumento di consapevolezza; calo del tasso di fertilità.
Accesso, in 2000 strutture, a prodotti contraccettivi. Nel 1987 10 milioni
di opuscoli e 104.000 contraccettivi intrauterini vengono registrati sul
registro nazionale dei farmaci. Il Fondo Unito per la Popolazione sostiene
un progetto per la produzione di pillole anticoncezionali nella stessa
Algeria, anche se un recente studio ha classificato questo investimento
come non produttivo.
Fra il 1980 ed il 1987 sono stati formati 5000 agenti, levatrici rurali,
tecnici e specialisti sanitari per fornire aiuto ostetrico. Nelle scuole
paramediche un modulo di 20 ore è assegnato al tema della programmazione
delle nascite. Il personale coinvolto deve sottoporsi a formazione di riconversione.
Le azioni sopra descritte hanno favorito un progresso mentale nelle città,
già evidenziato in un sondaggio del 1966 condotto dalla Società
Algerina per la Ricerca Demografica e Sociale: il 44,5% delle donne ed
il 65% degli uomini conoscevano almeno un metodo contraccettivo.
Nel 1980 un sondaggio nazionale evidenziò che solo l'11% delle donne
usavano metodi contraccettivi.
Nel 1984 un sondaggio dell'Ufficio Nazionale di Statistica, condotto nelle
famiglie, diede percentuali superiori: il 23% come valore medio; il 31%
nella regione di Algeri ed il 15% nell'area rurale.
Un sondaggio condotto dal Centro Nazionale di Studi e Analisi per la Pianificazione
su un campione di 5300 famiglie mostra, relativamente alla zona nord dell'Algeria:
una netta diminuzione dell'età matrimoniale e del numero di matrimoni;
il calo del tasso di fertilità ed aumento della contraccezione.
Nel 1966 il 50% delle donne si sposavano prima dei 20 anni. Il numero delle
donne single fra i 20 e 24 anni era del 10%. 20 anni dopo questo numero
sale al 50%. L'età matrimoniale negli uomini è di 27,2 anni,
nelle donne di 23,7. La crisi della famiglia e le difficoltà economiche
hanno ampiamente contribuito a protrarre l'età matrimoniale. Molti
uomini e donne sopra i 30 e persino i 40 anni non sono sposati e vivono
con i genitori. Talvolta sono sposati sulla carta, con un matrimonio civile
che verrà consumato solo nel momento in cui la coppia potrà
avere una casa propria.
Nel 1992 il valore medio per una donna coniugata fra i 15 ed i 50 anni,
era di 11 bambini. Il calo di fertilità è espresso nel 1986
in una diminuzione di 80.000 nascite rispetto all'anno precedente. Il brusco
calo della percentuale di nascita dello 0,4% nell'anno 1986-87, si è
verificato nonostante l'altrettanto netto aumento della percentuale dei
matrimoni del 3,49%. Il 35% delle donne coniugate in età fertile
fanno uso di contraccettivi. Nelle città la percentuale raddoppia,
una donna su due fa uso di contraccettivi. Il 38,1% del totale delle donne
non ha mai sentito parlare di metodi contraccettivi. Per quanto riguarda
il metodo usato la preferenza va chiaramente alla pillola (73,2%). Il 6,2%
delle donne sceglie un metodo intrauterino, il 3,3% la sterilizzazione
ed il 17,3% altri metodi. Nella maggioranza dei casi le ricette sono rilasciate
da studi medici privati.
Questa politica di pianificazione familiare non sembra essere stata efficace
se la si confronta con l'aumento della popolazione. Perché?
Dev'essere forse attribuito allo scarso miglioramento del servizio sanitario
durante questo dominio? Di fatto le donne si accostano sempre più
al privato, anche se il settore pubblico ha più infrastrutture e
forza lavoro. Probabilmente le donne apprezzano, nel privato, la qualità
degli standard offerti, la disponibilità all'ascolto e alla comunicazione.
Questo fatto ha indotto gli specialisti sanitari a pensare nuove forme
per rivitalizzare il settore pubblico, per esempio visite domiciliari che
si basano su un nuovo rapporto fra la famiglia ed il personale sanitario.
Questi specialisti richiedono anche una migliore integrazione del settore
privato con gli obiettivi del pubblico.
Un altro elemento di ostacolo alla diffusione della pianificazione delle
nascite deve essere ricercato della mancanza di anticoncezionali. Ciò
accade abbastanza spesso per i prodotti medici importanti. Questo fatto
evidenzia una cattiva gestione delle scorte. Le donne sono costrette ad
interrompere la contraccezione iniziata.
Come è stato affrontato il problema demografico?
Nel 1976, in una fede socialista, fu redatta una Carta Nazionale, adottata
successivamente in seguito ad un referendum. In questa Carta si affermava
che era necessario dare una soluzione positiva al problema demografico,
sostituendo all'obbiettivo di ridurre il numero dei cittadini, quello di
formare produttori e di dotare "la società di strutture atte
ad utilizzare e valorizzare questi ingenti numeri". Questa dichiarazione
politica, di permettere a 100 milioni di persone di vivere in Algeria,
è stata ora sostituita da una politica di controllo demografico,
in quanto si è giunti alla considerazione che l'aumento della popolazione
è la causa del sottosviluppo. Il controllo delle nascite è
una necessità sia economica che socio-culturale.
Dal 1980 il problema della pianificazione delle nascite è passato
sotto il totale controllo del Ministero della Sanità. L'approccio
medico al problema ha indotto il Dr Khiati ad affermare che le spese dovrebbero
essere razionalizzate quando le risorse sono scarse e che è importante
capire che la pianificazione familiare è prima di tutto un problema
personale della coppia stessa; la coppia quindi ha il diritto di esercitare
la propria libertà all'interno del proprio spazio personale. Il
Dr Khiati ha inoltre dichiarato che la pianificazione delle nascite non
può essere affrontata per decreto. Egli ha voluto dare al problema
un punto di vista religioso, rammentando che il controllo delle nascite
è proibito dalla religione islamica e che la società algerina
è governata da regole islamiche. Non dobbiamo dimenticare le dichiarazioni
non solo degli uomini, ma anche delle donne, per i quali un bambino è
un dono di Dio e, a coloro che guardano all'aspetto economico, egli risponde:
"Colui che può sfamare due bambini ne può sfamare dieci".
Ciò significa che non è data alcuna attenzione ai diritti
dell'infanzia: che progetti si possono fare per il proprio bambino? Sarà
un essere umano che vive, cresce e muore in una società congelata
o un essere umano chiamato a muoversi indipendentemente sulla base della
propria personalità e aspirazioni? E affinché ciò
sia reso passibile non dobbiamo avere la capacità di sfamarlo? E'
sufficiente sfamare il corpo? Non è necessario dargli un'educazione
che lo possa liberare dall'ambiente ignorante nel quale si muove? Qui dovrebbe
intervenire il servizio sanitario: un'informazione totale e capillare.
Le stesse strutture dovrebbero essere disponibili a rispondere alle necessità
espresse dalla popolazione, cosa che implica un ascolto e che eviterebbe
il crearsi di situazioni drammatiche, se non tragiche.
Se si considera l'influenza che la morte della donna durante la gravidanza,
il parto o immediatamente dopo il parto ha sullo sviluppo sociale di un
paese, cosa si può dire di un fenomeno che ha visto il decesso di
130 madri su 100.000 durante il periodo 1986-87. Le morti furono causate
dalle difficoltà di accesso a strutture sanitarie. Tutte le donne
partoriscono al di fuori di strutture ospedaliere. Gli specialisti sono
propensi ad un miglioramento del sistema di prevenzione attraverso una
costante sorveglianza della madre dall'inizio della gravidanza fino al
parto. Il settore privato, che si prende cura di un numero sempre maggiore
di madri, potrebbe rafforzare questo sistema.
Dei decessi registrati in Algeria, uno su tre risulta essere un bambino
al di sotto di un anno di vita. Una volta su due si tratta di neonati di
meno di un mese, bambini nati prematuri o la cui crescita intrauterina
è stata ritardata.
Anche se questo punto rientra nel programma per la limitazione della mortalità
infantile, non è stato ancora oggetto di studio. Ciò può
essere spiegato con la difficoltà di intraprendere azioni nel campo
del follow up delle madri, della ospedalizzazione delle nascite e della
creazione di centri sanitari specializzati.
In seguito all'esodo dalle campagne (la popolazione urbana rappresenta
la metà del totale), sono stati compiuti considerevoli sforzi per
mantenere un buon standard sanitario: fornitura di acqua potabile, fognatura.
Tuttavia queste strutture sono diventate vecchie, la siccità ha
imposto severe restrizioni all'uso dell'acqua potabile. L'uso dell'acqua
è limitato per brevi o lunghi periodi, fatto che ha trasformato
la vita della popolazione. I bambini percorrono molta strada alla ricerca
di acqua, portandosi dietro recipienti di plastica, invece di andare a
scuola. La popolazione, già compressa dai costi della vita quotidiana,
è costretta a comprare l'acqua potabile. Ad Oran, per esempio, è
in programmazione un impianto di desalinazione. Le donne sono costrette
ad andare a prendere l'acqua dalle più vicine fontane, durante il
giorno, e lavare i panni a mano perché la fornitura d'acqua non
permette l'uso delle lavatrici... quando ve ne è una. La mancanza
d'acqua provoca anche paura di epidemie: meningiti o colera. Ogni estate
ci si prepara ad affrontare la paura o la malattia... la situazione è
resa ancor più grave dalla promiscuità nella quale la gente
è costretta a vivere.
La politica dell'edilizia abitativa ha evidenziato le proprie deficienze:
le stanze sono sovraffollate, ciò favorisce il diffondersi di malattie,
ma anche qualcos'altro di terribile, l'incesto. Dal 1988, da quando la
stampa ha iniziato a parlarne creando un'esplosione sociale, si è
riusciti a vincere qualche tabù; ma le vittime degli incesti, o
di altre forme di violenza sessuale, le sorelle nelle loro stesse abitazioni,
hanno la possibilità di parlare? Anche se i tabù vengono
denunciati dai media o in convegni tematici, continuano a permanere nelle
famiglie ed in questo corpo opaco che è la società. Le donne
e i bambini sono gli eterni ostaggi di questi tabù, vittime di paura
e violenza.
Nel gennaio 1993 abbiamo dedicato alla violenza sessuale uno studio approfondito,
che includeva l'incesto, la molestia sessuale, lo stupro. Per ciò
che riguarda lo stupro, in un altro articolo abbiamo condotto uno studio
sugli orribili crimini contro le donne commessi in Bosnia Erzegovina, da
ascrivere all'atroce strategia che vuole che vengano dati alla luce, con
la violenza, bambini serbi, invece dei naturali bambini bosniaci, per la
gloria della Grande Serbia.
Il terrorismo che sta colpendo l'Algeria mira a mantenere le donne dietro
il velo, un terrorismo che sta uccidendo ORA donne e bambini.
"Dietro il velo il virus" o la violenza dei tabù
"Dietro il velo il virus" è il titolo di un articolo di
Marie Muller, inviata speciale del Nouvelle Observateur in Marocco. Che
si tratti del Marocco, dell'Algeria o della Tunisia, i tabù sono
gli stessi, uniti, in questi paesi del Maghreb, dalla cultura, dalla lingua
e dalla religione. Nel territorio dell'Islam, l'AIDS, perché questo
è il problema, è il tabù peggiore di tutti. L'ipocrisia
che regna nel campo della sessualità non conosce confini. In Algeria,
uomini e donne lo hanno pubblicamente rivelato in un terribile show televisivo:
la grande miseria dei pazienti affetti da AIDS e la terribile minaccia
per tutti. Lo rivelano i numeri: uomini e donne sono contagiati; più
uomini che donne; volti nascosti parlano e parlano con voce rotta. L'ultimo,
che ha viaggiato, raccomanda ai giovani coetanei di non fare come lui,
lui si vergogna. Lui si vergogna; ma gli altri uomini si vergogneranno?
Ma poi di cosa?
In Marocco, una donna, Hakima Himmich, diagnosticò, nel 1988 a Casablanca,
il primo caso di AIDS. Nel 1988 fondò l'Associazione Marocchina
contro l'AIDS. In Marocco è diffusa la prostituzione maschile. Sono
state denunciate pratiche omosessuali. Nella società islamica, l'omosessualità
è favorita da una società rigida, piena di tabù. Himmich
ha spiegato che gli omosessuali maghrebini si organizzano fra di loro per
combattere l'AIDS, come accade in altri paesi del mondo, in quanto questo
argomento è tabù. Questa mostruosa ipocrisia conduce alla
sieropositività, nelle donne e nei bambini, senza che essi ne siano
coscienti: i mariti non parlano con le mogli, che scoprono la tragedia
dopo il parto, quando il bambino risulta sieropositivo.
Nel 1986, Himmich non aveva donne fra i suoi pazienti. Nel 1992 le donne
rappresentavano un terzo dei suoi pazienti, con l'80% contagiate all'interno
della famiglia. La donna riconosce il diritto agli uomini di richiedere
un certificato di verginità alla futura sposa. Alle donne, al contrario,
non è riconosciuto alcun diritto. Dopo la bugia del coniuge, quando
la malattia è scoperta, offrono la loro assistenza. Se il marito
muore, la famiglia di lui le si rivolta contro, "colei che è
stata la causa". Come al solito sono le donne la causa di tutti i
mali. Il marcio che le donne trasmettono. Fin dall'inizio dei tempi non
può essere l'uomo colui che trasmette il male. L'uomo, dopo aver
contagiato la moglie, chiede il divorzio dalla donna sieropositiva e l'abbandona
con i figli, per trovare sollievo in campagna, persino talvolta da una
vergine che lo aiuterà a recuperare la salute. Queste credenze ancora
sopravvivono, pur se sono vane.
Un sondaggio ha rivelato che le famiglie immigrate in Francia rimandano
i figli divorziati o sieropositivi a casa e li fanno sposare con giovani
e robuste ragazze, in grado di espellere il male, nato dai cattivi costumi
praticati nelle città occidentali.
Come è possibile attuare una politica di prevenzione dell'AIDS in
una atmosfera così chiusa? Solo le donne sanno, solo le donne possono
aiutare.
Aiutano i mariti, aiutano le figlie. Quando esse stesse sono contagiate,
sono mandate via, non hanno alcun diritto di chiedere che i mariti usino
il profilattico; questa cosa porterebbe al riconoscimento della responsabilità
dell'uomo, e gli uomini non lo vogliono. Gli uomini preferiscono credere
solo a ciò che può dare conforto al loro benessere mentale,
tutto il resto non li riguarda. Il resto è un problema delle donne:
scoprire le menzogne, le ipocrisie, portare conforto e, insieme, costruire
una rete di supporto. Ancora una volta è provato che, di fronte
al male, le donne sono sempre presenti ed attive.
Il fuoco della guerra è sempre acceso dagli uomini ma, da sempre,
sono le donne, i vecchi, i bambini ed i deboli che si bruciano alle sue
fiamme.
In Algeria donne e bambini muoiono in nome di un'ideologia che sta deformando
il paesaggio mediterraneo in tutti i suoi aspetti. Da paese caldo e assolato
l'Algeria è diventata il paese del lutto, le lacrime hanno sostituito
il buon umore che contraddistingueva il suo popolo, tutto è smembrato,
le abitudini alimentari, l'abbigliamento, il modo di vivere, tutto.
215 donne sono state assassinate fra l'agosto 1993 e il novembre 1994.
Sono queste le cifre ufficiali che si riferiscono ad assassini "importanti",
ma tutti sanno che donne senza nome sono state uccise e che nessuno registrerà
la loro morte; è impossibile crederci, uccise da proiettili o da
coltelli, ma nessuno ne sa nulla. Donne giovani e anziane vengono rapite,
portate nei nascondigli, le prime per soddisfare i piaceri dei combattenti,
le seconde per svolgere lavori domestici.
Si fa richiesta di matrimonio temporaneo "el Mout'aa". Talvolta
viene offerto del denaro ai genitori per l'acquisto della figlia, come
"rimborso". Queste ragazze vengono violentate, ingravidate, talvolta
uccise. Quelle che non sono uccise ritornano presso le loro famiglie. I
padri non vogliono queste figlie incinte, preferiscono che vadano via,
liberasi della vergogna. Alcune di queste ragazze hanno la fortuna di trovare
un'associazione, come la coraggiosa "SOS donne in difficoltà".
Non provano neanche risentimento per il padre. Al contrario, mantengono
l'anonimato per impedire che il padre venga punito dai terroristi.
Che indossino o no lo Hidjab, che siano o no istruite, giovani o anziane
che siano, le donne costituiscono l'oggetto privilegiato: per sottomettere
una società, un popolo, bisogna iniziare dalle donne. Attraverso
l'umiliazione, il terrore; le donne bosniache lo sanno bene, ogni donna
infatti ne conosce tutti gli aspetti, ad iniziare dalla cellula familiare.
Che tipo di protezione e di appoggio queste donne, segnate a vita dalla
violenza sessuale subita, possono aspettarsi? Le cicatrici sono enormi:
ansia, depressione, stress, trauma, senso di colpa, vulnerabilità
che possono affliggere per sempre. Chi può offrire loro quel tatto,
quella comprensione e solidarietà di cui la loro condizione necessita?
La violazione dei diritti delle donne con atti di violenza, è violazione
dei diritti umani. Ci associamo a Suzanne Moubarak nel dire: "Non
dovremmo permettere che queste violazioni si perpetuino nell'ignoranza
e nell'indifferenza generali".
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