Per poter capire la condizione delle/degli immigrante/i e delle/dei profughe/i
nel Kossovo, è necessario considerare alcuni aspetti della situazione
politica.
Il Kossovo è situato nei Balcani, un pezzo di ciò che è
rimasto della Jugoslavia, meglio conosciuto come la "polveriera" della
regione. La popolazione, in maggioranza di etnia albanese, ha proclamato,
con un referendum, la propria indipendenza, dopo aver subito il rifiuto
sistematico del riconoscimento dei propri diritti individuali e collettivi
da parte del regime serbo di Belgrado.
A partire dal 1989 la Serbia, con l'appoggio delle forze militari e di
polizia, ha sciolto il Parlamento del Kossovo ed ha abolito la sua costituzione,
imponendo lo stato di legge marziale e rafforzando il potere serbo. Fra
la popolazione locale, che ha tentato di opporsi a questa realtà,
si sono registrati centinaia di morti e feriti, migliaia di persone sono
state imprigionate. Da allora gli albanesi del Kossovo vivono fra perenni
conflitti ed estrema violenza. Da quasi sette anni sono esclusi dalla vita
istituzionale e pubblica.
Non esistono più scuole o università in lingua albanese;
televisione, radio e giornali in lingua albanese sono proibiti. La maggior
parte dei medici e il personale dello staff medico di origine albanese
è stato buttato fuori da ospedali, policlinici e altre istituzioni
sanitarie. Il Sindacato Indipendente del Kossovo afferma che, dopo il 1990,
145.000 lavoratori sono stati licenziati dai loro posti di lavoro, ciò
significa i 3/4 dei lavoratori, e questo è avvenuto solo per ragioni
politiche. Tutti i giudici albanesi, i poliziotti, ecc. sono stati espulsi
dal loro posto di lavoro.
Il Kossovo oggi è una regione con la maggiore presenza di polizia
e di milizia Serba. Ci sono più di 100.000 forze militari e di polizia
(da fonti serbe ufficiali). Forze paramilitari possono muoversi liberamente
nel Kossovo, libere di provocare la popolazione civile albanese nei modi
più brutali. Persino i civili serbi sono ben armati e possono uccidere
un albanese senza subire conseguenze penali (il caso più recente
è l'uccisione di uno studente nel giorno del suo compleanno, da
parte di un cecchino).
Dai dati del Consiglio per la Difesa dei Diritti Umani e per la Libertà
di Pristina si rileva che, nel corso di questi anni più di 800.000
albanesi hanno subito interrogatori polizieschi. La popolazione del Kossovo
è di oltre 2 milioni di abitanti, ciò significa che, indipendentemente
dall'età e dal sesso, un albanese su due è stato sottoposto
ad interrogatorio.
Gli albanesi che alloggiavano in appartamenti statali hanno perso il diritto
di occuparli. Ogni anno vengono confiscati 580 appartamenti, gli albanesi
vengono sfrattati con la forza, anche se avevano il diritto, riconosciuto
dalla legge, di viverci. Al loro posto questi appartamenti vengono occupati
dai serbi. La mancanza di sicurezza per la vita ed i mezzi di sussistenza
ha costretto un gran numero di albanesi a lasciare il paese, trovandosi
così nella condizione di immigrati in stati dell'Europa occidentale
e negli Stati Uniti. Si stima che solo nei paesi della UE vivano 330.000
profughi dal Kossovo e circa 170.000 in altri paesi.
Nei casi in cui il paese di accoglienza tenta di rinviarli indietro, rifiutando
di concedere il diritto di asilo (non c'è guerra nel Kossovo!?!),
le autorità serbe non concedono il permesso di rimpatrio. Gli albanesi
vengono così rispediti nel paese da cui erano stati deportati, dopo
essere stati trattenuti agli arresti per alcuni giorni nell'aeroporto di
Belgrado o in altra prigione. Neanche ai defunti è concesso di essere
seppelliti in patria. Stando a quanto riferisce il Comitato Helsinki del
Kossovo, la Serbia non permette il rimpatrio delle salme dei profughi asserendo
che "le autorità di frontiera serbe non concessero il rimpatrio
di sei salme di profughi del Kossovo, annegate il 23 aprile 1996 nel Danubio
dopo che la loro barca si era ribaltata, vicino a Esztergom". Successivamente
asserisce che "l'Ambasciata jugoslava a Budapest, che aveva il compito
di preparare le carte per il rimpatrio delle salme, aveva rifiutato di
dare assistenza ai parenti delle vittime". C'erano 16 profughi sulla barca,
nel tentativo di passare dall'Ungheria in Slovacchia.
Nel 1994 e 1995 le autorità serbe hanno lanciato, attraverso i mass
media, una vasta campagna di colonizzazione del Kossovo da parte dei serbi,
con lo scopo di modificare la composizione del Kossovo a favore dei Serbi
e di introdurre nel Kossovo una legislazione per il parlamento serbo, che
servisse almeno 100.000 Serbi. Tutto ciò in un periodo in cui almeno
500.000 albanesi erano andati via, a causa di una indiscriminata repressione
ed una sistematica discriminazione, perpetrati nel corso degli ultimi anni.
L'insediamento dei serbi nel Kossovo prevedeva l'attuazione di progetti
abitativi in diverse località, come Reka e Madhe vicino a Vushtri,
Junik vicino a Gjakova, nelle immediate vicinanze del confine con l'Albania,
nel tentativo di creare una zona cuscinetto fra le due etnie albanesi.
Ciò ha fatto ulteriormente aumentare la già alta tensione
etnica e politica nell'area. Il Commissariato Serbo per i Profughi e altre
istituzioni serbe di rilievo hanno inoltre espresso la ferma intenzione
di alloggiare, nei territori del Kossovo, i profughi serbi provenienti
dalle aree di guerra della ex Jugoslavia. La campagna di insediamento dei
serbi nel Kossovo ha assunto intensità maggiore nel periodo in cui
le autorità di Belgrado, dopo l'esodo di massa dei serbi dalla Krajina,
in Croazia, decisero di alloggiare un grande numero di questi profughi
nel Kossovo. In questo modo le autorità di Belgrado tentarono di
manipolare, nascondere e minimizzare la portata della sconfitta serba in
Krajina, per ragioni di politica interna; l'opportunità offerta
dall'emergenza Krajina diventava inoltre un modo per offrire un parziale
compenso alla sconfitta, contribuendo a dare un forte impulso alla prima
legislazione parlamentare per la colonizzazione del Kossovo, da parte di
elementi di etnia serba. Le autorità di Belgrado hanno costantemente
ignorarono le proteste e gli inviti, sia nazionali che internazionali,
a desistere da questa politica, in quanto un mutamento forzato della composizione
etnica avrebbe inevitabilmente provocato una escalation delle tensioni
politiche e ristretto ulteriormente lo spazio, già di per sé
limitato, per trovare una soluzione politica e pacifica al problema del
Kossovo. Al contrario, fu presa la decisione di inviare ed insediare nel
Kossovo un numero ufficiale di 20.000 profughi serbi dalla Krajina. Nel
gennaio 1996, stando all'ufficio umanitario della Croce Rossa jugoslava,
il numero dei profughi dalla Krajina raggiungeva i 19.599, mentre il numero
dei profughi serbi insediatisi durante quel periodo aveva raggiunto i 2.947.
La popolazione del Kossovo e l'opinione pubblica, mentre esprimevano comprensione
e compassione per le gravi condizioni umanitarie dei serbi della Krajina,
dichiararono che la tragica situazione non doveva essere utilizzata da
Belgrado per attuare pericolosi scopi politici, quali il mutamento forzato
della composizione etnica del Kossovo e l'attuazione della politica serba
nei territori del Kossovo. Denunciando il fatto che l'insediamento dei
profughi della Krajina era considerato un deliberato atto di colonizzazione,
la popolazione ha rimarcato che il Kossovo, nelle condizioni attuali con
il doppio della densità di popolazione della Serbia (194 per metro
quadrato), per il fatto di essere di gran lunga l'entità più
povera della ex Jugoslavia, con scarse risorse economiche ed umanitarie
e con una situazione politica patologica, non era il luogo adatto ad accogliere
e gestire altre popolazioni. La politica di insediamento dei profughi della
Krajina comprendeva l'offerta gratuita di terreni, impieghi, crediti e
altri privilegi, sistematicamente negati agli Albanesi del Kossovo.
Diverse ONG e altre associazioni hanno denunciato casi in cui i profughi
della Krajina hanno usato la forza, con la complicità della polizia,
per impossessarsi delle abitazioni private degli albanesi, per esempio
la casa di Nazim Korka a Graqanica, o quella di Miradie Gashi a Veli Brag,
o di Zubin Potok, ecc. I profughi vengono aiutati ad inserirsi nel mondo
del lavoro nel settore commerciale, amministrativo, dell'industria e minerario.
La procedura per l'assunzione prevede una dichiarazione, nella quale si
afferma che l'accettazione del posto di lavoro comporta l'andare a vivere
permanentemente nel Kossovo. Coloro che rifiutano di fare questa dichiarazione,
non possono ottenere l'impiego.
Un numero di profughi serbi della Krajina hanno rifiutato di trasferirsi
definitivamente nel Kossovo. In questi casi sono tuttavia costretti, con
la forza, scortati e tenuti sotto controllo da ingenti forze di polizia,
ad occupare le aree che rientrano nei programmi di pianificazione dell'attuale
regime.
Gli immigranti e altri profughi, provenienti dalle diverse aree di guerra
della ex Jugoslavia, si trovano in condizioni molto difficili, in quanto
la maggior parte di loro sono di provenienza etnica diversa dai serbi e
perciò privi di protezione; ricevono aiuto dalla cittadinanza locale
o da gruppi umanitari e di donne albanesi.
Il Centro delle Donne di Pristina si occupa di 47 famiglie di 157 membri,
offrendo loro sostegno, cure mediche e consulenza. La maggior parte di
queste donne sono profughe bosniaco-musulmane provenienti da Focaand Bjelina,
costrette a essere registrate per poi essere rinviate in Bosnia, dove si
troveranno nuovamente in condizioni di profughe, in quanto le loro abitazioni
si trovano in regioni ormai in mano ai Serbi.
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