La storia delle donne albanesi è una storia di grandi sfide.
Tutto ciò che esse hanno raggiunto è significativo della
loro intelligenza e vitalità, del loro carattere peculiare e della
loro umanità.
L'apertura dell'Albania al mondo ha rivelato la visione dolorosa della
povertà economica, delle limitazioni della libertà individuale
che il mondo non poteva immaginare. Nello stesso tempo, è venuta
fuori la sua meraviglia, una pleiade di donne dalle svariate specializzazioni
scientifiche, che si presentano al mondo con una ricchezza di dignità
professionale e rispettabilità, donne con grandi aspirazioni.
Se inserita nel contesto storico, questa visione risulta ancora più
interessante.
Alla metà di questo secolo, la fine della seconda guerra mondiale
ha trovato le donne albanesi analfabete al 99%, poiché la tradizione
patriarcale del nostro paese l'aveva resa categoria sociale senza dignità.
Oggi, invece, ci sono donne albanesi che sono delle personalità
nel mondo della scienza, nella cultura e nell'arte, come Mula Inva, che
ha stupito il mondo artistico con la sua voce.
Il 1990 ha segnato per noi il passaggio ad una nuova vita, l'ingresso
nella società democratica e pluralista per cui senza dubbio anche
le donne albanesi hanno lottato molto, dando al movimento per la democrazia
i loro sogni, l'anima, la loro attività fisica e soprattutto i loro
figli. Ma dopo tutto questo, che cosa ha portato alle donne albanesi questo
periodo di transizione?
La maggior parte di loro sono rimaste senza lavoro. Se nel 1989 lavorava
l'80,1%, nel 1995 questa cifra è scesa a meno del 50%. Benché
esse costituiscano il 44% dell'intellighenzia del paese e questo significa
che hanno un alto livello di qualificazione solo il 20% del personale impiegato
nei vari settori di governo sono donne, il 5,7 dei parlamentari (nel 1990
erano il 30%), c'è solo una ministra su venti ministri, nessuna
donna si trova tra Ie autorità amministrative locali.
La disoccupazione totale, la mancanza di prospettive di lavoro, I'aumento
del costo della vita hanno fatto sì che la maggior parte della popolazione
attiva cercasse nell'emigrazione all'estero migliori condizioni di vita.
Ufficialmente sono circa 300mila, ma possono essere calcolati in mezzo
milione circa gli albanesi che sono emigrati nei paesi vicini, negli Usa,
in Australia, in Sud Africa.
L'emigrazione ha via via assunto caratteristiche nuove, con la presenza
numerosa delle donne, le quali, spinte dalle crescenti difficoltà
economiche e influenzate dalle stesse vuote promesse governative di un'emigrazione
organizzata, hanno attraversato il mare a tutti i costi, anche perdendo
la vita per andare incontro alla speranza.
Gli emigrati, stanchi delle chiacchiere di politici incapaci, partono
per farsi una vita lontano dal nostro paese, ma sempre con la speranza
di trovare al loro ritorno l'Albania come la desiderano e la sognano. Per
le donne albanesi rimaste a casa, senza il marito ed i figli, la vita è
più difficile, perché al dolore della mancanza delle persone
amate si aggiunge la paura che la famiglia vada in rovina (e non sono pochi
i casi di divorzio). Così, sempre più spesso, emigrano anche
le donne e l'opinione pubblica albanese accetta come una necessità
il fatto che tante donne intellettuali, artiste, mediche, ecc. vadano a
lavorare come collaboratrici domestiche per migliorare le condizioni economiche
della famiglia.
Sui mass media esteri ed anche su quelli albanesi si pone un altro problema,
quello della prostituzione. Un fatto vergognoso e chiunque si domanda:
perché succede tutto questo?
Perché le donne albanesi debbono farlo, per qual ragioni?
Devo dire prima di tutto che l'onore di una donna albanese è
molto importante, ma l'apertura al mondo ha scoperto una piaga che esiste
ovunque ed ha toccato pure l'Albania. Queste donne sono vittime di una
rete mafiosa di criminali e trafficanti. È imperdonabile che il
nostro governo, di fronte a questa vergogna non faccia niente, e
se ne sta tranquillo mentre quei criminali portano con l'inganno e la violenza
le nostre donne sulle strade dell'Italia, della Grecia e di altri paesi.
Queste giovani donne legano con le lacrime le due sponde dell'Adriatico,
il pianto di dolore dei loro genitori e dei loro cari in Albania è
un appello per tutti noi, perché queste ragazze siano liberate dalla
schiavitù.
Troppe volte l'emigrazione ha vestito di nero le madri albanesi, troppe
volte è accaduto che i mariti o i figli siano tornati morti. E per
il nostro popolo si ripete una storia di emigrazione e di dolore, come
nel passato.
Migliaia di donne contadine trattate al pari di animali da lavoro cercano
la speranza di una vita onesta e più umana. E invece nel nord dell'Albania
la loro vita si è fatta ancora più dura, col riemergere di
vecchie tradizioni secolari. Si calcola che almeno tremila persone vivano
chiuse in casa nell'attesa della vendetta altrui, e tocca alle donne portare
sulle spalle tutto il peso della casa, difendere i figli dai nemici che
arrivano intenzionati ad uccidere i loro mariti.
Lo stato non fa nulla per fermare questa tradizione macabra, ma con
questo apre la strada a giudicare se stesso.
E' davvero difficile la vita delle donne albanesi, ma naturalmente non
per tutte è così. Ci sono anche quelle che vivono bene, che
seguono la moda, che lavorano. Per alcune si apre la possibilità
nelle nuove condizioni create dal pluralismo di costituirsi in varie associazioni
ed organizzazioni femminili che possono avere un ruolo importante nell'acquisizione
di una nuova coscienza di sè e nel miglioramento delle condizioni
della propria vita.
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