Linda Lê
Una voce nuova nella letteratura femminile vietnamita di espressione francese
di Emanuela Giudetti

Inaugurata negli anni ’30 da Trinh Thuc Oanh e Marguerite Triaire, le cui opere sono edite in Viet Nam, la produzione letteraria vietnamita femminile di lingua francese giace latente per parecchi decenni, per poi trovare una sua adeguata espressione soltanto intorno agli anni ’80, nella letteratura della diaspora vietnamita in Francia. Pur nella sua esiguità, l’opera narrativa migrante femminile di quest’epoca avverte l’urgenza di far emergere la propria voce, sebbene non trovi ancora, nei contenuti, una sua peculiarità specificatamente femminile. Le tematiche privilegiate si identificano infatti, a grandi linee, con quelle dei compatrioti uomini e si concentrano soprattutto sul dramma della difficile integrazione dell’emigrante vietnamita in un Paese straniero, dramma acutizzato in alcuni casi dall’impossibilità di tornare nel Paese di origine.

Partendo da questo comune itinerario, la creatività letteraria femminile segue essenzialmente due traiettorie: l’attinenza al contesto storico e sociale del Viet Nam, che assume toni quasi epici e la testimonianza personale. Da Ly Thu Ho, attenta alle problematiche culturali e sociali del Viet Nam dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale alla caduta di Sai Gon, a Kim Lefèvre, i cui romanzi autobiografici tracciano il suo dramma personale di métisse blanche, la linea di pensiero è quella di affidare alla scrittura l’espressione di un malessere comune a chi si trova costretto ad abbandonare la propria patria e ha di fronte a sé un avvenire incerto, sospeso fra il tentativo di integrarsi alla nuova comunità e il bisogno di affermare il sentimento di appartenenza al Paese di origine.

Il cammino arduo alla ricerca dell’identità è uno dei fili conduttori dell’opera della giovane scrittrice emergente Linda Lê, che tuttavia, come vedremo, si discosta dalle tematiche privilegiate dalle altre scrittrici francofone vietnamite.

Voce significativa nell’esiguo panorama della produzione vietnamita di lingua francese, questa autrice, malgrado la giovane età, ha già all’attivo una decina di romanzi. Nata nel 1964a Dalat, nella zona degli Altipiani centrali del Viet Nam, Linda Lê frequenta il liceo francese di Sai Gon. Nel 1977, due anni dopo la caduta di Saigon, si trasferisce in Francia con la madre e la sorella. A Parigi frequenta l’Université de la Sorbonne e, dopo aver conseguito la laurea in letteratura francese, abbandona una promettente carriera accademica per dedicarsi alla scrittura. Pubblica il suo primo romanzo, Une si tendre vampire (Paris, Editions de la Table Ronde) nel 1987, ma ottiene la consacrazione definitiva soltanto nel 1993, con il riconoscimento del Prix de la Vocation, che la pone di diritto fra i talenti più interessanti della letteratura vietnamita di espressione francese.

La sua produzione letteraria, che contempla nove romanzi e due raccolte di novelle, si distingue da quella dei suoi compatrioti francofoni per la sua voluta estraneità al contesto storico del suo Paese di origine, che rappresenta, tanto per gli scrittori contemporanei quanto per gli scrittori delle generazioni precedenti, un punto di riferimento imprescindibile. Se per questi le questioni socio-politiche costituivano l’humus sul quale dar vita alle loro creazioni, per Linda Lê la fonte primaria di ispirazione risiede nel lato oscuro dell’animo umano, esplorato a fondo nella maggior parte dei suoi testi. In questo senso la sua opera può definirsi di matrice decadentistica, nella misura in cui affida alla letteratura il compito di pervenire ad una realtà altrimenti misteriosa e inattingibile e di esplorare la dimensione dell’inconscio.

In effetti, nel suo percorso atipico l’autrice, sopprimendo i riferimenti espliciti al vissuto del suo Paese, mette in scena personaggi che vivono un esilio interiore; esilio che diventa spazio metaforico, alienante, nel quale prendono forma visioni terrificanti. I protagonisti dei romanzi di Linda Lê vivono un disagio esistenziale, che può assumere svariate forme: solitudine, demenza, impulso suicida, schizofrenia. In ogni caso li porta a ripiegarsi nell’autoisolamento, abbandonandosi a visioni oniriche, allucinazioni, nevrosi in cui figure dai contorni indefiniti si accavallano in un vorticoso turbinio: "Je baigne dans une mare de sang que rejettent les têtes coupées qui s’entrechoquent […] les chiens sont sur moi, me déchirent le dos […] Mon père apparaît sur l’autre rive", dice uno dei suoi personaggi.

Nell’alone macabro e surreale che avvolge i romanzi di Linda Lê, troviamo echi di Edgard Allan Poe, i cui racconti si risolvono in atmosfere di incubo. Uno scenario inquietante, in effetti, è quello che si offre al lettore nel romanzo più recente di Linda Lê, Les aubes, nel quale il protagonista, figlio indesiderato ( dei suoi genitori dice:"Ils m’ont regardé grandir comme on regarde grossir une tumeur"), schiacciato dalla presenza di una madre autoritaria, avida di ricchezza e di potere e di un padre fallito e velleitario, cerca rifugio in un mondo interiore da lui creato per sfuggire alla deprimente realtà che lo circonda. Sul filo della memoria, l’uomo comincia a ripercorrere le tappe più significative della sua esistenza, fra speranze e disillusioni. E’ un mondo in cui i fantasmi del passato affiorano per alimentare il presente.

Nella quotidianità tragica vissuta dal protagonista di Les aubes, scandita da crisi depressive e manie suicide, gli unici referenti sono due donne, Forever e Vega, presenze impalpabili con le quali l’uomo tesse un dialogo immaginario. L’una, Forever, battezzata con questo nome dal protagonista nella consapevolezza che il legame che li unisce durerà appunto per sempre, muore suicida e diventa un’icona indelebile; l’altra, Vega, la stella polare, "si proche et si lointaine", seppur amata profondamente dal protagonista, non riesce a colmare il vuoto lasciato dall’amante precedente. Figure evanescenti, entrambe diventano per l’uomo presenze taumaturgiche, che alleviano il dolore di una misera esistenza. L’altra fonte di conforto è rappresentata dalla lettura e dall’arricchimento intellettuale, intesi come viatico che consente ai protagonisti dei romanzi di questa autrice di sfuggire alla miseria della loro condizione: "La culture sauve" dice il protagonista di Calomnies, "Les livres me dévoilaient une vérité dont je cherchais en vain le reflet dans la réalité" sostiene il protagonista di Les aubes. Unica chiave di lettura della realtà, ma nello stesso tempo affrancamento da una realtà inaccettabile, la cultura diventa in certi casi non solo fonte di appagamento intellettuale, ma anche fisiologico: l’anoressia alimentare di Forever è compensata dalla bulimia intellettuale ("Le refus de la nourriture s’accompagnait chez Forever d’une bulimie d’études").-

Alla fine del romanzo Les aubes il protagonista ripone in un libro le sue speranze e invoca: "Je rêve d’un livre de deuil et de renaissance, de mort et de sensualité, un livre qui me sauverait de moi, que la pensée du suicide a toujours accompagné".

In un’esistenza che sembra irrimediabilmente compromessa, appare così un flebile sentimento di speranza, che incoraggia il protagonista a proseguire il suo cammino alla disperata ricerca di un equilibrio. Osserviamo che, dietro il tono pessimistico comune a tutti i testi di Linda Le e presente fin dai titoli ( Calomnies, Fuir, Les Evangiles du crime, Lettre morte, per citarne alcuni), si cela un anelito di speranza, un soffio di vitalità che rappresenta una possibile via d’uscita dal malessere esistenziale: "J’entends venir la vie […] Le jour se lève, Sirius. Ouvre donc cette fenêtre. Laisse pénétrer la fraîcheur de l’aube"; "J’avance, le coeur joyeux […] Je dois repartir […] Une profonde paix descend sur moi".

In questo senso, anche la morte, tema che ritorna in maniera quasi ossessiva nei testi di Linda Lê, può essere una via di fuga. Morte che va intesa non come trapasso definitivo, bensì come rinascita, sorta di passaggio obbligato per rigenerarsi, sublimazione dell’essere. "La mort serait mon chef d’oeuvre", dichiara il protagonista di Les aubes. Morte e resurrezione, quindi, diventano due facce della stessa medaglia: l’una implica l’altra. Significativa, a questo proposito, è l’immagine simbolica del serpente che si morde la coda, evocata nello stesso romanzo: "L’ouroboros est le serpent qui se mord, qui avale sa queue. C’est l’image de l’éternel retour, du rajeunissement perpétuel et de la perfection. Mort et resurrection, telle en était la signification qui me devint claire". Paradossalmente, il meccanismo perverso che conduce i personaggi ad un desiderio di distruzione e di autodistruzione, rivela la ricerca di un senso vitale, di un cambiamento, che può attuarsi soltanto grazie a questa tensione perenne. Il personaggio di Forever, l’amante defunta, si trasforma per il protagonista in materia vivificante, poiché il dramma di questi non trova una vera e propria risoluzione se non nella perpetuazione del ricordo della donna.

Alla fine de Les evangiles du crime la protagonista dice: "J’ai mangé le cadavre de mon passé, dévoré le cordon ombilical qui me relie à la terre natale. Mais je retourne quand même dans mon pays. Y retournerai-je comme un chien retourne à son vomi, comme un vampire réintègre sa tombe ou comme un homme retrouve le chemin de la clairière après s’etre longtemps complu à demeurer dans l’obscurité de la forêt".

Fra le righe è possibile leggere la condizione dell’emigrato che sceglie di non tagliare il cordone ombelicale che lo lega alla madre Patria, al contrario si alimenta del suo passato traendone linfa vitale per il suo avvenire. Nello stesso tempo rivela la forza del legame che unisce l’autrice al suo Paese d’origine. Tale condizione è espressa in maniera particolarmente efficace dall’autrice stessa nel saggio Littérature vietnamienne.La part d’exil attraverso l’immagine di una bambina che, a causa della guerra, è costretto ad abbandonare la propria casa con la sua famiglia. L’autrice scrive: "L’enfant a six ans. Elle court pieds nus entre le père et la mère, la soeur la tient par la main […] Les pieds lui font mal. Elle pense: J’ai les pieds en sang. Mon sang coule, il laisse des traces […] ce sont les traces rouges qui me rameneront à la maison[…] Tout à coup, le père retourne à la maison, puis revient avec une paire de chaussures. Il s’est trompé, il a pris une chaussure de la soeur et une chaussure de l’enfant […] L’enfant doit désormais apprendre à marcher avec des chaussures dépareillées". Quindi l’autrice prosegue: "J’ai quitté la maison pieds nus. Si j’avais continué à marcher pieds nus, j’aurais peut-etre retrouvé le chemin du retour, mais j’ai des chaussures qui ne sont pas à moi. Le français est devenu ma seule langue […] La réconciliation est impossible, impossible le retour. Je garde en tete l’image d’une enfant fuyant pieds nus sur la route, mais je serai toujours celle qui porte des chaussures dépareillées et ces chaussures ne la ramenèront pas à la maison". Apparentemente, ciò sembrerebbe contraddire quanto espresso nel passaggio tratto da Les évangiles du crime. In realtà si avverte, nelle parole dell’autrice, un tono estremamente nostalgico.

L’accostamento di elementi in forte contrasto fra di loro, non solo vita e morte, ma anche materia e spirito, memoria e oblìo, amore e odio, ci consente di individuare un altro dei leit motiv dell’opera di Linda Lê: il double (doppio), che si traduce, a livello stilistico, nell’uso abbastanza frequente dell’ossimoro, figura retorica cara ai simbolisti francesi e in particolar modo a Baudelaire, che ha influenzato larga parte degli scrittori vietnamiti francofoni, soprattutto poeti, fra gli anni ’30 e ’40. Che l’autrice giochi sapientemente con il linguaggio, sfruttandone le potenzialità, lo vediamo sin dai titoli scelti per le sue opere: vangeli del crimine, tenera vampira, titoli che palesano il tentativo, effettuato altresì dalla schiera dei "poeti maledetti" di estrarre la bellezza dal male.

Un ultima considerazione riguarda lo stile: Linda Lê si discosta dai compatrioti francofoni anche per la scelta di un linguaggio audace, che a nostro avviso potrebbe rappresentare una sorta di sfida ai dettami del feudalesimo confuciano, di cui la civiltà vietnamita è, in parte, ancora imbevuta. Probabilmente non è casuale la scelta dell’autrice di affidare la narrazione di molti dei suoi romanzi ad una voce maschile, quasi a voler legittimare l’espressione. Frasi ad alto contenuto erotico, ("Je sens mon sexe durcir. Ah! Vega, comme tu joues avec moi!"), immagini raccapriccianti ("Les têtes coupées sont à ma poursuite. Leur sang rougit le trottoir […] Mes cheveux se détachent de mon crâne"), ricorrono sovente nelle opere di Linda Lê. Provocazione? Semplice scelta stilistica? Non possiamo affermarlo con certezza. Certo è che, nella produzione letteraria di questa autrice, il linguaggio viene ad avere un grosso potere di affrancamento e nello stesso tempo permette al lettore "d’envisager l’avenir de la littérature vietnamienne d’exil sous un jour nouveau: ni littérature maudite, ni force subversive, ni caisse de résonance d’une littérature officielle et orthodoxe figée, mais réalité vivante d’une communauté consciente d’elle –même, de son identité d’être vietnamien, certes, mais avec quelque chose en plus: être vietnamien d’ailleurs, d’outre-mer".

Emanuela Giudetti, Note al testo

  1. La collaborazione fra queste due autrici, l’una vietnamita, l’altra francese, ha dato vita a due romanzi: En s’écartant des ancêtres (Hanoi, Imprimerie d’Extrême-Orient,1939) e La Réponse de l’Occident (Hanoi, Imprimerie d’Extrême-Orient,1941) e ad una raccolta di racconti brevi: La Tortue d’or (Hanoi, Imprimerie d’Extrême-Orient,1940). Marguerite Triaire è autrice, fra l’altro, de L’Indochine à travers les textes (Hanoi,1944, ried.Editions The Gioi, 1997).
  2. La Francia non è che una fra le mete dell’esilio dei vietnamiti francofoni; molte comunità francofone sono sorte al di fuori della Francia, essenzialmente nei Paesi di lingua francese: Belgio, Québec. Nel breve studio che presentiamo, ci limiteremo ad affrontare il fenomeno della diaspora in Francia, divenuto consistente soprattutto all’indomani della guerra americana.
  3. Ly Thu Ho (1920-1989) nasce in Cocincina in piena epoca coloniale e svolge i suoi studi a Saigon. Nel 1958 si stabilisce definitivamente in Francia con il marito e i sei figli. Qui pubblica una trilogia di romanzi sulla storia recente del Viet Nam: Printemps inachevé (Paris, Peyronnet, 1962), Au milieu du carrefour (Paris, Peyronnet, 1969) e Le mirage de la paix (Paris, Promédart/Les Muses du Parnasse, 1986). Quest’ultimo romanzo vale all’autrice il "Prix de l’Asie de l’ADELF".
  4. Kim Lefèvre nasce nel 1939 ad Hanoi dall’unione che lei stessa definisce "éphémère"(effimera) fra un francese e una vietnamita. Trascorre in Viet Nam l’infanzia e l’adolescenza, ricevendo un’educazione di stampo occidentale. Ottenuta una borsa per studiare in Francia, lascia il Paese natale nel 1960. Métisse blanche (Paris, Bernard Barrault, 1989), è il suo romanzo più celebre, nonché la sua autobiografia. Kim Lefèvre è anche traduttrice.
  5. Dall’omonimo romanzo dell’autrice Métisse blanche (Paris, Bernard Barrault, 1989).
  6. Si ritiene opportuno segnalare che il testo Dictionnaire littéraire des femmes de langue française di Christine Makward e Madeleine Cottenet-Hage (Paris, Karthala, 1996) riporta invece il 1963 come anno di nascita dell’autrice. Poiché gli altri testi consultati riportano il 1964, questa ci pare essere la data più accreditata.
  7. LINDA LE, Voix, Paris, Christian Bourgois Editeur, 1998.
  8. LINDA LE, Les aubes, Paris, Christian Bourgois Editeur, 2000.
  9. Ibid., p.106.
  10. Ibid., p.191.
  11. LINDA LE, Calomnies, Paris, Christian Bourgois Editeur, 1993, p.10.
  12. LINDA LE, Les aubes, op.cit., p.24.
  13. Ibid., p.29.
  14. LINDA LE, Les aubes, op.cit., p.192.
  15. LINDA LE, Lettre morte, Paris, Christian Bourgois Editeur, 1999, p.105.
  16. LINDA LE, Voix, Paris, Christian Bourgois Editeur, 1998, pp.68-69.
  17. LINDA LE, Les aubes, op.cit., p.166.
  18. Ibid., p.141.
  19. LINDA LE, Les Evangiles du crime, Paris, Christian Bourgois Editeur, 1992.
  20. Ibid., pp.226-227.
  21. LE HUU KHOA, Littérature vietnamienne.La part d’exil, Groupe de recherche sur l’Extrême-Orient contemporain, Université de Provence, Aix en Provence, 1995, p.93.
  22. Ibid., pp.57-58.
  23. Ibid., p.58.
  24. LINDA LE, Les aubes, op.cit., p.9.
  25. LINDA LE, Voix, op.cit., pp.40-41.
  26. TRINH VAN THAO, Postface a littérature vietnamienne.La part d’exil, Groupe de recherche sur l’Extrême-Orient contemporain, Université de Provence, Aix en Provence, 1995, p.108.