Percorsi di scrittura
di Maria Grazia Terranova

Tempo fa mi fu proposto di approfondire il percorso di scrittura di una scrittrice del Novecento a me poco nota, Anna Banti, e non nascondo che accolsi l’idea con scetticismo. In particolare, avrei dovuto approfondire un contesto piuttosto oscuro, perché poco trattato dalla critica letteraria, che presagiva il rischio di incominciare una ricerca che non avrebbe portato agli esiti sperati. Come indicazione, infatti, mi fu data quella di accantonare l’attività di narratrice, già tanto studiata, per focalizzare invece l’attenzione su una serie di scritti ‘giornalistici’. Così la ricerca ebbe inizio, nonosante i dubbi ed il timore che non avrei trovato materiale critico sufficiente per costruire uno studio accademico esaustivo. Dovetti ricredermi presto. Contro le mie aspettative pessimistiche, Anna Banti si rivelò subito una scrittrice ampiamente poliedrica: il suo nome compariva in svariati contesti culturali, dall’arte alla narrativa, dalla critica letteraria a quella cinematografica.

Al lavoro di raccolta del materiale su cui indagare seguì l’analisi, che si rivelò interessante soprattutto relativamente agli articoli che la Banti aveva dedicato ad alcune scrittrici. Pur non amando l’etichetta femminista, Anna Banti era nota ai lettori per aver scelto le donne come soggetti dei suoi romanzi, per cui mi "avventurai" alla ricerca di questo e di altri elementi comuni che potessero provare la inscindibilità e quindi la continuità tra la sua vocazione narrativa e quella più militante.

Spesso si dice che le donne hanno una sensibilità particolare e che percepiscono le "cose del mondo" in maniera diversa rispetto agli uomini. Le lunghe letture sull’opera di Anna Banti, in me, hanno avvalorato questa convinzione. Il suo sguardo, in ogni contesto, ha saputo cogliere anche i dettagli più intimi, al punto che spesso le percezioni sono divenute supporto dei suoi lavori narrativi.

In particolare, gli articoli che Anna Banti ha elaborato sulla scrittrice inglese Virginia Woolf , danno dimostrazione della sua grande intelligenza e della sua profonda sensibilità. Attenta alla persona oltre che all’opera, Anna Banti ha impostato il suo discorso critico tenendo conto soprattutto del romanzo del 1928, l’Orlando. L’opera si configura come una biografia e narra appunto la vicenda di Orlando, che, tra mille peripezie, attraversa epoche diverse, dal tempo della regina Elisabetta fino al diciannovesimo secolo. In verità, il romanzo è anche una satira fantastica, in quanto il personaggio, pur ispirandosi ad un soggetto reale, vive esperienze immaginarie. Orlando non subisce soltanto le trasformazioni delle epoche che attraversa ma, dopo aver vissuto per circa trent’anni una vita da uomo, ad un tratto si risveglia donna. Il mutamento di sesso modifica il futuro del personaggio, ma non altera in alcun modo la propria identità: il suo amore per la scrittura rimane invariato:

La verità è che Orlando era malato ormai da molti anni. Mai ragazzo aveva mendicato mele o confetti, come Orlando aveva mendicato carta e inchiostro (…), si era nascosto dietro le tende, o negli oratori segreti, o nello spogliatoio dietro la camera da letto di sua madre (…) con un calamaio in mano, una penna nell’altra e un rotolo di carta sulle ginocchia.

(…) quelle meditazioni, dato che non poteva farne parola, le fecero desiderare, come mai prima, penna e calamaio. <<Ah! Se solo potessi scrivere!>>, esclamò.

Orlando ama scrivere, a qualunque sesso appartenga, e scrivendo trascorre i giorni della sua gioventù, supera le delusioni ed i tradimenti, passa da un secolo all’altro. Tuttavia, a parte la piacevole trama avventurosa, nel realizzare questo romanzo la Woolf si propose due importanti obiettivi: spezzare la rigida connessione sociale tra identità sessuale e ruolo e difendere l’androginia dell’essere umano. Era sua esplicita convinzione che le donne fossero tenute ai margini della cultura e la vicenda di Orlando, il suo oscillare tra due identità contrapposte, le diede l’opportunità di incominciare a discutere sul problema, indicando i motivi di questo infondato pregiudizio. Parallelamente Virginia intese mostrare l’ambiguità sessuale presente in ogni individuo:

I sessi per quanto diversi si mescolano. Non c’è essere umano che non oscilli da un sesso all’altro, e spesso sono solo i vestiti a serbare l’apparenza maschile o femminile, mentre il sesso profondo è tutto l’opposto di quello superficiale.

A giudizio della Banti, nella storia interiore di Virginia, quell’opera ha rappresentato un momento di intensa riflessione, la fuga dalla propria epoca e l’immersione in un più vasto contesto temporale, attraverso un personaggio che << [ha sperimentato] la sostanza delle cose e [l’ha ridotta] a verità finalmente costanti>>. L’elemento caratterizzante il romanzo storico per eccellenza, vale a dire l’intenzione morale, per la Banti, nell’Orlando è un punto fermo, nonostante il personaggio si muova in svariati contesti storici. Virginia, inoltre, spinta dalla propensione a narrare la vita, la realtà e la verità, con quell’opera ha incominciato ad affrontare una questione spinosa, ma le sue <<nobili spalle>> hanno saputo sopportare quel peso <<senza riserve, né falsi pudori, sostenute da una carica di poesia che generosamente si [è donata] a tutte le donne, di tutti i tempi>>. Anna Banti ha giudicato la figura di Orlando personaggio eterno, cioè capace di dar voce a tutte le donne, le donne di ogni tempo e di qualsiasi estrazione sociale. Virginia doveva essere consapevole del valore poetico ed umano del suo personaggio e pertanto, ampliò il suo proposito, realizzando quel <<volumetto>> saggistico che, non a caso, aveva <<tutta l’aria di esser ritagliato negli stralci del tessuto di Orlando>>: Una stanza tutta per sé.

La Banti ha considerato tutti i suoi romanzi fermi, brillanti ed intelligenti ma, dopo la scrittura di Gita al faro, a suo giudizio, i tratti più nobili e significativi della Woolf si sono ravvisati proprio nei saggi, <<quasi sommessi ‘ricercari’ di problemi artistici e, soprattutto, umani>>. L’Orlando, quindi, si è configurato come <<humus nutritivo>> dei suoi scritti successivi, inaugurando una fase più matura del suo lavoro, segnato soprattutto dall’enorme capacità della scrittrice di entrare nel profondo della vicenda esistenziale ed umana della donna.

Gli articoli da cui ho tratto queste considerazioni sono datati 1952 e 1963, ma già nel 1947, anno in cui Anna Banti pubblicò il suo romanzo di maggior successo, Artemisia, doveva aver ben chiaro il profilo artistico della scrittrice. Sono sorprendenti, infatti, le affinità che legano quell’opera all’Orlando woolfiano. Alcuni studi recenti hanno confermato questo dato. In precedenza già Emilio Cecchi aveva notato che <<esclusa qualsiasi dipendenza imitativa, il richiamo all’Orlando s’impone[va] per la inesauribilità d’un dono ch’[era] potenziato dalla più squisita cultura>>. Il romanzo della Woolf si sentiva che era nato a due passi dalle colonne, dalle scansie di libri e miniature del Museo Britannico; così, anche Artemisia, scaturito da fonti altrettanto illustri, esprimeva tutta l’esperienza dell’arte figurativa, della dottrina filologica e della pratica verbale. Pertanto, le affinità esistenti tra le due opere sono chiare anche ai lettori meno esperti: entrambe sono strutturate sul genere biografico e le singole protagoniste hanno un preciso riscontro in un modello storico reale. Anna Banti ha raccontato la storia della pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi, la Woolf invece si è ispirata all’aristocratica Vita Sackville-West, con la quale aveva condiviso un legame sentimentale e che, attraverso il mito di Orlando, voleva rendere androgina ed immortale. Nel testo questi due personaggi rivivono le loro esperienze, mostrandosi sempre in bilico tra la realtà storica, cioè il loro essere già state, e la finzione romanzesca, vale a dire l’evolversi delle loro vicende nel tempo della scrittura. Entrambe sono donne ed artiste, ma si sentono perennemente inappagate, assillate da un senso di dimidiazione e di perdita. Nessuna delle due è a suo agio nel proprio ruolo di donna e non disdegna <<di cambiare [temporaneamente] i propri abiti con quelli maschili e andarsene>>. Orlando concretizza questa insoddisfazione nell’irrequietezza con cui attraversa luoghi, tempi e sessi diversi; Artemisia invece esprime il proprio disagio nell’incapacità di conciliare l’essere donna con il fatto di essere anche un’artista. La scrittura per l’una e la pittura per l’altra rappresentano l’unico punto fermo, il rifugio da una vita caratterizzata comunque dalla solitudine. Il successo, infatti, le consola, ma non riesce a cancellare l’angoscia per il fallimento della loro vita privata: entrambe sono state costrette ad un matrimonio di circostanza e tuttavia continuano a sognare un’unione sincera ed appassionata. Vivere l’esperienza dell’altro sesso, in parte appaga le loro insoddisfazioni, così Orlando improvvisamente si risveglia donna, sebbene continui ad oscillare tra le due identità; Artemisia, pur senza subire metamorfosi, vive una vita da uomo, sola ed indipendente:

Mai, da che mondo è mondo, creatura umana era apparsa più incantevole. La sua forma fondeva la forza virile alla grazia femminile. (…) Orlando era diventato donna (…), era identico a prima. Il mutamento di sesso poteva cambiare il futuro dei due Orlando, ma non mutò affatto la loro identità.

Artemisia poteva uscire, star fuori la giornata intera, vedere chi volesse. Degli abiti rimasti sulle corde si serviva a piacere, spesso li preferiva ai propri, e una volta si travestì da paggio: come usano le dame francesi, diceva Violante a Firenze.

In verità si ignora con quanta consapevolezza Anna Banti guardasse all’Orlando durante la stesura di Artemisia, ma poiché c’è la possibilità di un confronto concreto, è fuor di dubbio che sicuramente nutriva nei suoi riguardi un profondo riconoscimento artistico.

Questo particolare legame tra l’opera della Banti e quella di Virginia Woolf sta a dimostrare che, nonostante la ferma obiettività dei suoi scritti critici, la nostra autrice difficilmente è riuscita a spogliarsi dell’identità di narratrice. Gli articoli meglio riusciti, infatti, sono quelli dedicati alle scrittrici da lei più amate, con le quali ritiene di condividere uno stesso percorso di scrittura e soprattutto uno stesso modo di sentire. In conclusione, la mia ricerca non solo mi ha fatto conoscere l’ampia attività non narrativa della Banti, ma mi ha permesso di scoprire alcune di quelle specifiche correlazioni che spesso si stabiliscono tra scrittrici, stili, e percorsi di scrittura. Tra tante incertezze, inaspettatamente, la mia indagine è giunta ad un alto livello di interesse. Pertanto, il mio breve resoconto vuole essere anche un incentivo per chi si accinge a compiere un percorso di approfondimento simile al mio.

 

NOTE:

1    A. BANTI, Umanità della Woolf, in <<Paragone-Letteratura>>, a. III, n. 28, aprile 1952, pp. 45-53; ID., Il testamento di Virginia Woolf, in <<Paragone-Letteratura>>, a. XIV, n. 168, dicembre 1963, pp. 100-104. Lo studio è relativo ai soli articoli pubblicati sulla rivista <<Paragone-Letteratura>>.
2    V. WOOLF, Orlando, Grandi Tascabili Economici Newton, p. 61.
3    Ibid., p. 96.
4    Ibid., p. 119.
5    A. BANTI, Umanità della Woolf, cit., p. 49.
6    Ibid., p. 50.
7    Ibid., p. 50.
8    Ibid., p. 49.
9    Ibid., p. 52.
10  Cfr. M. C. PAPINI, Artemisia e Orlando, in AA.VV., L'opera di Anna Banti. Atti del Convegno di studi, Firenze (maggio 1992), Leo S. Olschki, 1992.
11  E. CECCHI, Il mito della donna artista, in <<La Fiera letteraria>>, 3 febbraio 1957, p. 3.
12  Cfr. NIGEL NICOLSON, Introduzione a V. WOOLF, Cambiamento di prospettiva. Lettere 1923-28, Torino, Einaudi, 1982.
13  M. C. PAPINI, Artemisia e Orlando, cit., pp. 124-125.
14  V. WOOLF, Orlando, cit., pp. 92-93.
15  A. BANTI, Artemisia, Milano, Bompiani, p. 63.