Donne che conosciamo...
di Alessandra di Castri

Questa storia è una storia a due voci, una storia sulle differenze che è fatta di molte storie simili. E' la storia di archetipi che portiamo con noi, la storia di due straniere che hanno bisogno di sentirsi simili e perciò si raccontano le loro storie diverse, i loro paesi diversi, le loro scelte diverse.

E' la storia di due attrici, ma anche la storia che le attrici raccontano nel loro spettacolo.

(testo dello spettacolo:)

Nel posto da dove vengo le donne occupano molto spazio lo prendono tutto. Lo prendono con la forza di volontà o con il movimento del corpo. Ti colpiscono con la stessa facilità con cui ti accarezzano. La mia famiglia di donne sono donne che decidono e, per una mano, per il cuore o per la gola, guidano un uomo. le donne del sud, le regine di cuori. nel sud le donne non si uccidono né per amore né per vergogna.

In Canada da dove vengo di solito non piangiamo né cantiamo in pubblico. C'è molto spazio, più spazio di quanto si possa immaginare in una volta. E' quasi sempre possibile essere completamente sole per piangere o cantare o parlare o per sognare un lungo sogno.

 

Il mio viaggio

Questo percorso per me è stato un viaggio, un viaggio fisico, un viaggio mentale con un passaggio continuo dalla storia del nostro quotidiano a quella dei nostri personaggi.

Sono arrivata in Canada nel 1995, e il Canada mi è parso nudo e fresco e ampio e poiché c'era molta neve ho immaginato che sotto di essa fossero nascosti strati e strati della vita.

La vita in un paese straniero per me è come essere all'interno di una mappa, con appena riferimenti per trovare il tesoro, ma nella quale nessuna strada è mai stata battuta, né segnata,; ogni passo che fai di giorno in giorno colora questa mappa e poi, dopo molto tempo, scopri che il sentiero che percorri è sempre lo stesso, manca qualcosa per essere in grado di scegliere strade diverse, per arrivare allo stesso tesoro.

Questa acquisita familiarità diventa un'abitudine, ha il sapore del finito e ti domandi come puoi incontrare "l'altro da te" se tutto sembra essere lì chiaro e palese e già compiuto.

Mancava un passo per cogliere il mondo nuovo, e il mio radicamento nel vecchio ricompariva in un'ansia di conoscenza. di me. E' strano essere in un nuovo posto volendo riscoprire tutto del posto da dove vieni e dove invece, quando c'eri ,non volevi sapere niente.

Si dice che l'occhio della distanza consenta di vedere le cose meglio e a questo credo , ma mi chiedevo perché volere a tutti i costi possedere il mondo da cui venivo, prima di immergermi in un mondo nuovo.

Ricordavo la mia prima lezione di storia in prima media: " Scrivi la storia della tua famiglia." Era un risalire all'indietro al "da dove venivo ".

Ed ora lo sguardo al mio paese è venuto perché mi sentivo lontana e non mi ero preparata a portare con me una cultura con la quale lavorare. Mi ero avvicinata al Canada barattando tutto quello che era mio per un insegnamento. I tempi, i ritmi, i luoghi, i colori che vedevo non mi sembravano naturali e si confondevano nella non chiarezza di chi ero e da dove venivo.

Ho osservato un mondo dove non c'è quasi memoria, è una memoria giovane; i mondi del sud, sono mondi dove se ti manca la memoria privata e familiare ti resta una memoria collettiva di un popolo, e una comunanza di vita

In Canada l'affermazione di se origina un processo isolato di familiarità con niente altro che te stesso e il tuo destino, ti fai quello che sei..

La familiarità che cercavo quindi era privata e sociale. E l'ho trovata a partire dalla mia identità.

Il mio comportamento non rispondeva all'ambiente in cui ero emigrata, al contrario di giorno in giorno mi ritrovavo a privilegiare tempi e punti di vista del mio paese. In queste scelte scoprivo anche dei comportamenti che non ricordavo o non riconoscevo e che sembravano tornare in me da una lontana memoria.: ho cominciato allora a re-interrogarmi sulla storia della mia famiglia, sulle donne alle quali potevo somigliare, a leggere le mie scrittrici.

Ho lavorato con una donna che studiava con me nello stesso teatro, che viveva della stessa non-familiarità, ( ma da lei scelta ) e che pensava alla fattività, al presente e non si soffermava sulla memoria.

Il nostro avvicinamento è avvenuto fin dall'inizio sull'incontro/scontro degli opposti, il nostro lavoro era basato su questo. Quando anche lavoravamo sulle stesse cose i risultati che ne venivano erano opposti; non lo chiamavamo nord-sud, non ancora.

Poi l'incontro è diventato racconto.

Questo viaggio si è trasformato nel lavoro, nello scambio dei miei occhi con i suoi, di quello che io sentivo con quello che lei aveva vissuto. E il lavoro a sua volta si è trasformato in un viaggio: il viaggio dello e nello spettacolo.

 

La poesia

 " Ci sono due donne che entrano in una sala, ogni giorno, le due donne giocano, nella sala, un gioco personale, e un gioco comune che consiste nel fare cose che fanno capire all'altra le regole del tuo gioco e che le danno immagini per il suo gioco. Il gioco è a perdere, a non scoprire le regole dell'altra perché se le scopri perdi lo stimolo per le tue regole, il gioco è a perdere perché non è a scoprire la verità ma a scambiarsi messaggi, a trasformare impulsi. Scoprire le regole è come non avere più filo per tessere una tela. In qualche modo sembra che le due donne giochino con dei fili... a momenti sembrano essere le due facce estreme della stessa persona...o forse solo legate l'una all'altra, con una corda..."

(Una pagina del diario che ho tenuto durante la creazione dello spettacolo con Laura)

Se l'ispirazione è nata dall'essere tanto distanti e diverse e dal volere però essere vicine, i materiali prodotti, il lavoro puramente teatrale, è nato da un lungo e silenzioso periodo di collaborazione e condivisione. Compagne di training e di studio, avevamo sviluppato fiducia e disponibilità l'una verso l'altra e la voglia di scoprire il lato positivo delle qualità che ognuna di noi si portava dentro.

Abbiamo lavorato su immagini poetiche derivate dai nostri rispettivi paesi e, così come abbiamo esplorato le storie e i sentimenti, abbiamo esplorato con il corpo. E anche nella espressione fisica abbiamo riportato le nostre sensazioni quello che volevamo raccontare e quello che volevamo si vedesse di noi.

Ci siamo guardate, percepite, sentite, avviate a scoprire se e dove eravamo felici o tristi e perché. Abbiamo osservato altre donne e letto storie di altre donne e testimoniato della vita di altre ancora, eppure non abbiamo scelto di parlare delle donne per fare sentire la loro voce in un posto dove non si sente; le donne sono "accadute, successe" nei nostri racconti per la forza della loro presenza nelle nostre vite di oggi.

Quando siamo andate a cercare il perché delle nostre sensazioni, abbiamo trovato tutte donne delle nostre famiglie: le sue parlavano in linea retta discendente, le mie comparivano da tanti lati, con tante facce e vite molto diverse...

(testo dello spettacolo:)

Non ricordo. Ma mi hanno detto che c'era una grande casa e nella casa molte stanze e nelle stanze molte donne; Nella prima stanza una donna ricamava piccolissimi fiorellini su lenzuola dello stesso colore. Nella seconda stanza un'altra donna contava tutto il giorno; La donna della terza stanza aveva 25 paia di scarpe della stessa forma conservate in venticinque scatole con scritta la taglia e la pelle di cui erano fatte. La ragazza della quarta stanza suonava la fisarmonica. nella quinta stanza una donna vestiva i suoi figli. Nella sesta stanza c'erano molte porte e dietro le porte molti cassetti e dentro i cassetti molti ricordi. Nella settima stanza si studiava sempre; La donna dell'ottava stanza aveva solo ombrelli antichi che non voleva usare né per la pioggia né per il sole .Nell'ultima stanza una bambina giocava. Quando ero piccola mi infilavo nei vestiti dei grandi e provavo a immaginare di essere in una di quelle stanze.

Dora aveva cinque fratelli e sorelle più piccoli; indossavano nocche, berretti e scarpe strette e lucide .Dora diceva che aveva la schiena incurvata dal portare i suoi fratelli .Quando Dora aveva diciotto anni scappò in Canada .Quando Dora aveva ventuno anni scappò in Guerra .Quando Dora si sposò fu un sogno. Quando Dora si svegliò era sola e arrabbiata .Il marito di Dora tornò da lei per morire .Dora trascorse mesi in ospedale guardandolo. Dora sopravvisse al marito di trenta anni. Qualche volta lei rideva così forte che le cadeva la dentiera.

Le storie dello spettacolo sono storie di vita di donne, che Laura ed io abbiamo riscritto a partire dalle storie appartenenti alle nostre famiglie e al nostro passato.

Queste storie hanno una continuità nell'essere i due opposti: nord-sud.

E' un racconto di una genealogia. E' un racconto di ricordi, una mappa di memoria per l'identità delle donne di oggi.

La maniera di raccontare varia di momento in momento ma include sempre un uso a tutto tondo del corpo, della voce e dell'immaginazione.

Il disegno e la scelta dello stile teatrale che sono dettati esclusivamente dalla natura dei nostri materiali e delle nostre storie, ci hanno portato a creare un pezzo molto semplice, fatto di immagini intensamente umane, nel quale ogni elemento è estremamente delicato e misurato. La nudità dei nostri personaggi ha preso su di se il potere della comunicazione.

Ne è emerso una sorta di duetto per voce e corpo: due mondi che convergono.