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La marcia delle donne (e degli uomini) continua
.
"Lei è all'orizzonte.
Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi.
Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta dieci passi più
in là.
Per quanto io cammini non la raggiungerò mai.
A cosa serve l'utopia?
Serve proprio a questo: a camminare."
Eduardo Galeano
La notte di San Silvestro è considerata, in molte
culture, il momento di passaggio tra il vecchio ed il nuovo, la svolta,
una specie di Caronte che traghetta l'umanità da un anno all'altro.
Anche per chi non aderisce a tale convenzione, credere che abbia inizio
una nuova fase può essere utile per fare dei bilanci e trarre vaticini.
Il 2007, a differenza degli anni precedenti, inizia sotto i migliori auspici
per le persone interessate al tema dei diritti umani e della tutela dalle
discriminazioni.
Infatti, su proposta della Commissione Europea, il Consiglio ed il Parlamento
europeo hanno deciso di intitolare l'intero anno appena iniziato "alle
Pari Opportunità per tutti", con l'intento di "incrementare
la partecipazione alla vita sociale di chi è vittima di discriminazioni
e promuovere atti, leggi e politiche che promuovano una partecipazione
equilibrata alla vita sociale di uomini e donne" (1).
Questa scelta rientra in una più ampia strategia che può
essere utile ripercorrere per dare conto delle recenti innovazioni operate,
nell'Europa allargata e multiculturale, nella tutela contro le discriminazioni
di genere e per poter meglio comprendere la portata delle politiche future.
La legislazione europea si occupa ormai da decenni delle discriminazioni
contro le donne a livello di salario, condizioni di lavoro e sicurezza
sociale, delle pari opportunità di genere nell'accesso alla vita
politica e sociale. La promozione della parità tra uomini e donne
è stata disciplinata da varie Direttive a partire dagli anni Settanta
(2), è riconosciuta come uno dei compiti
fondamentali della Comunità (Articolo 2 del Trattato CE) ed è
uno degli obiettivi dell'azione della Comunità nell'impegno ad
eliminare le ineguaglianze (Articolo 3, paragrafo 2, del Trattato CE).
Grazie a queste politiche, dette di prima generazione, numerose donne
hanno raggiunto i più alti livelli d'istruzione, sono entrate nel
mercato del lavoro e hanno svolto ruoli importanti nella vita pubblica.
Tuttavia era diffusa la richiesta, da parte di Ngos, di sindacati, di
rappresentanti politiche/ci, di perfezionare la legislazione in vigore
e di renderla più efficace e concreta, da un lato, combattendo
altre forme di discriminazione e, dall'altro, potenziando la tutela in
materia di genere.
In questo processo legislativo, le modifiche al Trattato introdotte ad
Amsterdam nel 1997 hanno rappresentano una svolta epocale nella lotta
alle discriminazioni nel diritto comunitario, che risulta oggi arricchito
da un metodo coerente ed integrato tale da fornire una nozione unitaria
di discriminazione e un'attenzione per le fattispecie di discriminazione
multipla di cui sono vittima soprattutto le donne.
L'art. 13 del Trattato di Amsterdam, infatti, conferisce al Consiglio
il potere di adottare, all'unanimità su proposta della Commissione
e previa consultazione del Parlamento europeo, "provvedimenti opportuni
per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza, l'origine
etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età
o le tendenze sessuali".
Gli sforzi compiuti in questa direzione hanno prodotto una delle legislazioni
antidiscriminatorie più complete ed innovative del mondo, denominata
di nuova generazione in contrapposizione a quella antecedente il 1997.
A soli diciotto mesi dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam,
sono state emanate due Direttive:
la Direttiva 2000/43 del 29 giugno del 2000 per attuare il principio della
parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza
e dall'origine etnica, la cui tutela è estesa, oltre all'occupazione,
agli ambiti della formazione, dell'istruzione, della sicurezza sociale,
dell'assistenza sanitaria, dell'alloggio e dell'accesso ai servizi; la
Direttiva 2000/78 del 27 novembre 2000, per introdurre delle norme quadro
"per la parità di trattamento in materia di occupazione e
di condizioni di lavoro", che contempla tutte le cause discriminatorie
contenute nell'art. 13 del Trattato di Amsterdam, ad esclusione del genere.
Le Istituzioni Comunitarie, presa coscienza delle pesanti ripercussioni
che possono scaturire dal paventato invecchiamento della popolazione europea,
per effetto della diminuzione dei tassi di fertilità e di mortalità,
ha ritenuto necessario attivarsi repentinamente per compensare gli effetti
demografici sul mercato del lavoro aumentando la partecipazione delle
persone che ne sono attualmente, e per diversi motivi, escluse. (3)
Inizialmente, quindi, la scelta del Legislatore è stata di lasciare
immutata la disciplina in materia di pari opportunità basata sul
genere, che già disponeva di un notevole corpus normativo, e di
dedicarsi alle altre cause di discriminazione di nuova sensibilità,
ispirandosi, nondimeno, alla pluriennale esperienza legislativa e giurisprudenziale
maturata dall'UE nella tutela del genere.
In una sorta di procedimento dialettico, proprio le Direttive del 2000
hanno costituito la base tecnico-giuridica per la normativa successiva
in materia di parità di genere che si è arricchita, a sua
volta, delle innovazioni da queste introdotte. Si parla, a tal proposito,
anche di "reflexive cross-fertilisation". (4)
Nel 2002 la Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 23 settembre 2002, ha integrato ed aggiornato il testo della Direttiva
76/207/CEE, con gli strumenti giuridici introdotti dalle Direttive del
2000 nell'ambito tradizionale di tutela, dell'occupazione e della formazione.
Nel 2004, infine, il Consiglio si è spinto nella terra incognita
del principio della parità di trattamento tra uomini e donne per
quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura (5),
adottando la Direttiva 2004/113/CE, che gli Stati membri dovranno recepire
nelle legislazioni nazionali entro il 31 dicembre 2007.
Tra le numerose novità delle Direttive di Nuova Generazione, le
più significative riguardano la previsione di una puntuale definizione
di discriminazione (diretta ed indiretta), il riconoscimento del fenomeno
delle discriminazioni multiple e la nozione di molestie (incluse le molestie
sessuali), l'esplicita legittimazione dei piani di azioni positive. (6)
Analizzando questi strumenti di contrasto alle discriminazioni con esplicito
riferimento alle Direttive di genere 2002/73 e 2004/113, sarebbe errato
credere che le modifiche siano solo un ritocco di facciata, perché,
al contrario, sono dense di conseguenze su un piano applicativo ed interpretativo.
Per esempio, l'introduzione di definizioni di discriminazione (diretta
ed indiretta), assenti nelle Direttive degli anni Settanta, ha conferito
maggiore certezza all'ambito di applicazione della tutela, delimitato,
per anni, esclusivamente dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Le nozioni accolte, inoltre, contribuiscono ad estendere
l'ampiezza dei casi che potenzialmente sono perseguibili in base alle
Direttive rispetto alla case-law elaborata dalla Corte di Lussemburgo.
Basti pensare alla definizione di discriminazione diretta (7),
che ricorre quando "una persona è trattata meno favorevolmente
in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra
in una situazione analoga". Il riconoscimento dell'ammissibilità
sia di comparazioni attuali, sia di raffronti tra situazioni potenziali,
virtuali e meramente ipotetiche ("sarebbe trattata") segna una
delle principali rotture con la precedente disciplina.
La nozione di discriminazione indiretta era già contenuta
nell'2.2.della Direttiva 97/80 del 15 dicembre 1997 secondo cui "una
disposizione, criterio o prassi apparentemente neutri colpiscono una quota
nettamente più elevata di individui dell'uno dei due sessi (disadvantage
of a substantially higher portion of the members of one sex), a meno
che tale disposizione, criterio o prassi siano adeguati e necessari e
possano essere giustificati da ragioni obiettive non basate sul sesso"
(8). Il limite riconosciuto a questa risalente nozione
sta nel riferimento ad un elemento quantitativo per verificare l'effetto
svantaggioso, che ha costituito un notevole ostacolo ai fini probatori
per le vittime di discriminazioni, generando complesse dispute sul significato
del concetto "rilevanti proporzioni" e sulle difficoltà
probatorie correlate alla necessaria "prova statistica". Il
legislatore comunitario ha, quindi, preferito discostarsi da questa nozione,
recependo quella elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia
europea in materia di discriminazioni sulla nazionalità, che prescinde
da dati statistici.
Oggi la discriminazione indiretta è definita come "la situazione
nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente
neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le
persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell'altro sesso,
a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente
giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per
il suo conseguimento siano appropriati e necessari".(9)
Per essere veramente completa la norma europea sulla tutela dalle discriminazioni
non poteva prescindere dall'impegno a combattere le discriminazioni
multiple, in particolare nei confronti delle donne migranti e appartenenti
a minoranze etniche. (10)
Le istituzioni comunitarie hanno finalmente sottolineato che le donne
appartenenti a gruppi svantaggiati sono spesso in una posizione peggiore
rispetto agli uomini, poiché sono di frequente vittime di una doppia
discriminazione, come donne e come straniere. Per tale ragione la stessa
Commissione Europea ha più volte ribadito la necessità di
promuovere la parità tra i generi nelle politiche di immigrazione
e di integrazione, al fine di difendere i diritti e la partecipazione
civica delle donne, di valorizzare pienamente il loro potenziale occupazionale
e di migliorare il loro accesso all'istruzione e alla formazione permanente.
Questo nuovo orientamento si discosta dalla tradizione consolidata per
lungo tempo dal legislatore, comunitario e nazionale, secondo cui i vari
aspetti dell'identità dell'individuo erano considerati e disciplinati
isolatamente, prescindendo dall'indagare le conseguenze derivanti dal
sovrapporsi di più fattori discriminatori a danno di una singola
persona. A livello internazionale, invece, da più di un decennio
il Comitato dell'Onu contro le forme di discriminazioni razziali (11)
ed il Comitato dell'Onu sull'eliminazione della discriminazione
contro le donne (12) hanno instaurato una stabile
collaborazione per integrare l'implementazione ed il monitoraggio dei
diritti tutelati nella Convenzione dell'ONU per l'eliminazione della discriminazione
razziale del 1969
e nella Convenzione dell'ONU sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione
nei confronti delle donne del 18 dicembre 1979. (13)
Entrambi i Comitati persistono nel raccomandare agli Stati di elaborare
un approccio sistematico e coerente per valutare e monitorare la discriminazione
razziale contro le donne, nonché gli innumerevoli ostacoli che
queste incontrano nel pieno esercizio dei propri diritti di cittadine.
Continuando con l'esame delle innovazioni introdotte a livello europeo
finalizzate a contrastare le discriminazioni nei confronti delle donne,
la più significativa riguarda, forse, il riferimento al concetto
di molestie e di molestie sessuali. In base alle nuove Direttive
di genere, entrambe le fattispecie sono situazioni nelle quali si verifica
un comportamento indesiderato avente lo scopo o l'effetto di violare la
dignità della vittima e di creare un clima intimidatorio, ostile,
degradante, umiliante od offensivo,
ma mentre nelle molestie semplici il comportamento offensivo è
"connesso al sesso di una persona", nelle molestie sessuali
esso si contraddistingue per essere "a connotazione sessuale".
Ciò che distingue, cioè, le molestie sessuali dalle molestie
in generale è la connotazione sessuale, mentre entrambe sono accomunate
dalla dimensione oggettiva della nozione che, analogamente a quella di
discriminazione, prescinde dall'intenzionalità dell'autore.
A livello europeo, tale fenomeno è stato considerato in modo esaustivo
solo dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 92/131, del 27
novembre 1991, (14) sulla tutela della dignità
delle donne e degli uomini sul lavoro, cui è allegato un Codice
di Condotta sui provvedimenti da adottare nella lotta contro le molestie
sessuali. Tuttavia, non godendo di forza vincolante e non facendo sorgere
diritti e obblighi in capo agli Stati membri, la Raccomandazione è
rimasta lettera morta per molti anni fino alle recenti Direttive che,
peraltro, riprendono la terminologia della Raccomandazione circa l'inammissibilità
di ogni comportamento "a connotazione sessuale" o di "qualsiasi
altro tipo di comportamento basato sul sesso", compreso quello di
superiori e colleghi, che offenda la dignità degli uomini e delle
donne sul lavoro. (15)
L'esplicita previsione delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro è
foriera di rilevanti risvolti pratici ed applicativi. Per tutti basti
la sua valenza delimitativa rispetto ai casi di mobbing. (16)
Infine, con riferimento alle azioni positive (17),
l'art. 6 della Direttiva 2002/73 stabilisce che una differenza di trattamento
introdotta dagli Stati e basata su una caratteristica specifica di un
sesso "non costituisca discriminazione laddove, per la particolare
natura delle attività lavorative di cui trattasi o per il contesto
in cui esse vengono espletate, tale caratteristica costituisca un requisito
essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa,
purché l'obiettivo sia legittimo e il requisito proporzionato".
(18)
L'apertura europea verso lo strumento delle azioni positive, la cui legittimità
negli anni è stata tutt'altro che pacifica, ha trovato un nuovo
slancio nel congiunto disposto degli artt. 13 e 141 del Trattato di Amsterdam.
(19)
L'art. 141 dichiara espressamente di perseguire l'obiettivo di una effettiva
e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa e stabilisce
che "il principio di parità di trattamento non osta a che
uno stato mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici".
L'art. 141 del Trattato, in materia di pari opportunità di genere,
ammette le "misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare
l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato
ovvero ad evitare o compensare svantaggi specifici nelle carriere professionali".
Proprio la nozione neutra di "sesso sottorappresentato", costituisce
un elemento di novità dell'art. 141, perchè non esclude
la possibilità di azioni promozionali a favore del sesso maschile,
qualora venisse a trovarsi in situazioni di sottorappresentazione. (20)
La disamina finora compiuta fa sperare che i nuovi strumenti adottati
a livello europeo apportino un'energica sferzata alle disuguaglianze ed
alle discriminazioni di cui sono vittime ancora molte donne.
Infatti, in molti Stati d'Europa, le donne, continuano ad essere pagate
in media il 15% in meno degli uomini a parità di funzioni e la
società europea continua a non prevedere forme di rappresentazione
di tutte le popolazioni che ne fanno parte, soprattutto in campo decisionale
e politico. (21) Nella
consapevolezza del permanere di tale gap, la stessa Commissione ha redatto
una Comunicazione dal titolo altamente simbolico ed impegnativo: "Una
tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010"
(22), che, partendo dagli obiettivi raggiunti e
mancati nel quinquennio 2001-2005, mira a rafforzare la collaborazione
con gli Stati ed altri attori sociali per implementare la parità
tra uomo e donna in sei ambiti ritenuti prioritari: "una pari indipendenza
economica per le donne e gli uomini, l'equilibrio tra attività
professionale e vita privata, la pari rappresentanza nel processo decisionale,
l'eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere, l'eliminazione
di stereotipi sessisti e la promozione della parità tra i generi
nelle politiche esterne e di sviluppo".
Ognuno di questi sei obiettivi è corredato dall'enucleazione di
azioni-chiave molto pragmatiche, tra le quali spiccano la preparazione,
per il 2007, di manuali sulla parità tra i generi destinati ai
soggetti coinvolti nel processo, l'attualizzazione dell'analisi della
dimensione di genere nel settore sanitario, una comunicazione sulla demografia
che affronti il problema dell'equilibrio tra vita familiare e attività
professionale, la promozione dell'accesso delle donne a carriere tecniche
e scientifiche ed ai processi decisionali, la promozione dell'uso di tutti
gli strumenti esistenti, compreso il FSE, per la reintegrazione nella
società civile delle vittime della violenza e della tratta di esseri
umani, la promozione del bilancio di genere a livello locale, regionale
e nazionale, anche attraverso lo scambio di pratiche ottimali, la promozione
dell'attuazione e dell'applicazione dell'acquis comunitario sulla parità
tra donne e uomini nei paesi in via di adesione, nei paesi candidati e
potenzialmente candidati, in particolare nella programmazione degli aiuti
di pre-adesione e nei negoziati di adesione.
Il ricchissimo programma pianificato dalla Commissione Europea è
davvero molto ambizioso e sembra seguire l'insegnamento del Principe machiavelliano,
secondo cui gli arcieri prudenti, parendo el loco dove disegnano ferire
troppo lontano e, conoscendo fino a quanto va la virtù del loro
arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non
per aggiungere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere, con
lo aiuto di sì alta mira, pervenire al disegno loro.
L' "arciere europeo" contemporaneo, d'altronde, può contare
su archi possenti quali il metodo del mainstreaming e dell'open
method of coordination (metodo aperto di coordinamento), che si stanno
rivelando degli efficaci mezzi per realizzare l'effettiva partecipazione
dei cittadini e delle cittadine alla vita sociale ed ai processi decisionali.
L'integrazione progressiva è supportata anche da cospicui programmi
e misure di sostegno per le attività rivolte alle vittime di discriminazione
ed alle fasce della società più facilmente escluse dall'attiva
partecipazione.
Limitatamente all'uguaglianza di genere può essere utile richiamare
due di questi Programmi europei anche in vista di prossime scadenze che
possono interessare le lettrici.
1) Il programma Comunitario per l'occupazione e la solidarietà
sociale - Progress (23)
Tale Programma, da attuarsi dal 1 gennaio 2007 al 31 dicembre 2013,
è destinato a sostenere finanziariamente la realizzazione degli
obiettivi dell'Unione europea nei settori dell'occupazione e degli affari
sociali, fissati nella Comunicazione della Commissione sull'agenda sociale,
e quindi a contribuire al conseguimento degli obiettivi della strategia
di Lisbona in questi ambiti.
Tra gli obiettivi di questo programma rientra lo sviluppo di strumenti
e metodi statistici e di indicatori comuni suddivisi, se del caso, per
sesso e gruppo di età, nei settori contemplati dal programma; la
creazione di reti, l'apprendimento reciproco, l'identificazione e la diffusione
di buone prassi e di impostazioni innovative a livello europeo; la sensibilizzazione
delle parti interessate e del grande pubblico alle politiche e agli obiettivi
comunitari attuati nel quadro della decisione stessa, il miglioramento
della capacità delle principali reti di livello europeo di promuovere,
sostenere e sviluppare ulteriormente le politiche dell'Unione e, se del
caso, i suoi obiettivi e, infine, la fondamentale previsione del mainstreaming
del principio di non discriminazione in tutte le politiche comunitarie.
Il programma finanzia i seguenti tipi di azioni, che possono essere svolte,
se del caso, in ambito transnazionale: a) attività analitiche:
i) raccolta, elaborazione e diffusione di dati e statistiche; ii) elaborazione
e diffusione di metodologie e, se del caso, di indicatori o criteri di
riferimento; iii) realizzazione di studi, analisi e indagini e diffusione
dei risultati; iv) realizzazione di valutazioni e analisi dell'impatto
e diffusione dei risultati; v) elaborazione e pubblicazione di guide,
relazioni e materiale didattico tramite Internet o altri supporti mediatici;
b) attività di apprendimento reciproco, sensibilizzazione e diffusione:
i) identificazione e scambio di buone prassi, impostazioni ed esperienze
innovative, organizzazione di valutazioni a pari livello e apprendimento
reciproco mediante riunioni/workshop/seminari a livello nazionale, transnazionale
o europeo, tenendo presenti, se possibile, circostanze specifiche nazionali;
ii) organizzazione di conferenze/seminari della presidenza; iii) organizzazione
di conferenze/seminari a sostegno dello sviluppo e dell'attuazione della
normativa e degli obiettivi politici della Comunità; iv) organizzazione
di campagne e manifestazioni nei mezzi di comunicazione; v) raccolta e
pubblicazione di materiali al fine di diffondere informazioni e risultati
del programma. Tra i soggetti che possono beneficiare dei fondi stanziati
all'interno di Progress figurano, oltre a tutti gli organismi, operatori
e istituzioni pubblici (Stati membri, servizi pubblici dell'occupazione
e relative agenzie, autorità regionali e locali, organismi specializzati
previsti dalla normativa comunitaria) anche numerosi attori privati, come
ad esempio le parti sociali, le ONGs, in particolare quelle organizzate
a livello europeo, gli istituti di istruzione superiore e istituti di
ricerca, gli esperti di valutazione; gli istituti statistici nazionali;
i mezzi di comunicazione.
2) Programma specifico "Lotta alla
violenza" (Daphne III) (2007-2013)- (24)
Tra i programmi della Commissione, Daphne
è tra i più conosciuti e riusciti fin dal primo periodo
del programma (2000-2003). Giunto ormai alla terza edizione, è
dotato di una crescente dotazione finanziaria in considerazione dell'allargamento
europeo e delle conseguenti maggiori necessità di finanziamento.
Nell'ambito di Daphne e Daphne II, la Commissione europea ha finanziato
numerosi progetti di alta qualità. Tra gli obiettivi del Programma
Daphne e Daphne II si distinguevano obiettivi generali e specifici. Tra
i primi rientrano la protezione della salute fisica e mentale tramite
la protezione dei bambini, dei giovani e delle donne vittime della violenza,
tramite la prevenzione della violenza, il supporto alle vittime della
violenza e la protezione dei gruppi a rischio; la raccolta di dati sulla
violenza in Europa; il sostegno alle azioni transnazionali tra ONG ed
altre organizzazioni attive in questo campo. Ai secondi appartengono,
invece, le attività di sensibilizzazione per un pubblico specifico,
l'elaborazione e lo scambio di buone pratiche e di esperienze di lavoro,
le indagini, gli studi e le attività di ricerca, le attività
"sul campo" con la partecipazione dei beneficiari, la creazione
di network interdisciplinari sostenibili, la formazione.
Il programma Daphne II era aperto alla partecipazione di organizzazioni
private senza scopo di lucro, di autorità pubbliche e di istituzioni
(autorità locali a livello adeguato, facoltà universitarie
e centri di ricerca) (25), mentre gli enti pubblici
a livello nazionale/centrale non erano eleggibili per un finanziamento
del programma Daphne.
Le organizzazioni partecipanti dovevano provenire da uno dei 25 Stati
membri dell'Unione europea o dei paesi dell'EFTA/SEE. Le proposte dovevano
essere presentate da un partenariato di almeno due organizzazioni eleggibili
di due distinti Stati membri dell'UE o dell'EFTA/SEE. Il contributo finanziario
della Commissione per un singolo progetto in un periodo di 12 mesi deve
essere compreso tra i 50,000 e i 175,000 ?.
Il lancio del Programma Daphne III è atteso per i primi mesi del
2007, appena sarà adottata la decisione di emendamento del Programma
Daphne da parte del Consiglio Europeo e del Parlamento Europeo. Nella
proposta di emendamento, avanzato dalla Commissione Europea, il Programma
Daphne III dovrebbe rientrare nell'ambito del programma generale "Diritti
fondamentali e giustizia", (26) col dichiarato
intento di razionalizzare e semplificare gli strumenti finanziari nel
settore della giustizia, sicurezza e libertà, riducendone il numero
e migliorandone l'efficacia e creare una rete multidisciplinare di contrasto
alla violenza. La terza fase del Programma Daphne, che riprende gli obiettivi
delle precedenti, incoraggia ancora più strenuamente l'uso delle
nuove tecnologie e l'approccio transdisciplinare.
Senza pretesa di esaustività, ho cercato, con questo articolo,
di fornire una panoramica sui molti sforzi in atto in materia di concreta
affermazione delle pari opportunità e di lotta alle discriminazioni,
che conferiscono denso significato al concetto di cittadinanza ed al diritto
di voto, il cui sessantesimo compleanno è stato festeggiato da
noi donne italiane nell'anno appena concluso. Con la consapevolezza del
percorso svolto e delle mete raggiunte e con uno guardo sull'avvenire,
che si profila intenso ed impegnativo, la marcia delle donne (e degli
uomini) continua con rinnovato slancio: Buon Cammino!
Note:
1- http://ec.europa.eu/employment_social/equality2007/.
Decisione n. 771/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17
maggio 2006 , che istituisce l'anno europeo delle pari opportunità
per tutti (2007) - Verso una società giusta; Proposta di DECISIONE
DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativa all'Anno europeo delle
pari opportunità per tutti (2007)- Verso una società giusta
(presentata dalla Commissione) [SEC(2005)690].
2- Direttiva 75/117/CEE del Consiglio, del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati Membri relative all'applicazione del principio
della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile
e quelli di sesso femminile; Direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9
febbraio 1976, relativa all'attuazione del principio della parità
di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso
al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni
di lavoro; Direttiva 97/80/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 riguardante
l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso.
3- Bruxelles, 1.6.2005 COM(2005) 224 definitivo,
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL
COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Una strategia
quadro per la non discriminazione e le pari opportunità per tutti.
Si legge nella Comunicazione che nei prossimi 25 anni, la popolazione
europea di età lavorativa diminuirà di oltre 20 milioni
e da ciò nasce l'esigenza di lottare contro la discriminazione
e di inserire nel mercato del lavoro le categorie svantaggiate. Barbera
M (2003) "Eguaglianza e differenza nella nuova stagione del diritto
antidiscriminatorio comunitario" ("Equality and diversity in
the new season of Community anti-discrimination law"), Giornale di
diritto del lavoro e di relazioni industriali Vol. 25, pp. 399-421, Amato
F (2003) "Le nuove direttive comunitarie sul divieto di discriminazione.
Riflessioni e prospettive per la realizzazione di una società multietnica"
("The new European directives on prohibition of discrimination. Thoughts
and perspectives for the implementation of a multi-ethnic society"),
Lavoro e Diritto No. 1, pp. 127-145
4- Parmar S. (2003) "Situating the
EU human rights system in an international human rights context",
PhD thesis European University Institute, Florence
Nella Decisione n. 1672/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 24 ottobre 2006, che istituisce un programma comunitario per l'occupazione
e la solidarietà sociale - Progress, si legge che l'esperienza
acquisita nell'arco di diversi anni di lotta contro determinate forme
di discriminazione, compresa la discriminazione fondata sul sesso, può
risultare utile anche per la lotta contro discriminazioni di altra natura.
5- L'antecedente giuridico dell'ambito oggettivo
di applicazione della Direttiva 2004/113 è la summenzionata Direttiva
2000/43.
6- Tra le altre novità delle Direttive
di Nuova generazione non vanno dimenticate la generalizzata introduzione
dell'inversione dell'onere della prova per tutte cause discriminatorie
contemplate nell'art. 13 del Trattato di Amsterdam e l'instaurazione di
Organi di parità per le discriminazioni di razza ed origine etnica
(Direttiva 2000/43) e di genere (Direttiva 2002/73).In dottrina è
stata molto criticata l'assenza di un'analoga previsione per le cause
discriminatorie previste nella Direttiva 2000/78. Bell M (2002a) "Anti-discrimination
law and the European Union", Oxford University Press; Skidmore P
(2001) "EC Framework Directive on Equal Treatment in Employment:
Towards a Comprehensive Community Anti-Discrimination Policy?" ,
Industrial Law Journal vol 30, pp. 126-132; Fredman S (2001) "Equality:
a New Generation?", Industrial Law Journal Vol. 30 pp. 145-168; Hepple
B (2004) "Race and law in fortress Europe" , Modern law review
Vol 67 p. 1-15.
7- Art. 2 Direttiva 2002/73, Art. 2 Direttiva
2004/113
8- A giugno 2001 la Commissione ed il Consiglio
hanno espresso la volontà di allineare tutte le nozioni di discriminazione
indiretta, livellando le definizioni della Direttiva 97/80 e della Direttiva
2002/73.
9- Nel recente dibattito seguìto alle Direttive del 2000, ci si
chiede se il nuovo diritto antidiscriminatorio contenga una nuova nozione
di discriminazione, tale da escludere addirittura una valutazione comparativa
tra situazioni (discriminazione come trattamento deteriore rispetto al
trattamento riservato ad altri soggetti). Si sostiene che la nuova nozione
non sia più comparativa e relativa, bensì assoluta. Così
intesa, la discriminazione potrebbe essere definita come svantaggio sociale,
ossia la combinazione di molte disuguaglianze (o discriminazione sistemica),
oppure come lesione di diritti fondamentali, diversi dall'uguaglianza.
A questa impostazione si obietta, però, che se si ammettesse una
simile nozione, ciò che in essa sfuma non tanto è il giudizio
comparativo, quanto l'autore cui imputare la discriminazione. Questo rischia
di dilatare troppo la nozione di discriminazione e la renderebbe inservibile
allo scopo specifico della realizzazione della parità di trattamento,
per ridursi a uno tra gli strumenti di tutela dei diritti umani in generale.
Izzi D. (2003) "Discriminazione senza comparazione? Appunti sulle
direttive comunitarie di seconda generazione" ("Discrimination
without comparison? Brief reflections on the "second generation"
Community Directives"), Giornale di diritto del lavoro e di relazioni
industriali Vol. 25, pp. 423-432;Brown C. (2002) "The Race Directive:
towards equality for all the peoples of Europe?", Yearbook of European
Law Vol. 21 pp. 195 - 227; Simoni A. (2002) "La discriminazione razziale
alla vigilia della direttiva 43/2000: considerazioni a partire da alcune
pronunce giurisprudenziali" ("Race discrimination before the
Directive 200/43/EC: consideration of some case-law"), Diritto, immigrazione
e cittadinanza No.4; Barnard C. (2001) "The changing scope of the
fundamental principle of equality?", McGill Law Journal Vol. 48 pp.
955-77.
10- Considerando 14 della Direttiva 2000/43.
11- Questo organo si compone di 18 esperti
indipendenti. Ogni anno tiene due sessioni di lavoro (di tre settimane
ciascuna) e indirizza un rapporto annua le all'Assemblea Generale. Verifica
dal 1969 l'implementazione della Convenzione sull'eliminazione di tutte
le forme di discriminazione razziale.
12- Questo organo si compone di 23 esperti
(donne) indipendenti. Tiene una sessione annuale di lavoro (di due settimane)
e indirizza un rapporto annuale all'Assemblea generale. Gli esperti sono
eletti dall'Assemblea degli Stati parte per un periodo di 4 anni.
13- Il Comitato sull'eliminazione della discriminazione
contro le donne è intervenuto alla Conferenza mondiale contro il
razzismo, tenutasi a Durban, (Sudafrica) nel 2001, relazionando che le
vittime delle discriminazioni multiple sono soprattutto le donne migranti,
rifugiate o caratterizzate da una particolarità di razza o etnica
e che spesso l'espropriazione di potere causato dalla discriminazione
contro le donne è aggravato dall'abuso di potere perpetrato contro
alcune di loro in ragione di una diversità di identità razziale
o di altri aspetti dell'identità che comportano esclusione sociale.
14- Gazzetta ufficiale n. la 049 del 24/02/1992,
pag. 0001 - 0008
15- Art. 1: Si raccomanda che gli Stati membri si adoperino per promuovere
la consapevolezza che qualsiasi comportamento a connotazione sessuale
o altro tipo di comportamento basato sul sesso, compreso quello di superiori
e colleghi, che offenda la dignità delle donne e degli uomini sul
lavoro è inammissibile se: a. è indesiderato, sconveniente
o offensivo per la persona che lo subisce; b. il suo rigetto o la sua
accettazione vengano assunti esplicitamente o implicitamente dai datori
di lavoro o dai dipendenti (compresi i superiori e i colleghi) a motivo
di decisioni inerenti all'accesso alla formazione professionale, all'assunzione
di un lavoratore, al mantenimento del posto di lavoro, alla promozione,
alla retribuzione o di qualsiasi altra decisione attinente all'impiego;
c. o crea un ambiente di lavoro intimidatorio, ostile o umiliante, e che
siffatti comportamenti possano, in determinate circostanze, costituire
una violazione del principio della parità di trattamento ai sensi
degli articoli 3, 4 e 5 della direttiva 76/207/CEE.
16- Ege H., La valutazione peritale del danno da mobbing, Ed. Giuffrè,
2002. Secondo questo studioso benché le nozioni siano piuttosto
confuse nel sentire comune, esistono almeno due importanti differenze
tra mobbing e molestie sessuli: la motivazione e la frequenza. Infatti
mentre il molestatore ha nei confronti della vittima un intento libidinoso,
il mobber tende a voler infastidire, denigrare. La molestia sessuale è
una manovra di avvicinamento, mentre il mobbing è una strategia
di allontanamento. La molestia sessuale può essere costituita anche
da un solo atto, mentre il mobbing deve essere sistematico. De Simone
G., Molestie e discriminazioni nel diritto vigente e vivente. Le molestie
connesse al sesso e le molestie sessuali come forme di discriminazione
vietate, in Smuraglia C. (a cura di), Le discriminazioni sul luogo di
lavoro dall'Europa all'Italia, Roma, Ediesse, 2005, pp.204.
17- Beccalli Bianca (a cura di) Donne in
quota, Milano, Feltrinelli, 1999, pp 198; Caruso D., Limits of the classic
method: positive action in the EU after the new Equaity Directives",
in Harvard International Law Journal, Vol. 44, 2003, pp.331-386
18- Art. analogo Direttiva 2004/113
19- E' interessante ricordare che la finalità originaria dell'art
141 consisteva nell'impedire fenomeni di dumping sociale a scapito di
Paesi, come ad esempio la Francia, che avevano già riconosciuto
nella legislazione interna il principio di parità salariale (ancora
una volta le ragioni economiche trainano le riforme sociali ).
20- La stessa accezione è adottata dall'art. 23.2 della Carta di
Nizza in cui è sancito che "il principio della parità
non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi
specifici a favore del sesso sottorappresentato". E' evidente la
diversa terminologia adottata dai testi pre- Amsterdam che si rifacevano
all'art. 119 del Trattato CE (ora art. 141): la Raccomandazione 84/635/CEE
del Consiglio del 13 dicembre 1984 raccomandava agli Stati membri la promozione
di azioni positive "a favore delle donne" e la Direttiva 76/207/CEE
prevedeva che fossero legittime le misure volte a promuovere la parità
delle possibilità per gli uomini e le donne, in particolare ponendo
rimedio alle disparità di fatto che pregiudicano "le possibilità
per le donne".
21- Relazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento Europeo,
al Comitato Economico e Sociale Europeo, al Comitato delle Regioni sulla
parità tra donne e uomini - 2006
22- Bruxelles, 1.3.2006COM(2006) 92 definitivo,
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL
COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Una tabella
di marcia per la parità tra donne e uomini
2006-2010;
23- DECISIONE n. 1672/2006/CE PARLAMENTO
EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 24 ottobre 2006 che istituisce un programma
comunitario
24- Le versioni precedenti del Programma
Daphne, per il periodo 2000-2003, e Daphne II, per il periodo 2006-2008,
erano rubricate Misure preventive dirette a combattere la violenza contro
i bambini, gli adolescenti e le donne e a proteggere le vittime ed i gruppi
a rischio. http://ec.europa.eu/justice_home/funding/daphne/funding_daphne_en.htm
25- I soggetti destinatari del Programma
Daphne II dovevano dimostrare nella candidatura di avere esperienza nell'operare
per prevenire e combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le
donne; o per proteggere da tale violenza; o fornire supporto alle vittime;
o realizzare azioni volte a promuovere il rifiuto di tale violenza o promuovere
cambiamenti di atteggiamento e comportamento verso gruppi e vittime vulnerabili
della violenza.
26- Nella prima versione della proposta il Programma Daphne era stato
unito al programma specifico Prevenzione e informazione in materia di
droga, Questa commistione di programmi ha, però, suscitato molte
critiche anche nel Parlamento Europeo e nel Consiglio Europeo, poiché
il programma Daphne, la cui importanza nella lotta alla violenza contro
le donne e i bambini andrebbe evidenziata, avrebbe rischiato di perdere
visibilità se riunito in un unico strumento con le misure contro
la tossicodipendenza. Perciò la Commissione Europea ha deciso di
mantenere la separazione tra le varie misure nella proposta definitiva.
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