di Barbara G. Bello

La marcia delle donne (e degli uomini) continua ….

"Lei è all'orizzonte.
Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi.
Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta dieci passi più in là.
Per quanto io cammini non la raggiungerò mai.
A cosa serve l'utopia?
Serve proprio a questo: a camminare."
Eduardo Galeano


La notte di San Silvestro è considerata, in molte culture, il momento di passaggio tra il vecchio ed il nuovo, la svolta, una specie di Caronte che traghetta l'umanità da un anno all'altro.
Anche per chi non aderisce a tale convenzione, credere che abbia inizio una nuova fase può essere utile per fare dei bilanci e trarre vaticini.
Il 2007, a differenza degli anni precedenti, inizia sotto i migliori auspici per le persone interessate al tema dei diritti umani e della tutela dalle discriminazioni.
Infatti, su proposta della Commissione Europea, il Consiglio ed il Parlamento europeo hanno deciso di intitolare l'intero anno appena iniziato "alle Pari Opportunità per tutti", con l'intento di "incrementare la partecipazione alla vita sociale di chi è vittima di discriminazioni e promuovere atti, leggi e politiche che promuovano una partecipazione equilibrata alla vita sociale di uomini e donne" (1).
Questa scelta rientra in una più ampia strategia che può essere utile ripercorrere per dare conto delle recenti innovazioni operate, nell'Europa allargata e multiculturale, nella tutela contro le discriminazioni di genere e per poter meglio comprendere la portata delle politiche future.
La legislazione europea si occupa ormai da decenni delle discriminazioni contro le donne a livello di salario, condizioni di lavoro e sicurezza sociale, delle pari opportunità di genere nell'accesso alla vita politica e sociale. La promozione della parità tra uomini e donne è stata disciplinata da varie Direttive a partire dagli anni Settanta (2), è riconosciuta come uno dei compiti fondamentali della Comunità (Articolo 2 del Trattato CE) ed è uno degli obiettivi dell'azione della Comunità nell'impegno ad eliminare le ineguaglianze (Articolo 3, paragrafo 2, del Trattato CE).
Grazie a queste politiche, dette di prima generazione, numerose donne hanno raggiunto i più alti livelli d'istruzione, sono entrate nel mercato del lavoro e hanno svolto ruoli importanti nella vita pubblica.
Tuttavia era diffusa la richiesta, da parte di Ngos, di sindacati, di rappresentanti politiche/ci, di perfezionare la legislazione in vigore e di renderla più efficace e concreta, da un lato, combattendo altre forme di discriminazione e, dall'altro, potenziando la tutela in materia di genere.
In questo processo legislativo, le modifiche al Trattato introdotte ad Amsterdam nel 1997 hanno rappresentano una svolta epocale nella lotta alle discriminazioni nel diritto comunitario, che risulta oggi arricchito da un metodo coerente ed integrato tale da fornire una nozione unitaria di discriminazione e un'attenzione per le fattispecie di discriminazione multipla di cui sono vittima soprattutto le donne.
L'art. 13 del Trattato di Amsterdam, infatti, conferisce al Consiglio il potere di adottare, all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, "provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza, l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali".
Gli sforzi compiuti in questa direzione hanno prodotto una delle legislazioni antidiscriminatorie più complete ed innovative del mondo, denominata di nuova generazione in contrapposizione a quella antecedente il 1997. A soli diciotto mesi dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, sono state emanate due Direttive:
la Direttiva 2000/43 del 29 giugno del 2000 per attuare il principio della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, la cui tutela è estesa, oltre all'occupazione, agli ambiti della formazione, dell'istruzione, della sicurezza sociale, dell'assistenza sanitaria, dell'alloggio e dell'accesso ai servizi; la Direttiva 2000/78 del 27 novembre 2000, per introdurre delle norme quadro "per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro", che contempla tutte le cause discriminatorie contenute nell'art. 13 del Trattato di Amsterdam, ad esclusione del genere.
Le Istituzioni Comunitarie, presa coscienza delle pesanti ripercussioni che possono scaturire dal paventato invecchiamento della popolazione europea, per effetto della diminuzione dei tassi di fertilità e di mortalità, ha ritenuto necessario attivarsi repentinamente per compensare gli effetti demografici sul mercato del lavoro aumentando la partecipazione delle persone che ne sono attualmente, e per diversi motivi, escluse. (3)
Inizialmente, quindi, la scelta del Legislatore è stata di lasciare immutata la disciplina in materia di pari opportunità basata sul genere, che già disponeva di un notevole corpus normativo, e di dedicarsi alle altre cause di discriminazione di nuova sensibilità, ispirandosi, nondimeno, alla pluriennale esperienza legislativa e giurisprudenziale maturata dall'UE nella tutela del genere.
In una sorta di procedimento dialettico, proprio le Direttive del 2000 hanno costituito la base tecnico-giuridica per la normativa successiva in materia di parità di genere che si è arricchita, a sua volta, delle innovazioni da queste introdotte. Si parla, a tal proposito, anche di "reflexive cross-fertilisation". (4)
Nel 2002 la Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, ha integrato ed aggiornato il testo della Direttiva 76/207/CEE, con gli strumenti giuridici introdotti dalle Direttive del 2000 nell'ambito tradizionale di tutela, dell'occupazione e della formazione.
Nel 2004, infine, il Consiglio si è spinto nella terra incognita del principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura (5), adottando la Direttiva 2004/113/CE, che gli Stati membri dovranno recepire nelle legislazioni nazionali entro il 31 dicembre 2007.
Tra le numerose novità delle Direttive di Nuova Generazione, le più significative riguardano la previsione di una puntuale definizione di discriminazione (diretta ed indiretta), il riconoscimento del fenomeno delle discriminazioni multiple e la nozione di molestie (incluse le molestie sessuali), l'esplicita legittimazione dei piani di azioni positive. (6)
Analizzando questi strumenti di contrasto alle discriminazioni con esplicito riferimento alle Direttive di genere 2002/73 e 2004/113, sarebbe errato credere che le modifiche siano solo un ritocco di facciata, perché, al contrario, sono dense di conseguenze su un piano applicativo ed interpretativo.
Per esempio, l'introduzione di definizioni di discriminazione (diretta ed indiretta), assenti nelle Direttive degli anni Settanta, ha conferito maggiore certezza all'ambito di applicazione della tutela, delimitato, per anni, esclusivamente dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Le nozioni accolte, inoltre, contribuiscono ad estendere
l'ampiezza dei casi che potenzialmente sono perseguibili in base alle Direttive rispetto alla case-law elaborata dalla Corte di Lussemburgo.
Basti pensare alla definizione di discriminazione diretta (7), che ricorre quando "una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga". Il riconoscimento dell'ammissibilità sia di comparazioni attuali, sia di raffronti tra situazioni potenziali, virtuali e meramente ipotetiche ("sarebbe trattata") segna una delle principali rotture con la precedente disciplina.
La nozione di discriminazione indiretta era già contenuta nell'2.2.della Direttiva 97/80 del 15 dicembre 1997 secondo cui "una disposizione, criterio o prassi apparentemente neutri colpiscono una quota nettamente più elevata di individui dell'uno dei due sessi (disadvantage of a substantially higher portion of the members of one sex), a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano adeguati e necessari e possano essere giustificati da ragioni obiettive non basate sul sesso" (8). Il limite riconosciuto a questa risalente nozione sta nel riferimento ad un elemento quantitativo per verificare l'effetto svantaggioso, che ha costituito un notevole ostacolo ai fini probatori per le vittime di discriminazioni, generando complesse dispute sul significato del concetto "rilevanti proporzioni" e sulle difficoltà probatorie correlate alla necessaria "prova statistica". Il legislatore comunitario ha, quindi, preferito discostarsi da questa nozione, recependo quella elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea in materia di discriminazioni sulla nazionalità, che prescinde da dati statistici.
Oggi la discriminazione indiretta è definita come "la situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell'altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari".(9)
Per essere veramente completa la norma europea sulla tutela dalle discriminazioni non poteva prescindere dall'impegno a combattere le discriminazioni multiple, in particolare nei confronti delle donne migranti e appartenenti a minoranze etniche. (10)
Le istituzioni comunitarie hanno finalmente sottolineato che le donne appartenenti a gruppi svantaggiati sono spesso in una posizione peggiore rispetto agli uomini, poiché sono di frequente vittime di una doppia discriminazione, come donne e come straniere. Per tale ragione la stessa Commissione Europea ha più volte ribadito la necessità di promuovere la parità tra i generi nelle politiche di immigrazione e di integrazione, al fine di difendere i diritti e la partecipazione civica delle donne, di valorizzare pienamente il loro potenziale occupazionale e di migliorare il loro accesso all'istruzione e alla formazione permanente. Questo nuovo orientamento si discosta dalla tradizione consolidata per lungo tempo dal legislatore, comunitario e nazionale, secondo cui i vari aspetti dell'identità dell'individuo erano considerati e disciplinati isolatamente, prescindendo dall'indagare le conseguenze derivanti dal sovrapporsi di più fattori discriminatori a danno di una singola persona. A livello internazionale, invece, da più di un decennio il Comitato dell'Onu contro le forme di discriminazioni razziali (11) ed il Comitato dell'Onu sull'eliminazione della
discriminazione contro le donne (12) hanno instaurato una stabile collaborazione per integrare l'implementazione ed il monitoraggio dei diritti tutelati nella Convenzione dell'ONU per l'eliminazione della discriminazione razziale del 1969
e nella Convenzione dell'ONU sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 18 dicembre 1979. (13) Entrambi i Comitati persistono nel raccomandare agli Stati di elaborare un approccio sistematico e coerente per valutare e monitorare la discriminazione razziale contro le donne, nonché gli innumerevoli ostacoli che queste incontrano nel pieno esercizio dei propri diritti di cittadine.
Continuando con l'esame delle innovazioni introdotte a livello europeo finalizzate a contrastare le discriminazioni nei confronti delle donne, la più significativa riguarda, forse, il riferimento al concetto di molestie e di molestie sessuali. In base alle nuove Direttive di genere, entrambe le fattispecie sono situazioni nelle quali si verifica un comportamento indesiderato avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità della vittima e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo,
ma mentre nelle molestie semplici il comportamento offensivo è "connesso al sesso di una persona", nelle molestie sessuali esso si contraddistingue per essere "a connotazione sessuale".
Ciò che distingue, cioè, le molestie sessuali dalle molestie in generale è la connotazione sessuale, mentre entrambe sono accomunate dalla dimensione oggettiva della nozione che, analogamente a quella di discriminazione, prescinde dall'intenzionalità dell'autore.
A livello europeo, tale fenomeno è stato considerato in modo esaustivo solo dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 92/131, del 27 novembre 1991, (14) sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro, cui è allegato un Codice di Condotta sui provvedimenti da adottare nella lotta contro le molestie sessuali. Tuttavia, non godendo di forza vincolante e non facendo sorgere diritti e obblighi in capo agli Stati membri, la Raccomandazione è rimasta lettera morta per molti anni fino alle recenti Direttive che, peraltro, riprendono la terminologia della Raccomandazione circa l'inammissibilità di ogni comportamento "a connotazione sessuale" o di "qualsiasi altro tipo di comportamento basato sul sesso", compreso quello di superiori e colleghi, che offenda la dignità degli uomini e delle donne sul lavoro. (15)
L'esplicita previsione delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro è foriera di rilevanti risvolti pratici ed applicativi. Per tutti basti la sua valenza delimitativa rispetto ai casi di mobbing. (16)
Infine, con riferimento alle azioni positive (17), l'art. 6 della Direttiva 2002/73 stabilisce che una differenza di trattamento introdotta dagli Stati e basata su una caratteristica specifica di un sesso "non costituisca discriminazione laddove, per la particolare natura delle attività lavorative di cui trattasi o per il contesto in cui esse vengono espletate, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e il requisito proporzionato". (18)
L'apertura europea verso lo strumento delle azioni positive, la cui legittimità negli anni è stata tutt'altro che pacifica, ha trovato un nuovo slancio nel congiunto disposto degli artt. 13 e 141 del Trattato di Amsterdam. (19)
L'art. 141 dichiara espressamente di perseguire l'obiettivo di una effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa e stabilisce che "il principio di parità di trattamento non osta a che uno stato mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici". L'art. 141 del Trattato, in materia di pari opportunità di genere, ammette le "misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero ad evitare o compensare svantaggi specifici nelle carriere professionali". Proprio la nozione neutra di "sesso sottorappresentato", costituisce un elemento di novità dell'art. 141, perchè non esclude la possibilità di azioni promozionali a favore del sesso maschile, qualora venisse a trovarsi in situazioni di sottorappresentazione. (20)
La disamina finora compiuta fa sperare che i nuovi strumenti adottati a livello europeo apportino un'energica sferzata alle disuguaglianze ed alle discriminazioni di cui sono vittime ancora molte donne.
Infatti, in molti Stati d'Europa, le donne, continuano ad essere pagate in media il 15% in meno degli uomini a parità di funzioni e la società europea continua a non prevedere forme di rappresentazione di tutte le popolazioni che ne fanno parte, soprattutto in campo decisionale e politico. (21)  Nella consapevolezza del permanere di tale gap, la stessa Commissione ha redatto una Comunicazione dal titolo altamente simbolico ed impegnativo: "Una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010" (22), che, partendo dagli obiettivi raggiunti e mancati nel quinquennio 2001-2005, mira a rafforzare la collaborazione con gli Stati ed altri attori sociali per implementare la parità tra uomo e donna in sei ambiti ritenuti prioritari: "una pari indipendenza economica per le donne e gli uomini, l'equilibrio tra attività professionale e vita privata, la pari rappresentanza nel processo decisionale, l'eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere, l'eliminazione di stereotipi sessisti e la promozione della parità tra i generi nelle politiche esterne e di sviluppo".
Ognuno di questi sei obiettivi è corredato dall'enucleazione di azioni-chiave molto pragmatiche, tra le quali spiccano la preparazione, per il 2007, di manuali sulla parità tra i generi destinati ai soggetti coinvolti nel processo, l'attualizzazione dell'analisi della dimensione di genere nel settore sanitario, una comunicazione sulla demografia che affronti il problema dell'equilibrio tra vita familiare e attività professionale, la promozione dell'accesso delle donne a carriere tecniche e scientifiche ed ai processi decisionali, la promozione dell'uso di tutti gli strumenti esistenti, compreso il FSE, per la reintegrazione nella società civile delle vittime della violenza e della tratta di esseri umani, la promozione del bilancio di genere a livello locale, regionale e nazionale, anche attraverso lo scambio di pratiche ottimali, la promozione dell'attuazione e dell'applicazione dell'acquis comunitario sulla parità tra donne e uomini nei paesi in via di adesione, nei paesi candidati e potenzialmente candidati, in particolare nella programmazione degli aiuti di pre-adesione e nei negoziati di adesione.
Il ricchissimo programma pianificato dalla Commissione Europea è davvero molto ambizioso e sembra seguire l'insegnamento del Principe machiavelliano, secondo cui gli arcieri prudenti, parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano e, conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiungere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere, con lo aiuto di sì alta mira, pervenire al disegno loro.
L' "arciere europeo" contemporaneo, d'altronde, può contare su archi possenti quali il metodo del mainstreaming e dell'open method of coordination (metodo aperto di coordinamento), che si stanno rivelando degli efficaci mezzi per realizzare l'effettiva partecipazione dei cittadini e delle cittadine alla vita sociale ed ai processi decisionali.
L'integrazione progressiva è supportata anche da cospicui programmi e misure di sostegno per le attività rivolte alle vittime di discriminazione ed alle fasce della società più facilmente escluse dall'attiva partecipazione.
Limitatamente all'uguaglianza di genere può essere utile richiamare due di questi Programmi europei anche in vista di prossime scadenze che possono interessare le lettrici.

1) Il programma Comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale - Progress (23)

Tale Programma, da attuarsi dal 1 gennaio 2007 al 31 dicembre 2013, è destinato a sostenere finanziariamente la realizzazione degli obiettivi dell'Unione europea nei settori dell'occupazione e degli affari sociali, fissati nella Comunicazione della Commissione sull'agenda sociale, e quindi a contribuire al conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona in questi ambiti.
Tra gli obiettivi di questo programma rientra lo sviluppo di strumenti e metodi statistici e di indicatori comuni suddivisi, se del caso, per sesso e gruppo di età, nei settori contemplati dal programma; la creazione di reti, l'apprendimento reciproco, l'identificazione e la diffusione di buone prassi e di impostazioni innovative a livello europeo; la sensibilizzazione delle parti interessate e del grande pubblico alle politiche e agli obiettivi comunitari attuati nel quadro della decisione stessa, il miglioramento della capacità delle principali reti di livello europeo di promuovere, sostenere e sviluppare ulteriormente le politiche dell'Unione e, se del caso, i suoi obiettivi e, infine, la fondamentale previsione del mainstreaming del principio di non discriminazione in tutte le politiche comunitarie. Il programma finanzia i seguenti tipi di azioni, che possono essere svolte, se del caso, in ambito transnazionale: a) attività analitiche: i) raccolta, elaborazione e diffusione di dati e statistiche; ii) elaborazione e diffusione di metodologie e, se del caso, di indicatori o criteri di riferimento; iii) realizzazione di studi, analisi e indagini e diffusione dei risultati; iv) realizzazione di valutazioni e analisi dell'impatto e diffusione dei risultati; v) elaborazione e pubblicazione di guide, relazioni e materiale didattico tramite Internet o altri supporti mediatici; b) attività di apprendimento reciproco, sensibilizzazione e diffusione: i) identificazione e scambio di buone prassi, impostazioni ed esperienze innovative, organizzazione di valutazioni a pari livello e apprendimento reciproco mediante riunioni/workshop/seminari a livello nazionale, transnazionale o europeo, tenendo presenti, se possibile, circostanze specifiche nazionali; ii) organizzazione di conferenze/seminari della presidenza; iii) organizzazione di conferenze/seminari a sostegno dello sviluppo e dell'attuazione della normativa e degli obiettivi politici della Comunità; iv) organizzazione di campagne e manifestazioni nei mezzi di comunicazione; v) raccolta e pubblicazione di materiali al fine di diffondere informazioni e risultati del programma. Tra i soggetti che possono beneficiare dei fondi stanziati all'interno di Progress figurano, oltre a tutti gli organismi, operatori e istituzioni pubblici (Stati membri, servizi pubblici dell'occupazione e relative agenzie, autorità regionali e locali, organismi specializzati previsti dalla normativa comunitaria) anche numerosi attori privati, come ad esempio le parti sociali, le ONGs, in particolare quelle organizzate a livello europeo, gli istituti di istruzione superiore e istituti di ricerca, gli esperti di valutazione; gli istituti statistici nazionali; i mezzi di comunicazione.

2) Programma specifico "Lotta alla violenza" (Daphne III) (2007-2013)- (24)

Tra i programmi della Commissione, Daphne è tra i più conosciuti e riusciti fin dal primo periodo del programma (2000-2003). Giunto ormai alla terza edizione, è dotato di una crescente dotazione finanziaria in considerazione dell'allargamento europeo e delle conseguenti maggiori necessità di finanziamento.
Nell'ambito di Daphne e Daphne II, la Commissione europea ha finanziato numerosi progetti di alta qualità. Tra gli obiettivi del Programma Daphne e Daphne II si distinguevano obiettivi generali e specifici. Tra i primi rientrano la protezione della salute fisica e mentale tramite la protezione dei bambini, dei giovani e delle donne vittime della violenza, tramite la prevenzione della violenza, il supporto alle vittime della violenza e la protezione dei gruppi a rischio; la raccolta di dati sulla violenza in Europa; il sostegno alle azioni transnazionali tra ONG ed altre organizzazioni attive in questo campo. Ai secondi appartengono, invece, le attività di sensibilizzazione per un pubblico specifico, l'elaborazione e lo scambio di buone pratiche e di esperienze di lavoro, le indagini, gli studi e le attività di ricerca, le attività "sul campo" con la partecipazione dei beneficiari, la creazione di network interdisciplinari sostenibili, la formazione.
Il programma Daphne II era aperto alla partecipazione di organizzazioni private senza scopo di lucro, di autorità pubbliche e di istituzioni (autorità locali a livello adeguato, facoltà universitarie e centri di ricerca) (25), mentre gli enti pubblici a livello nazionale/centrale non erano eleggibili per un finanziamento del programma Daphne.
Le organizzazioni partecipanti dovevano provenire da uno dei 25 Stati membri dell'Unione europea o dei paesi dell'EFTA/SEE. Le proposte dovevano essere presentate da un partenariato di almeno due organizzazioni eleggibili di due distinti Stati membri dell'UE o dell'EFTA/SEE. Il contributo finanziario della Commissione per un singolo progetto in un periodo di 12 mesi deve essere compreso tra i 50,000 e i 175,000 ?.
Il lancio del Programma Daphne III è atteso per i primi mesi del 2007, appena sarà adottata la decisione di emendamento del Programma Daphne da parte del Consiglio Europeo e del Parlamento Europeo. Nella proposta di emendamento, avanzato dalla Commissione Europea, il Programma Daphne III dovrebbe rientrare nell'ambito del programma generale "Diritti fondamentali e giustizia", (26) col dichiarato intento di razionalizzare e semplificare gli strumenti finanziari nel settore della giustizia, sicurezza e libertà, riducendone il numero e migliorandone l'efficacia e creare una rete multidisciplinare di contrasto alla violenza. La terza fase del Programma Daphne, che riprende gli obiettivi delle precedenti, incoraggia ancora più strenuamente l'uso delle nuove tecnologie e l'approccio transdisciplinare.
Senza pretesa di esaustività, ho cercato, con questo articolo, di fornire una panoramica sui molti sforzi in atto in materia di concreta affermazione delle pari opportunità e di lotta alle discriminazioni, che conferiscono denso significato al concetto di cittadinanza ed al diritto di voto, il cui sessantesimo compleanno è stato festeggiato da noi donne italiane nell'anno appena concluso. Con la consapevolezza del percorso svolto e delle mete raggiunte e con uno guardo sull'avvenire, che si profila intenso ed impegnativo, la marcia delle donne (e degli uomini) continua con rinnovato slancio: Buon Cammino!


Note:

1- http://ec.europa.eu/employment_social/equality2007/. Decisione n. 771/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006 , che istituisce l'anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) - Verso una società giusta; Proposta di DECISIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativa all'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007)- Verso una società giusta (presentata dalla Commissione) [SEC(2005)690].

2- Direttiva 75/117/CEE del Consiglio, del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile; Direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro; Direttiva 97/80/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso.

3- Bruxelles, 1.6.2005 COM(2005) 224 definitivo, COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Una strategia quadro per la non discriminazione e le pari opportunità per tutti. Si legge nella Comunicazione che nei prossimi 25 anni, la popolazione europea di età lavorativa diminuirà di oltre 20 milioni e da ciò nasce l'esigenza di lottare contro la discriminazione e di inserire nel mercato del lavoro le categorie svantaggiate. Barbera M (2003) "Eguaglianza e differenza nella nuova stagione del diritto antidiscriminatorio comunitario" ("Equality and diversity in the new season of Community anti-discrimination law"), Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali Vol. 25, pp. 399-421, Amato F (2003) "Le nuove direttive comunitarie sul divieto di discriminazione. Riflessioni e prospettive per la realizzazione di una società multietnica" ("The new European directives on prohibition of discrimination. Thoughts and perspectives for the implementation of a multi-ethnic society"), Lavoro e Diritto No. 1, pp. 127-145

4- Parmar S. (2003) "Situating the EU human rights system in an international human rights context", PhD thesis European University Institute, Florence
Nella Decisione n. 1672/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 2006, che istituisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale - Progress, si legge che l'esperienza acquisita nell'arco di diversi anni di lotta contro determinate forme di discriminazione, compresa la discriminazione fondata sul sesso, può risultare utile anche per la lotta contro discriminazioni di altra natura.

5- L'antecedente giuridico dell'ambito oggettivo di applicazione della Direttiva 2004/113 è la summenzionata Direttiva 2000/43.

6- Tra le altre novità delle Direttive di Nuova generazione non vanno dimenticate la generalizzata introduzione dell'inversione dell'onere della prova per tutte cause discriminatorie contemplate nell'art. 13 del Trattato di Amsterdam e l'instaurazione di Organi di parità per le discriminazioni di razza ed origine etnica (Direttiva 2000/43) e di genere (Direttiva 2002/73).In dottrina è stata molto criticata l'assenza di un'analoga previsione per le cause discriminatorie previste nella Direttiva 2000/78. Bell M (2002a) "Anti-discrimination law and the European Union", Oxford University Press; Skidmore P (2001) "EC Framework Directive on Equal Treatment in Employment: Towards a Comprehensive Community Anti-Discrimination Policy?" , Industrial Law Journal vol 30, pp. 126-132; Fredman S (2001) "Equality: a New Generation?", Industrial Law Journal Vol. 30 pp. 145-168; Hepple B (2004) "Race and law in fortress Europe" , Modern law review Vol 67 p. 1-15.

7- Art. 2 Direttiva 2002/73, Art. 2 Direttiva 2004/113

8- A giugno 2001 la Commissione ed il Consiglio hanno espresso la volontà di allineare tutte le nozioni di discriminazione indiretta, livellando le definizioni della Direttiva 97/80 e della Direttiva 2002/73.
9- Nel recente dibattito seguìto alle Direttive del 2000, ci si chiede se il nuovo diritto antidiscriminatorio contenga una nuova nozione di discriminazione, tale da escludere addirittura una valutazione comparativa tra situazioni (discriminazione come trattamento deteriore rispetto al trattamento riservato ad altri soggetti). Si sostiene che la nuova nozione non sia più comparativa e relativa, bensì assoluta. Così intesa, la discriminazione potrebbe essere definita come svantaggio sociale, ossia la combinazione di molte disuguaglianze (o discriminazione sistemica), oppure come lesione di diritti fondamentali, diversi dall'uguaglianza. A questa impostazione si obietta, però, che se si ammettesse una simile nozione, ciò che in essa sfuma non tanto è il giudizio comparativo, quanto l'autore cui imputare la discriminazione. Questo rischia di dilatare troppo la nozione di discriminazione e la renderebbe inservibile allo scopo specifico della realizzazione della parità di trattamento, per ridursi a uno tra gli strumenti di tutela dei diritti umani in generale. Izzi D. (2003) "Discriminazione senza comparazione? Appunti sulle direttive comunitarie di seconda generazione" ("Discrimination without comparison? Brief reflections on the "second generation" Community Directives"), Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali Vol. 25, pp. 423-432;Brown C. (2002) "The Race Directive: towards equality for all the peoples of Europe?", Yearbook of European Law Vol. 21 pp. 195 - 227; Simoni A. (2002) "La discriminazione razziale alla vigilia della direttiva 43/2000: considerazioni a partire da alcune pronunce giurisprudenziali" ("Race discrimination before the Directive 200/43/EC: consideration of some case-law"), Diritto, immigrazione e cittadinanza No.4; Barnard C. (2001) "The changing scope of the fundamental principle of equality?", McGill Law Journal Vol. 48 pp. 955-77.

10- Considerando 14 della Direttiva 2000/43.

11- Questo organo si compone di 18 esperti indipendenti. Ogni anno tiene due sessioni di lavoro (di tre settimane ciascuna) e indirizza un rapporto annua le all'Assemblea Generale. Verifica dal 1969 l'implementazione della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.

12- Questo organo si compone di 23 esperti (donne) indipendenti. Tiene una sessione annuale di lavoro (di due settimane) e indirizza un rapporto annuale all'Assemblea generale. Gli esperti sono eletti dall'Assemblea degli Stati parte per un periodo di 4 anni.

13- Il Comitato sull'eliminazione della discriminazione contro le donne è intervenuto alla Conferenza mondiale contro il razzismo, tenutasi a Durban, (Sudafrica) nel 2001, relazionando che le vittime delle discriminazioni multiple sono soprattutto le donne migranti, rifugiate o caratterizzate da una particolarità di razza o etnica e che spesso l'espropriazione di potere causato dalla discriminazione contro le donne è aggravato dall'abuso di potere perpetrato contro alcune di loro in ragione di una diversità di identità razziale o di altri aspetti dell'identità che comportano esclusione sociale.

14- Gazzetta ufficiale n. la 049 del 24/02/1992, pag. 0001 - 0008

15- Art. 1: Si raccomanda che gli Stati membri si adoperino per promuovere la consapevolezza che qualsiasi comportamento a connotazione sessuale o altro tipo di comportamento basato sul sesso, compreso quello di superiori e colleghi, che offenda la dignità delle donne e degli uomini sul lavoro è inammissibile se: a. è indesiderato, sconveniente o offensivo per la persona che lo subisce; b. il suo rigetto o la sua accettazione vengano assunti esplicitamente o implicitamente dai datori di lavoro o dai dipendenti (compresi i superiori e i colleghi) a motivo di decisioni inerenti all'accesso alla formazione professionale, all'assunzione di un lavoratore, al mantenimento del posto di lavoro, alla promozione, alla retribuzione o di qualsiasi altra decisione attinente all'impiego; c. o crea un ambiente di lavoro intimidatorio, ostile o umiliante, e che siffatti comportamenti possano, in determinate circostanze, costituire una violazione del principio della parità di trattamento ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 della direttiva 76/207/CEE.

16- Ege H., La valutazione peritale del danno da mobbing, Ed. Giuffrè, 2002. Secondo questo studioso benché le nozioni siano piuttosto confuse nel sentire comune, esistono almeno due importanti differenze tra mobbing e molestie sessuli: la motivazione e la frequenza. Infatti mentre il molestatore ha nei confronti della vittima un intento libidinoso, il mobber tende a voler infastidire, denigrare. La molestia sessuale è una manovra di avvicinamento, mentre il mobbing è una strategia di allontanamento. La molestia sessuale può essere costituita anche da un solo atto, mentre il mobbing deve essere sistematico. De Simone G., Molestie e discriminazioni nel diritto vigente e vivente. Le molestie connesse al sesso e le molestie sessuali come forme di discriminazione vietate, in Smuraglia C. (a cura di), Le discriminazioni sul luogo di lavoro dall'Europa all'Italia, Roma, Ediesse, 2005, pp.204.

17- Beccalli Bianca (a cura di) Donne in quota, Milano, Feltrinelli, 1999, pp 198; Caruso D., Limits of the classic method: positive action in the EU after the new Equaity Directives", in Harvard International Law Journal, Vol. 44, 2003, pp.331-386

18- Art. analogo Direttiva 2004/113

19- E' interessante ricordare che la finalità originaria dell'art 141 consisteva nell'impedire fenomeni di dumping sociale a scapito di Paesi, come ad esempio la Francia, che avevano già riconosciuto nella legislazione interna il principio di parità salariale (ancora una volta le ragioni economiche trainano le riforme sociali ).

20- La stessa accezione è adottata dall'art. 23.2 della Carta di Nizza in cui è sancito che "il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato". E' evidente la diversa terminologia adottata dai testi pre- Amsterdam che si rifacevano all'art. 119 del Trattato CE (ora art. 141): la Raccomandazione 84/635/CEE del Consiglio del 13 dicembre 1984 raccomandava agli Stati membri la promozione di azioni positive "a favore delle donne" e la Direttiva 76/207/CEE prevedeva che fossero legittime le misure volte a promuovere la parità delle possibilità per gli uomini e le donne, in particolare ponendo rimedio alle disparità di fatto che pregiudicano "le possibilità per le donne".

21- Relazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo, al Comitato delle Regioni sulla parità tra donne e uomini - 2006

22- Bruxelles, 1.3.2006COM(2006) 92 definitivo, COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini
2006-2010;

23- DECISIONE n. 1672/2006/CE PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 24 ottobre 2006 che istituisce un programma comunitario

24- Le versioni precedenti del Programma Daphne, per il periodo 2000-2003, e Daphne II, per il periodo 2006-2008, erano rubricate Misure preventive dirette a combattere la violenza contro i bambini, gli adolescenti e le donne e a proteggere le vittime ed i gruppi a rischio. http://ec.europa.eu/justice_home/funding/daphne/funding_daphne_en.htm

25- I soggetti destinatari del Programma Daphne II dovevano dimostrare nella candidatura di avere esperienza nell'operare per prevenire e combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne; o per proteggere da tale violenza; o fornire supporto alle vittime; o realizzare azioni volte a promuovere il rifiuto di tale violenza o promuovere cambiamenti di atteggiamento e comportamento verso gruppi e vittime vulnerabili della violenza.

26- Nella prima versione della proposta il Programma Daphne era stato unito al programma specifico Prevenzione e informazione in materia di droga, Questa commistione di programmi ha, però, suscitato molte critiche anche nel Parlamento Europeo e nel Consiglio Europeo, poiché il programma Daphne, la cui importanza nella lotta alla violenza contro le donne e i bambini andrebbe evidenziata, avrebbe rischiato di perdere visibilità se riunito in un unico strumento con le misure contro la tossicodipendenza. Perciò la Commissione Europea ha deciso di mantenere la separazione tra le varie misure nella proposta definitiva.