|
Please post widely:
A CALL TO ACTION
Stop the Cycle of Violence!
A Day of Solidarity with the People of the World
Saturday, November 17, 2001 11AM-6PM Kennebunkport, Maine
March on the Bush Compound * Rally * Teach-ins
On September 11, thousands of innocent human beings were lost to unconscionable
acts of violence. The people of New York City, of Washington
DC, and of the entire United States, experienced what the people of Afghanistan
have known for a long time. The screams and cries of dying mothers, fathers,
sisters, brothers, sons, daughters, lovers, and
friends.
The terrible silence of grief. The haunting fear of what will come next.
On September 11, our tears joined millions others and our anger boiled
with rage.
It is from this common experience of suffering and injustice that we declare
our solidarity with the innocent people of the world with whom we now
share sorrow, pain, and anger. From New York City to Kabul, from Washington
DC to Jalalabad, we say ENOUGH. What moral choice do we now
have as compassionate citizens and respectful survivors but to demand
an end to
the escalating cycles of global violence? How better to honor our dead,
and the dead of so many others, than by refusing to allow more to die?
We refuse the two choices that have been forced upon us by the government
and corporate media: vengeance or inaction, loyalty or treason, support
for retaliatory terror or complicity with terrorists. We will not be trapped
into choosing between two global orders of violence. Another world is
possible.
In the week surrounding November 17th, people around the world will be
gathering to demand and end to the senseless and cruel bombings of Afghanistan
and to condemn oppressive foreign policy by the powers of the West; thousands
will protest in Ottawa, Canada against the meetings of the International
Monetary Fund (IMF) and World Bank; many more will come together in Fort
Benning, Georgia to demand the closure of the School of the Americas (SOA),
a US military institution known also as the "the school of Assassins";
and hundreds of thousands will gather in cities and towns across the globe
to oppose the destructive powers of corporate/capitalist globalization
being unleashed by the World Trade Organization (WTO) as it meets in Quatar.
Nov. 17 also marks the beginning of Ramadan, the highest holy days for
the people of Islam. Bush promises to keep up the bombing in spite of
pleas from our most important allies in the Islamic world, a dangerous
and destabilizing decision. Let us give voice to the opposing this destructive,
disrespectful policy.
We stand in solidarity with all of these expressions of global hope, struggle,
and resistance. We affirm that we are everywhere, that we will not go
away, that we are part of a global movement of movements. We are not building
a narrowly focused US anti-war movement, nor a movement solely against
the processes of capitalist globalization; rather, we are building a movement
against the fundamental structures and forces of global oppression and
injustice, a movement towards a more just, dignified,
sustainable, and democratic world for all- a global solidarity movement.
STOP THE CYCLE OF VIOLENCE, DECLARE GLOBAL SOLIDARITY
* 11am: March on the Bush compound (Walker's Point) ;
Meet at St. Anne's church on Ocean Drive (Kennebunkport) at 10:45
(please note: parking is extremely limited at St Anne's. Please try,
if you are able, to find parking in town-approx. 1 mile away--and walk
or carpool to the church)
11am- March (bring banners, signs, drums, songs, puppets, and other tools
of street-dissent!)
11:30- Public Speakout, street theater, and music at Walker's Point
12:30- Rally at St. Anne's church
* 2pm: Workshops, teach-ins, and discussions
Unitarian Universalist Church, Main St. Kennebunk (a few miles north of
Kennebunkport)
Three sessions, 2-3pm; 3:15-4:15pm; and 4:30-5:30pm
Workshop and discussion themes include:
Globalization, corporate power, and economic violence
The war against Afghanistan: historical, economic, and political contexts
US Foreign Policy and Intervention, making connections: Iraq, Palestine,
the School of the Americas (SOA) Strategies of Resistance: building movements,
popular education, envisioning alternative futures
6pm: Dinner, music, and festivities
* In honor of the 1st day of Ramadan, there will be an optional fast throughout
the day. A collection will also be taken at the march and teach-ins with
proceeds divided between RAWA (The Revolutionary
Association of the Women of Afghanistan) and a relief fund for children
who lost parents on 9-11.
For more information, contact:
State-wide: Matt, (207)-946-4478 (mschlobo@justice.com);
Regional: Kennebunkport: David 967-2390 (kubiak@nancho.net),;
Lewiston/Auburn: Matt, 946-4478 (mschlobo@justice.com);
Augusta: Tom, 377-2370 (mevfp@ctel.net);
Midcoast: Mark, 594-9575;
Machias: Sky, 255-6737;
Western Maine: Tom, 743-2183;
Bangor: Nancy, 567-4075 (ngalland@downeast.net);
Orono: Brian, 866-3219 (geierbrian@hotmail.com)
Organized by the Maine Global Action Network from the European Federation
of Green Parties e-mail list.
E-mail messages to EFGP@yahoogroups.com
Subscribe by e-mail to EFGP-subscribe@yahoogroups.com, and note to list
manager
Unsubscribe by e-mail to EFGP-unsubscribe@yahoogroups.com List manager:
Ann Verheyen at averheyen@europarl.eu.int
|
|
|
|
Seduta n. 57 di mercoledì 7 novembre 2001
Comunicazioni del Governo sull'impiego di contingenti militari
italiani all'estero in relazione alla crisi internazionale in atto
(ore 9,08).
| registrazione
audio | registrazione
video | (Windows Media Player)
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole
Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti
del Governo, vi accingete a compiere una scelta che è insieme grottesca
e tragica. Tragica perché è storicamente tragico quello che sta avvenendo
in Afghanistan - nell'intera regione - e perché in questo modo il
nostro paese si assume in forma diretta la responsabilità di una guerra
unilaterale che ha conseguenze devastanti sul piano umanitario e che
sempre più ne avrà su quello geopolitico e delle relazioni internazionali.
Il voto di guerra che vi accingete a esprimere - come fate a non vedere
ciò - avviene proprio nel momento in cui il conflitto ha dato prova
lampante di non riuscire a risparmiare la vita dei civili - le parti
più indifese delle popolazioni -, donne e bambini, nel momento in cui
i cosiddetti danni collaterali sono sotto gli occhi di tutti, anche
dei vostri, suppongo.
I nostri ragazzi, come dice la retorica guerrafondaia di tutti i tempi,
e le nostre ragazze, come impone questa modernizzazione barbarica che
uccide l'aspirazione femminile alla libertà e all'autodeterminazione,
imprigionandola nello scimmiottamento di tutto quello che di peggio
ha prodotto la cultura maschile, i nostri ragazzi e le nostre ragazze
- ripeto - andranno ad esercitare la loro vocazione militare contro
un paese poverissimo, già torturato da 20 anni di guerra contro villaggi,
quartieri civili, agenzie di sminamento, ospedali civili e militari.
C'è un documento - vi suggerisco di leggerlo - che non è stato scritto
dal gruppo di Rifondazione comunista ma da Pax Christi. Si intitola
«Clamore dei popoli per la giustizia, la solidarietà e la pace» e vi
è scritto che l'operazione militare che gli USA stanno conducendo
in Afghanistan non è altro che un'altra forma di terrorismo - questo
è anche il nostro giudizio! - un terrorismo che alimenta, in maniera
esponenziale, il terrorismo dei gruppi politici del fondamentalismo
islamista, che non bonifica ma moltiplica quelli che l'onorevole
D'Alema ama chiamare i giacimenti dell'odio. I fiumi di dollari
che si stanno spendendo nell'attuale campagna contro l'Afghanistan
sarebbero sufficienti da soli a bonificare subito uno di quei giacimenti,
eliminando, se indirizzati ad una strategia di convivenze e pace tra
i popoli, la fame e la miseria dell'intera zona.
Partecipare alla guerra è una scelta tragica - dicevo prima - ma insieme
grottesca perché nulla e nessuno imponeva al nostro paese di passare
dalla già disastrosa scelta di appoggio politico all'operazione
«Libertà duratura» a quella del coinvolgimento diretto in azioni di
guerra.
Non vi è stata nessuna richiesta americana, ma soltanto l'insistenza
grottesca fino al ridicolo, se non si trattasse di guerra, dell'offerta
italiana, del pietire del Governo e anche di esponenti del centrosinistra
di
partecipare, in forma diretta, alle azioni militari in Afghanistan,
di far sventolare la bandiera italiana tra le macerie di quel paese.
Dietro al ridicolo delle forme c'è però l'idea, l'illusione,
la volontà di far parte attiva, ancorché in posizione di attori di seconda
o terza fila, di quel gruppo di paesi che, con la guerra, sta disegnando
le nuove coordinate del potere economico, politico e militare nel mondo,
di sedersi insomma al tavolo dei vincitori, semmai vi saranno, con Bush
e Blair per poter dire: c'ero anch'io! Un déjà-vu che fa parte
di una storia del nostro paese che noi proprio non amiamo e che ha portato
più volte l'Italia ad avventure belliche disastrose, tanto più disastrose
in questa occasione perché le dinamiche che si sono aperte con l'operazione
«Libertà duratura» sono tutt'altro che chiare e definibili, al di
là del martellamento militare
continuo, dei bombardamenti metro per metro, della propaganda bellica.
Abbiamo detto più volte - e oggi lo ribadiamo - che «Libertà duratura»
non è una operazione contro il terrorismo, che il terrorismo non si
combatte in questa maniera, che in questa maniera si alimentano e si
estendono soltanto l'area e la legittimazione del terrorismo.
L'operazione «Libertà duratura» è un'occasione colta dagli Stati
Uniti e dalla NATO per intervenire in armi a ridefinire, attraverso
la guerra, il protettorato, la presenza diretta in quelle zone, i rapporti
di forza in un'area del mondo che - basta leggere la stampa degli
Stati Uniti e di tutti gli osservatori attenti alle questioni geopolitiche
- è strategica da tutti i punti di vista.
Ma se le ragioni strategiche sono chiare e definite - in merito a ciò
dovrebbe essere aperta la discussione in Parlamento, non sugli aspetti
tecnici militari di cui ci ha informato il ministro Martino - non sono
affatto chiare le sorti di questa guerra.
Il Parlamento dovrebbe essere messo nelle condizioni di discutere dell'andamento
della guerra. Il voto è a occhi chiusi. Come può non interessarci sapere
che, dopo mesi di bombardamento incessante, non vi è
nessun segno di successo, né politico né militare, nella dichiarata
offensiva contro il regime dei taliban? Che Bin Laden, lungi dall'essere
stato catturato o dall'essere in procinto di essere catturato, diventa
ogni
giorno di più il punto di riferimento di vaste aree dei paesi arabi
e che rischia di essere l'eroe di un'intera generazione di giovani
maschi musulmani, sempre più schiacciati dagli avvenimenti di questo
periodo su
un'identità islamista che annienta tutte le differenze culturali,
che pure sono grandissime tra quei paesi, e tutte le differenze sociali?
Come ignorare che la destabilizzazione dell'area, a cominciare dal
Pakistan, così duramente investito nelle responsabilità militari dell'azione
« Libertà duratura » comporta rischi di una gravità inaudita per tutto
il mondo, considerato che la guerra avviene in un contesto circondato
da paesi
cosiddetti emergenti e dotati dell'arma atomica?
Votiamo la guerra, assumiamo il ruolo di reggicoda degli Stati Uniti
d'America, mentre potremmo fare grande il nostro paese, mettendo
all'opera la grande vocazione di pace che esso manifesta e che si
è evidenziata nella straordinaria partecipazione popolare alla marcia
Perugia-Assisi, vocazione
di pace che torna, in tutti i sondaggi investigativi, nella volontà
della nostra gente di partecipare o meno alla guerra.
Potremmo fare grande il nostro paese elaborando e proponendo adeguate
strategie internazionali contro il terrorismo, con un'azione pressante
per risolvere i punti di crisi che lo alimentano, a partire dalla questione
palestinese che continua ad essere nel fuoco di una situazione drammatica
che appare irrisolvibile; potremmo adoperarci per promuovere un'azione
autonoma dell'Europa e un suo ruolo quale mediatrice dei conflitti
per rilanciare, ripensare e riqualificare il ruolo delle Nazioni Unite
che oggi sono ridotte a paravento subalterno delle decisioni della NATO.
Il Presidente della Repubblica Ciampi ha augurato che un tricolore sia
presente in ogni famiglia. Ci dispiace che il Presidente della Repubblica
abbia usato questa espressione tipica del patriottismo bellico. Ne siamo
distanti anni luce e faremo di tutto perché il minor numero di tricolori
di
guerra sventoli tra di noi. Se il tricolore, come deve essere, rappresenta
il nostro paese, deve rappresentare l'Italia repubblicana, democratica
e fondata su una Costituzione che ha nel suo DNA costitutivo il ripudio
della guerra e la ricerca della pace.
Il voto di oggi fa piazza pulita di quel fondamento, distrugge le basi
della convivenza internazionale, favorisce l'instaurazione della
legge del più forte, eliminando ogni garanzia del diritto. Vi accingete
a scrivere un'altra pagina nera della nostra storia. Per quello
che è nelle nostre mani, faremo di tutto per sollevare contro la vostra
decisione clamori di popolo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione
comunista).
Forum delle donne di Rifondazione comunista
Viale del Policlinico 131 - CAP 00161 - Roma
Tel. 06/44182204
Fax 06/44239490
|
|
|
|
UNO STRACCIO DI PACE
Siamo pericolosamente vicini alla guerra. Questo vuol dire che degli
italiani potrebbero anche uccidere dei civili, la maggior parte dei
quali donne e bambini e, a loro volta, essere uccisi.
Siamo sicuri che molti di noi non vogliono che ciò accada.
Noi vogliamo poter dire che siamo contrari, e vogliamo che chiunque
ci
veda sappia che siamo contrari alla guerra.
Per farlo useremo un pezzo di stoffa bianco: appeso alla borsetta o
alla ventiquattrore, attaccato alla porta di casa o al balcone, legato
al guinzaglio del cane, all'antenna della macchina, al passeggino
del
bambino, alla cartella di scuola...
Uno straccio di pace.
E se saremo in tanti ad averlo, non potranno dire che l'Italia intera
ha scelto la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti.
Sappiamo che molti sono favorevoli a questa entrata in guerra.
Vogliamo che anche quelli che sono contrari abbiano voce.
Emergency
chiede l'adesione di singoli cittadini, ma anche comuni,
parrocchie, associazioni, scuole e di quanti condividono questa
posizione.
Diffondere questo messaggio è un modo per
iniziare.
|
|
|
|
DIARIO DI GUERRA
Sui banchi di scuola con Rawa
GIULIANA SGRENA INVIATA A ISLAMABAD
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/07-Novembre-2001/art27.htm
K - hihan Sir Saeed è il
quartiere afghano di Rawalpindi, la città gemella della più ordinata
capitale Islamabad. Un campo enorme di baracche fatiscenti in un ampio
fossato pieno di polvere e di sporcizia. Non è un campo recente anche
se la precarietà, la miseria e il fetore regnano sovrani. Molti degli
afghani che abitano qui sono arrivati 15 anni fa, ai tempi dell'invasione
sovietica; i più giovani ci sono nati. I più fortunati, ma non di tanto,
abitano gli edifici che sorgono intorno: le famiglie sono ammassate
in infime stanze.
Sullo sfondo qualche villa che ospita uffici - probabilmente anche organizzazioni
umanitarie - e che contrasta con il paesaggio ai piedi della spianata.
Animali in cerca di cibo tra i rifiuti, un grosso bue giace esanime
sul selciato in attesa di essere trasportato via (deve essere caduto
durante il tentativo di caricarlo sul camion lì accanto privando il
padrone di un ottimo introito), fanno da sfondo a una sorta di mercato
delle braccia. Divisi in piccoli gruppi, giovani afghani con i loro
strumenti da lavoro, soprattutto pale e zappe, aspettano pazientemente
di essere assoldati per un infimo salario nei posti di lavoro meno ambiti.
In un paese dove lo sfruttamento e il lavoro minorile sono la normalità,
famiglie intere di profughi afghani fabbricano mattoni in un ambiente
assolutamente insalubre, tra la polvere e sotto il sole cocente; altre
intrecciano tappeti, il cui mercato si sarebbe comunque ridotto negli
ultimi tempi a causa della guerra. I profughi afghani sono i più sfruttati
tra gli sfruttati, anche se tra l'immigrazione afghana ci sono pure
i ricchi businessmen che fanno affari con il contrabbando e l'eroina,
oltre che con il redditizio traffico di armi.
E' nel quartiere di Khihan Sir Saeed che si trova anche l'edificio che
ospita la scuola per i profughi afghani gestita da Rawa (Revolutionary
association of women of Afghanistan), l'organizzazione di donne
afghane che in questi anni più si è battuta contro tutti i fondamentalismi.
Si accede da una strada trafficatissima, passando accanto ad un sottoscala
che ospita uno stuolo di ragazzi che fanno scarpe per poche rupie al
giorno. Sono tutti molto giovani e lavorano per lo stesso padrone. Molti
bambini non vengono mandati a scuola o lo sono per poche ore perché
devono lavorare insieme ai genitori, o da soli, per sbarcare il lunario.
La scuola primaria Heewd è al primo piano, la pulizia contrasta drasticamente
con la sporcizia che ci siamo lasciati alle spalle. Così come il fatto
di trovarci di fronte a delle classi miste, mentre in alcuni campi profughi,
come a Noserbach, dove ci sono scuole per bambine - e non ci sono dappertutto
- le allieve sono costrette a studiare con le finestre murate, un unico
piccolo spiraglio in alto. La scuola è recente, si tratta del primo
anno di corsi. Non mancano le difficoltà: l'energia elettrica che spesso
salta lasciando le classi sul retro nell'oscurità. Gli studenti che
frequentano i sei anni di scuola primaria in due turni sono circa 300,
metà uomini e metà donne. Le loro condizioni di vita non sono le più
drammatiche, vivono seppur precariamente in edifici stabili e non in
baracche. Ma non avrebbero la possibilità di studiare - pashtun, dari,
inglese, storia e geografia, scienze e religione - se non ci fosse questa
scuola gratuita dalla impostazione afghana, che non è riconosciuta dal
sistema scolastico pakistano. Ma la differenza di età nelle classi è
spesso notevole, dovuta alla storia di questi giovani profughi o figli
di profughi. Tra le allieve vi sono anche donne adulte, che non hanno
mai avuto la possibilità di studiare e ora hanno deciso di riscattarsi
con lo studio, assolutamente proibito alle donne nell'Afghanistan dei
taleban. I posti a disposizione della scuola non bastano a soddisfare
tutte le richieste e quindi, per esempio, tra un bambino e una donna
che vuole studiare, chi scegliete? "La donna", risponde immediatamente
e senza dubbi Mariam, non nascondendo la drammaticità di dover respingere
la richiesta di chi vuole studiare e che altrimenti non lo potrebbe
fare. D'altra parte le scelte a favore delle donne sono inevitabili
per una associazione come Rawa, un simbolo per le afghane che hanno
deciso di rifiutare l'ordine imposto dai taleban.
|
|
|