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    Capitolo IV
 
 
 
A casa di Vincenzo si mangiava meno di prima, tutti e quattro i ragazzi la mattina continuavano ad alzarsi presto per recarsi in montagna a fare la legna, ognuno di loro doveva contribuire, se voleva mangiare. I fasci di legna si dovevano trasportare sulla testa fino alle carceri, che si trovavano ai piedi della montagna, ma sull'altro versante nel comune di Cinquefrondi. Ogni sera Pasquinella consegnava le monete, tutte fino all'ultima lira, ma questo non stava bene ai suoi fratelli maschi, così una sera scoppiò una lite furibonda con il padre e Beppe scappò così di casa. Per molti mesi non si seppe nulla di lui, il padre non lo nominava nemmeno. Pasquinella di nascosto piangeva e pregava che non gli fosse successo niente. Una sera bussarono alla porta, Vincenzo andò ad aprire.
Erano due carabinieri: "presto venite alla stazione del treno, c'è un ragazzino privo di conoscenza. Ha la febbre altissima, la polizia lo ha trovato al porto di Civitavecchia, gli ha domandato le generalità e l'ha messo su un treno. Dopo ci ha telegrafato".
Vincenzo corse alla stazione, lo caricò sulle spalle e se lo riportò nel loro piccolo pagliaio, lo sdraiò sul letto privo di sensi. La matrigna, quando lo vide in quelle condizioni si mise a piangere e a gridare fingendo uno svenimento, ma poi rimase al capezzale tutta la notte bagnandogli le labbra. Fu una notte interminabile. La mattina il padre chiamò Pasquinella ordinandole di andare a casa di compare Vice a chiedergli se avesse qualche rimedio per Beppe che stava morendo.