Nel presentare questo libro conviene chiarire subito l'equivoco a cui il
titolo - La nonviolenza delle donne - potrebbe indurre: non è intenzione
delle autrici perpetuare l'oppressivo luogo comune secondo cui le donne
sarebbero meno violente e meno aggressive degli uomini. Non solo perchè
è stato fin troppo dimostrato che le donne possono essere anche molto
cattive (vedi soldatesse torturatrici, madri assassine, ministre guerrafondaie
e via dicendo). E non solo perchè sempre più uomini mettono
seriamente in discussione il dogma culturale della loro connaturale attitudine
a bellicosità e competizione.
Il motivo per cui ci preme non cadere nell'equivoco delle donne nonviolente
per "natura" è perchè siamo consapevoli che, per
quanto riguarda il tema "genere maschile e femminile", la maggior
parte delle cose definite "naturali" sono in realtà frutto
della secolare cultura patriarcale da cui proveniamo: una cultura in via
di sfaldamento, da quando sono state individuate le false premesse del pensiero
bipolare e si è compreso il valore dell'ambivalenza e complessità
del mondo. Oggi, la differenza tra persone è stata riconosciuta come
una ricchezza, e non più motivo di discriminazione. E il femminismo
ha contribuito moltissimo alla trasformazione della realtà da manichea
e oppressiva in plurale e potenzialmente libera.
Le autrici di La nonviolenza delle donne hanno scelto di raccontare qualcosa
a proposito di donne che vivono in maniera autentica e significativa in
realtà potenzialmente libere, pur se molto problematiche.
Attraverso il racconto di esperienze di donne rivolte all'essenziale (e
per questo instancabili e profonde costruttrici di pace) e il recupero di
contenuti e pratiche femministe, in questo libro emerge il contributo che
la libertà femminile sta offrendo alla realizzazione di un mondo
aperto all'esistenza, allo sviluppo e alla libertà autentica di ogni
essere.
Nei diversi contributi del volume emergono luoghi concreti e simbolici in
cui la differenza delle donne sta generando cambiamento della politica e
della società in una direzione nonviolenta. Nella prima parte si
susseguono otto contributi che esaminano alcuni temi comuni a femminismo
e nonviolenza. Nella seconda parte, divisa in due sezioni, si snocciola
una sorta di panoramica, di alcune realtà femminili che hanno trovato
modalità creative ed alternative per risolvere la difficile conduzione
materiale della quotidianità, spesso intrisa di violenze, guerre
e ingiustizie. Queste donne, creando reti tra loro e lasciando da parte
ostilità e barriere, realizzano pace.
Dal dialogo introduttivo tra Giovanna Providenti e Lidia Menapace:
G: Nel libro vengono raccontate delle esperienze di vita, o vengono recuperati
dei discorsi, delle metafore, che rispondano sia al tema della nonviolenza
che a quello delle donne. Non della "donna", ma di donne in
carne ed ossa (o solo in spirito come Penelope, Cassandra e Debora) che,
a loro modo, possano definirsi nonviolente. Per raccontarle le abbiamo
dovute ricercare, indagando a vari livelli, e aprendo nuovi scenari e
anche nuove domande. Ma iniziamo con la domanda di partenza: le donne
sono più nonviolente degli uomini?
L: Le donne ciascuna donna singola in quanto tale, no, non credo, non
storicamente, non fino a tempi molto vicini a noi. Il movimento delle
donne invece storicamente sì, anche forse in modo non consapevole.
Quando sono iniziate le lotte delle donne, anche solo per rivendicare
i diritti di parità, queste lotte sono sempre state nonviolente.
G: In che senso nonviolente? Nelle strategie di lotta?
L: Ecco, io non uso mai la parola strategia perchè è una
parola militare. Pratiche, bisogna usare la parola pratiche.
G: Giusto sì, pratiche, è una parola che appartiene più
alle donne che degli uomini e che contiene già in sé la
coincidenza nonviolenta tra mezzo e fine, senza bisogno di specificarlo.
E poi il termine pratiche rimanda al quotidiano, al corpo, alla vita materiale,
dal respirare al far da mangiare, accudire vecchi e bambini, e tutte quelle
cose che si fanno perchè vanno fatte comunque, non perchè
si aspira alla santità, o cose del genere.....
L: Sì, ma io stavo pensando proprio alle pratiche politiche. Le
migliori pratiche usate dalle donne, nelle loro rivendicazioni politiche,
sono sempre state cose come marce, sit-in, raccolte di firme, occupazione
di tribune, picchetti, scioperi della fame. Il movimento delle donne si
presenta sulla scena della storia usando le forme dell'azione nonviolenta,
tanto che Gandhi stesso riconosceva di avere imparato dalle suffragiste
inglesi.
G: Allora non le donne, ma il movimento delle donne sì: può
essere considerato nonviolento. Ma cosa intendiamo per movimento delle
donne? Il femminismo?
L: Sì, il femminismo, chiamiamolo così: e fin dalla fase
emancipazionista, fin dalle primissime lotte durante la rivoluzione francese....
G: Pratiche tra femminismo e nonviolenza, ecco il tema della nostra ricerca!
E se volessimo metterci a fare delle differenze su quale pratica femminista
sia più nonviolenta? Quale sceglieresti tra quelle dei tempi in
cui si rivendicava uguaglianza ed emancipazione, e quelle degli anni Settanta,
rivolte al riconoscimento della differenza ed alla libertà delle
donne?
L: Dovrebbero essere le seconde, ma non è stato così. Nel
femminismo degli anni Settanta la questione della nonviolenza non è
neanche stata posta. C'è stata una grande reticenza. Negli anni
che hanno seguito al Sessantotto, il femminismo propugnava azioni violente.
G: Ma io pensavo al movimento della liberazione femminista, non al Sessantotto
con tutte le sue contraddizioni.... Certo, io non c'ero, me ne sono fatta
un'idea leggendo le femministe di allora. Tra le italiane penso a Carla
Lonzi, Alessandra Bocchetti, Luisa Muraro: ho letto i loro libri con passione
e ammirazione, e, anche se loro non hanno usato questo termine... io le
definirei nonviolente.... Tra queste tre che nomino ho conosciuto di persona
solo Luisa Muraro, che, come vedi, ha accolto la proposta di essere presente
in questo volume. E, per noi che ci sentiamo sia femministe che nonviolente
(come me e Valeria Andò), la sua presenza tra noi significa molto.
Ma tu vedi le cose da un'altra prospettiva, dall'alto della tua età
matura... e poi tu c'eri....
L: Sì, io c'ero e ti posso assicurare che gli anni Settanta non
sono stati certamente nonviolenti, e che il movimento femminista stava
dentro, o quantomeno non riusciva a distaccarsene...... Sì, c'è
stato anche allora un dibattito sul tema: abbastanza censurato, direi.
Io stessa, che già partecipavo alle marce nonviolente organizzate
da Capitini tra Perugia ed Assisi, ho preso posizione attraverso uno scambio
epistolare con delle donne che avevano fatto parte delle Brigate Rosse,
e che erano in galera. Questo scambio di lettere si infrangeva sempre
su un punto che, secondo me, imbracciare le armi e sparare era una estrema
forma di emancipazione imitativa, e non aveva niente a che vedere con
la liberazione. Mentre invece per loro le donne potevano dirsi libere
se potevano fare qualsiasi cosa possa fare un uomo: non ci vuole molto
per questo! Tu nomini Carla Lonzi: ma lei non è stata così
significativa nella storia del neo-femminismo italiano degli anni Settanta,
è stata riscoperta dopo dalle giovani generazioni. E Bocchetti:
sì, lei aveva scritto un testo sulla estraneità delle donne
alla guerra. Il testo è splendido, dal punto di vista proprio espressivo,
però è poco dire "estranee", cosa significa? Non
si può dire che siamo fuori, anche noi facciamo parte della cittadinanza,
non sono più i tempi di Virginia Woolf. Luisa Muraro me la ricordo
ai tempi della sua tesi di laurea, quando insegnavo alla cattolica di
Milano.
G: E se invece pensiamo ad alcune pratiche femministe forse un po' successive,
come il partire da sé, la pratica dell'affidamento, la pratica
della disparità, lo stesso separatismo. Queste sono tutte pratiche
che potrebbero essere definite nonviolente, secondo me.....
L: Sì e no... A me sembra che all'interno del separatismo ci siano
state delle modalità violentissime. E poi anche l'uccisione simbolica
della leader secondo me è un gesto violento....
G: Ma mica la uccidevano veramente! Credo che lo scopo fosse praticare
autentica democrazia: lavorare in cerchio, parlarsi alla pari, senza che
qualcuna contasse più di un'altra... La stessa pratica dell'autocoscienza
tra donne, non sarebbe stata possibile se ci fosse stata una leader.
L: Sì e no... Perchè poi quando si parla di affidamento,
di disparità, si ristabiliscono ruoli di potere e di autorità.
G: A me invece l'affidamento sembra una sorta di pratica necessaria alle
donne che sentono il bisogno di affidarsi a qualcuno per sentire di essere
vive... È il fatto di affidarsi ad una donna invece che ad un uomo
che fa la differenza. Perchè una donna, una femminista, non userà
questo ruolo in maniera autoritaria...
L: Io sento di appartenere ad un femminismo che definirei della sorellanza,
non della madre. Parlare di simbolico della sorellanza, piuttosto che
di simbolico della madre, è più nonviolento, perchè
rimanda a un ambito egualitario. Le sorelle non hanno autorità
una sull'altra... E poi a me non è mai venuto in mente di potermi
affidare a qualcuno, né che qualcuno si affidasse a me.
G: Io non ci sono arrivata per età a "fare il femminismo"
(come diceva Carla Lonzi), né ho incontrato donne con cui praticare
esperienze come il separatismo, l'autocoscienza o l'affidamento, che coniugano
personale e politica. Però non nego che mi piacerebbe. Io vedo
in queste pratiche una carica liberatoria più che oppressiva: potere
fidarmi talmente tanto da liberare le mie energie più autentiche
all'interno di una relazione. Sia collettiva (l'autocoscienza) che interpersonale
(l'affidamento). Con un uomo è più difficile superare tutte
le diffidenze, e se succede c'è sempre il rischio dell'abuso da
una parte e della sottomissione dall'altra, almeno nel vissuto. Rischio
che ci sarebbe anche con una donna: ma qui la differenza è segnata
dal femminismo, dal fatto di esplicitare che questa pratica ha per scopo
la liberazione. Io mi affido ad un'altra femminista come me, a cui riconosco
l'autorità di aiutarmi a liberare, e poi mi libero, e posso anche
lasciarla andare, stabilire con lei un'altro tipo di relazione, non più
madre ma sorella. Si tratta di pratiche di liberazione. E la liberazione,
sia delle donne che degli uomini, a livello sia personale che politico,
è la premessa della nonviolenza. Tu stessa, nel tuo intervento
al convegno, hai detto che non si può fare nessun discorso politico
nonviolento senza considerare l'elemento del femminismo.
L: Io non ho vissuto come liberatorie quelle pratiche specifiche, forse
perchè ero attaccata al pensiero e alle pratiche antiautoritarie,
forse anche perchè appartengo a un'altra generazione, come dicevi
anche tu. Ehm, io sono la nonna! Però, sì, credo che un
pensiero politico che non includa ciò che è il femminismo,
e non si aggiorni (perchè il femminismo non è mica lo stesso
sempre, e inoltre i femminismi sono tanti) è un discorso incompleto
e sostanzialmente violento, che richiama il linguaggio non inclusivo.
Dire uomo per intendere l'essere umano - come ancora ho sentito fare a
molti nonviolenti - comporta un genocidio simbolico di natura violentissima.
Però vorrei insistere sul valore della sorellanza e sulla sua pregnanza
simbolica. Pensa ad esempio alla rivoluzione francese, da cui è
nata l'idea di fraternité: i fratelli erano fratelli in armi, se
invece fossero state sorelle sarebbe stato tutto un altro discorso.....
Ma è andata così! Anche se Gramsci diceva che bisogna fare
la storia con i "se", io non sono poi tanto d'accordo. La cosa
più importante è vivere nel presente.
G: E cosa succede nel presente? Come fare a recuperare un discorso nonviolento
e femminista? O forse, dato che siamo nell'era del post-femminismo, potremmo
definirlo semplicemente femminile?
L: No, chiamiamolo pure femminista! Fin quando il patriarcato permane....,
"Quaderni Satyagraha", Libreria Editrice Fiorentina,
2006
La nonviolenza delle donne - a cura di Giovanna Providenti
indice
Lidia Menapace - Giovanna Providenti, Femminismo
e nonviolenza: dialogo tra due generazioni diverse
Giovanna Providenti, Introduzione. La libera aggiunta femminista
RIFLESSIONI
Luisa Muraro, La forza in campo dell'amore: per un uso pensante delle
differenze
Giovanna Providenti, La rispondenza delle donne alla nonviolenza
Valeria Andò, Nonviolenza e pensiero femminile: un dialogo da iniziare
Patrizia Caporossi, Il dono della libertà femminile
Fabrizia Abbate, Il tempo al femminile. l'attesa, la cura, la cittadinanza
pacifica
Debora Tonelli, Donne e nonviolenza: il ruolo di Debora nella vittoria
di Israele.
Elisabetta Donini, La rete delle Donne in nero: tra capacità e
limiti, tra locale e globale
Luisa Del Turco,Le donne e la comunità internazionale: pratiche
politiche e strategie
PRATICHE
Donne dal Sud del mondo costruttrici di pace
Ada Donno, Donne di pace arabe ed ebree nel conflitto israelo-palestinese
Federica Ruggiero, Pratiche di resistenza delle donne nel genocidio rwandese
Sandra Endrizzi, La pace che viene da sud: donne ed economie che cambiano
la vita
Luana Pistone, Fiocco Rosa e Spose Bambine. Storie di donne e resistenza
nonviolenta in Bangladesh
Itala Ricaldone, Vasantha, le scuole, le donne: un percorso in espansione
con l'ASSEFA
Diego Marani, Donne sudanesi realizzatrici di pace
Esperienze nonviolente di donne instancabili
Cecilia Brighi, Aung San Suu Kyi: un Nobel per la pace agli arresti domiciliari
Adriana Chemello, Maria Occhipinti: la "donna di Ragusa"
Monica Lanfranco, Femminismi, nonviolenza, reticenze: un'esperienza di
formazione italiana
Giancarla Codrignani, Donne, diplomazie, nonviolenza: donne con volontà
concreta di cambiare
Maria G. Di Rienzo, Per cosa mio figlio va a morire? Il linguaggio semplice
delle madri statunitensi
Elena Zdravomyslova, Il Movimento delle Madri dei Soldati in Russia
Giovanna Providenti, Un'esperienza nonviolenta in una comunità
femminile
RECENSIONI
Valeria Andò, L'ape che tesse. Saperi femminili nella Grecia antica,
Carocci, 2005
Sandra Endrizzi, Pesci Piccoli. Donne e cooperazione in Bangladesh, Boringhieri,
Torino 2002
Francesca Brezzi, Antigone e la Philìa. Le passioni tra etica e
politica, FrancoAngeli, 2004
Marlène Tuininga, Donne contro le guerre. Femminile plurale non
violento, ed. Nord Sud
La casa editrice è la seguente:
Libreria Editrice Fiorentina, via Giambologna 5 - 50132 Firenze (I) editrice@lef.firenze.it, telefono
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