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Pasquinella con la
complicità della matrigna andò in paese e si fece
preparare la medicina. Beppe non riusciva a stare seduto, sveniva
facilmente. Pasquinella gli somministrava la medicina quattro volte
al giorno, più il tè con l'aiuto di una cannuccia
ricavata da uno stelo della paglia. Dopo un mese circa Beppe riuscì
ad alzarsi, aveva perso molti chili e non aveva la forza di lavorare
come prima. Il proprietario delle carcare dove portavano la legna,
lo prese a servizio e in cambio gli dava da mangiare.
Arrivò l'inverno e Vincenzo non si sentiva bene, aveva male
allo stomaco, durante la notte non riusciva a dormire, di giorno
le forze gli venivano meno, si alimentava poco e la maggior parte
del tempo la passava a letto. Qualcuno gli aveva detto che la malattia
di stomaco passava col riposo e bevendo latte. Ma il latte dovevano
comprarlo e i soldi non c'erano, così la matrigna mandò
Pasquinella e gli altri due figli del marito che gli erano rimasti
a raccogliere le olive nella piana di Gioia Tauro. Rimasero lì
tutto l'inverno fino a marzo. Raccoglievano le olive per un quinto,
di giorno mangiavano un pezzetto di pane tostato e la sera andavano
a dormire in una grande capanna assieme a tanti altri. Il caporale
accendeva il fuoco al centro della capanna e in un grosso calderone
faceva bollire le patate per la cena. Pasquinella era sempre l'ultima
a prendere la razione, avanti mandava i suoi fratellini.
"Accontentate loro - diceva - se ne vogliono qualcuna in più,
per me quello che vi rimane va bene, posso benissimo mangiare qualche
arancia".
A cena finita, chi era più stanco si metteva direttamente
sul giaciglio mentre gli altri rimanevano davanti al fuoco a raccontarsi
delle storie, a volte di paura e che facevano tremare i più
piccoli.
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