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    Capitolo IV
 
 
 
Pasquinella con la complicità della matrigna andò in paese e si fece preparare la medicina. Beppe non riusciva a stare seduto, sveniva facilmente. Pasquinella gli somministrava la medicina quattro volte al giorno, più il tè con l'aiuto di una cannuccia ricavata da uno stelo della paglia. Dopo un mese circa Beppe riuscì ad alzarsi, aveva perso molti chili e non aveva la forza di lavorare come prima. Il proprietario delle carcare dove portavano la legna, lo prese a servizio e in cambio gli dava da mangiare.
Arrivò l'inverno e Vincenzo non si sentiva bene, aveva male allo stomaco, durante la notte non riusciva a dormire, di giorno le forze gli venivano meno, si alimentava poco e la maggior parte del tempo la passava a letto. Qualcuno gli aveva detto che la malattia di stomaco passava col riposo e bevendo latte. Ma il latte dovevano comprarlo e i soldi non c'erano, così la matrigna mandò Pasquinella e gli altri due figli del marito che gli erano rimasti a raccogliere le olive nella piana di Gioia Tauro. Rimasero lì tutto l'inverno fino a marzo. Raccoglievano le olive per un quinto, di giorno mangiavano un pezzetto di pane tostato e la sera andavano a dormire in una grande capanna assieme a tanti altri. Il caporale accendeva il fuoco al centro della capanna e in un grosso calderone faceva bollire le patate per la cena. Pasquinella era sempre l'ultima a prendere la razione, avanti mandava i suoi fratellini.
"Accontentate loro - diceva - se ne vogliono qualcuna in più, per me quello che vi rimane va bene, posso benissimo mangiare qualche arancia".
A cena finita, chi era più stanco si metteva direttamente sul giaciglio mentre gli altri rimanevano davanti al fuoco a raccontarsi delle storie, a volte di paura e che facevano tremare i più piccoli.