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    Capitolo IX
 
 
 
Per non farla sentire abbandonata, spediva a Pasquinella due lettere al mese, ma lei ormai aveva acquisito sicurezza e, per certi versi, si sentiva protetta a casa del Generale e, anche se non le era consentito di fare amicizie, era serena assieme ai figli dei signori. Appena terminavano di studiare, si trasferivano con lei in cucina e le facevano tanta compagnia. Erano tre splendidi ragazzi, due femmine ed un maschio più piccolo, molto giocherellone che riempiva la casa di gioia.
Quando i Signori andavano a cena fuori, per loro era una gran festa perché rimanevano in casa con Pasquinella che li riuniva nella sua stanza e li intratteneva con le leggende del suo paese, gli raccontava delle Jovisse che andavano incontro alle donne, la mattina all'alba, quando queste si recavano in montagna a fare la legna. Le invitavano a bere da una fontana da dove sgorgava un'acqua magica, dovevano farlo a digiuno, sarebbero così diventate fertili. Al piccolo Renato piaceva la leggenda del Castello, quel grande maniero pieno di segreti, del tesoro che lì qualcuno avrebbe nascosto e della chioccia con tanti pulcini d'oro. Una sera Serena ed Enrica, morte di paura, chiesero a Pasquinella:
"come mai il tesoro del castello rimane incustodito e nessuno va a prenderlo?"
"Non è facile - rispose Pasquinella - ci dovrebbe andare una persona sola, da mezzanotte in poi ogni primo martedì del mese, ma nessuno ha il coraggio di farlo perché c'è un fantasma che custodisce il tesoro".
"Non sapevo che esistessero i fantasmi!" rispondeva Serena.
"Ti posso assicurare che esistono! Tante donne del mio paese l'hanno sentito gridare mentre si recavano in montagna dopo la mezzanotte".
"Ma perché grida questo fantasma? - chiese Enrica - deve essere un'anima in pena".