Il "fattore molesto" della civiltà

di Lea Melandri


L'opera di Freud, che aveva come primo titolo L'infelicità nella civiltà - a noi nota come Il disagio della civiltà (1929)-, si apre sul tema del "sentimento oceanico", suggerito dall'amico Romain Rolland come "fonte autentica della religiosità": senso come di qualcosa di illimitato, di sconfinato. Freud dice di non riuscire a scoprire in sé tale sentimento, ma di essere ben consapevole che l'Io, nonostante ci appaia "autonomo, unitario, ben contrapposto a ogni altra cosa", conosce varie forme di sconfinamento. All'interno, esso ha la propria continuazione in una "entità psichica inconscia", l'Es, di cui "funge per così dire da facciata"; all'esterno, benchè i confini si presentino più netti, si dà comunque uno "stato insolito" in cui le cose non vanno diversamente:

"Al culmine dell'innamoramento, il confine tra Io e oggetto minaccia di dissolversi. Contro ogni attestato dei sensi, l'innamorato afferma che Io e Tu sono una cosa sola, ed è pronto a comportarsi come se le cose stessero così." (p.201)

Segue il richiamo all'esperienza iniziale della vita, quando l'Io ancora non distingue tra sé e l'altro.
L'immagine dell'innamorato viene così associata a quella del lattante. La coppia madre-figlio si profila dunque dietro quella degli amanti e si carica a sua volta di valenze sessuali: il lattante attaccato al petto della madre "è diventato il modello di ogni rapporto amoroso", "la madre riserva la bambino sentimenti che derivano dalla vita sessuale di lei, lo accarezza, lo bacia, lo culla, lo prende con evidente chiarezza come sostituto di un oggetto sessuale in piena regola".
Di questa esperienza originaria, destinata a lasciare un segno duraturo nello sviluppo successivo dell'individuo, scrive Elvio Fachinelli:


"Prendiamo per esempio il rapporto tra il bambino piccolo e sua madre…Il mondo che lo foggia (il mondo della madre -la madre come mondo) è un mondo corpo in continuazione con il suo, prima, poi comunicante con esso; un corpo che lo tocca, lo accarezza, lo nutre, lo fa sobbalzare, lo tratta con delicatezza oppure no, con esitazione oppure no; un corpo che gli comunica caldo, freddo, equilibrio, squilibrio, presssione, contatto, odori, ritmo, suoni…Quest'esperienza traccia alcune linee fondamentali nel bambino come corpo desiderante e comunicante, sulle quali s'innesta poi l'universo del linguaggio. E questa è un'esperienza che, mentre a sua volta modella il bambino, presuppone quell'esperienza precedente; vale a dire: il simbolico presuppone quei privati simboli corporei." (E. Fachinelli, Il bambino dalle uova d'oro, Feltrinelli 1974, p.234)

Nella vita psichica, conclude Freud, "nulla può perire"; gli "stadi anteriori" si conservano accanto alla strutturazione finale.
A questo punto, lasciata la premessa legata alla religione, e al suo precedente saggio, L'avvenire di un'illusione (1927), l'interrogativo, su cui va a concentrarsi l'analisi freudiana, si precisa nel modo seguente:


"…la sola religione sa rispondere alla domanda circa uno scopo della vita…Ci chiederemo quindi, meno ambiziosamente, che cosa, attraverso il loro comportamento gli uomini stessi ci facciano riconoscere come scopo e intenzione della loro vita, che cosa pretendano da essa, che cosa desiderino ottenere in essa. Sbagliare la risposta è quasi impossibile: tendono alla felicità, vogliono diventare e rimanere felici." (p.211)

Ma la sofferenza minaccia l'uomo da più parti: dal versante del corpo, destinato a perire, dal mondo esterno che contro noi può infierire con spietate forze distruttive, e infine dalle nostre relazioni con altri uomini. Nell'impossibilità di dare soddisfazione a tutti i propri bisogni, l'uomo cerca perciò i modi per evitare, quanto meno, il dispiacere: la volontaria solitudine, l'uso della tecnica per assoggettare la natura, la sublimazione delle pulsioni, la gioia provata dall'artista nel creare, dar corpo alle immagini della sua fantasia, o quella del ricercatore che risolve problemi e scopre il vero.
Si può dire che quest'ultima via d'uscita dalla sofferenza è "la più fine e la più elevata", ma, commenta Freud, se la confrontiamo con la soddisfazioni di pulsioni più elementari, la sua intensità appare smorzata: "non scuote la nostra esistenza corporea". Anche il lavoro liberamente scelto, che potrebbe "spostare una quantità di componenti libidiche, narcisistiche, aggressive e persino erotiche", "come cammino verso la felicità è stimato poco dagli uomini." (p.216). Resta fondamentalmente legato alla
"necessità".
C'è tuttavia un altro "procedimento", che non si accontenta della meta di evitare il dispiacere:


"la sfiora senza curarsene e si attiene all'anelito originario, appassionato, verso una felicità positiva…Sto parlando naturalmente di quell'indirizzo della vita che fa dell'amore il centro di tutto e si attende ogni soddisfazione dall'amare e dall'essere amati. Un atteggiamento psichico di questo genere è abbastanza famigliare a noi tutti; una delle forme in cui l'amore si manifesta, l'amore sessuale, ci ha procurato la più intensa esperienza di una travolgente sensazione di piacere e ci ha così fornito il modello per inseguire la felicità. Che cosa c'è di più naturale del persistere a cercare la felicità su quella stessa via ove per la prima volta l'abbiamo incontrata?...Il lato debole di questa tecnica di vita è evidente. Mai come quando amiamo prestiamo il fianco alla sofferenza, mai come quando abbiamo perduto l'oggetto amato o il suo amore siamo così disperatamente infelici." (p.217)

La sofferenza più difficile da arginare è quella che viene dalle istituzioni sociali, che regolano le reciproche relazioni degli uomini nella famiglia, nello Stato e nella società. Il peso più duro da sopportare viene dalle restrizioni che la civiltà impone all'individuo per i suoi ideali civili.
E' la civiltà dunque che va interrogata in ciò che la fa apparire così nemica della felicità.
L'uomo ha compiuto enormi progressi, realizzando attraverso la scienza e la tecnica "desideri favolosi", è divenuto lui stesso quasi un dio.


"L'uomo è per così dire diventato una specie di dio-protesi, veramente magnifico quando è equipaggiato di tutti i suoi organi accessori; ma non formano un tutt'uno con lui e ogni tanto gli danno ancora del filo da torcere…Pure, nell'interesse della nostra indagine, non dimentichiamo che l'uomo oggi, nella sua somiglianza a Dio non si sente felice." (p.227)

"La casa è una sostituzione del ventre materno, della prima dimora che con ogni probabilità l'uomo non cessa di desiderare, dove egli si sentiva a suo agio, ed era sicuro."

Carattere distintivo di una civiltà, oltre alla valorizzazione delle più alte qualità psichiche, intellettuali, scientifiche, artistiche, è "il modo con cui sono regolate le relazioni reciproche tra gli uomini, che riguardano l'uomo come prossimo, come largitore di aiuto, come oggetto sessuale di un latro, come membro di una famiglia e di uno Stato."

"Saremmo tentati di dire che la sublimazione è un destino forzatamente imposto alle pulsioni dalla civiltà"…Questa 'frustrazione civile' domina il vasto campo delle relazioni sociali degli uomini." (p.233)

Segue il tentativo di Freud di capire quali influssi diedero avvio all'evoluzione civile, e per quali ragioni il processo di incivilimento si sia venuto a porre in conflitto con le pulsioni e coi desideri primordiali dell'uomo.

"Presumibilmente la fondazione della famiglia si collegò col fatto che il bisogno di soddisfacimento genitale cessò di comportarsi come un ospite che arriva d'improvviso e dopo che se ne è andato non da più notizie di sé per lungo tempo, e prese invece dimora come inquilino permanente. Quando ciò avvenne, il maschio ebbe un motivo per tenere presso di sé la femmina, o più generalmente l'oggetto sessuale; la femmina, non desiderando separarsi dai piccoli privi di aiuto, anche nel loro interesse dovette rimanere presso il maschio, più forte. In questa famiglia primitiva manca ancora un aspetto essenziale della civiltà; l'arbitrio del signore e padre era illimitato." (p.235)

La famiglia si struttura perciò intorno a due coppie: l'uomo (il maschio) che si appropria dell'oggetto sessuale (la donna), e la madre che si appropria del figlio. Duplice è il fondamento che sottostà alla vita in comune: l'amore e il lavoro.

"Quindi la vita in comune degli uomini ebbe un duplice fondamento: la coercizione al lavoro, creata dalla necessità esterna, e la potenza dell'amore, che nel maschio provocò il desiderio di non essere privato dell'oggetto sessuale, cioè della femmina,e nella femmina quello di non essere privata della parte da lei separatasi, cioè del figlio. Eros e Ananke sono diventati del pari i progenitori della civiltà umana." (p.236)

L'amore sessuale, avendo procurato all'uomo il massimo soddisfacimento, diventa "il modello di ogni felicità": L'erotismo genitale si pone al centro della vita stessa. Questo rende però l'uomo anche pericolosamente dipendente da una parte del mondo esterno, cioè dall'oggetto amoroso prescelto. Alcuni si difendono rinunciando alla soddisfazione sessuale e disponendosi a un amore sublimato, che abbraccia tutto e tutti. Ma, dice Freud, un amore che non sceglie perde parte dle suo valore.

"L'amore che fondò la famiglia continua a operare nella civiltà nella sua forma originaria, nella quale non rinunzia al soddisfacimento sessuale diretto, e, nella forma modificata,come tenerezza inibita alla meta. In ambedue le forme adempie alla sua funzione di legare l'uno all'altro un numero considerevole di persone, più intensamente di quel che può fare l'interesse del lavoro in comune…Tanto l'amore pienamente sensuale quanto quello inibito nella meta superano la cerchia della famiglia e producono nuovi legami con persona finallora estranee. L'amore genitale conduce alla formazione di nuove famiglie, l'amore inibito nella meta alle 'amicizie'." (p.238)

Fin qui l'amore è visto come uno dei fondamenti della civiltà. Ma, subito dopo, Freud si sofferma sul fatto che questa correlazione tra amore e civiltà cessa, nel corso dell'evoluzione, di essere univoca:

"Da un lato l'amore si oppone agli interessi della civiltà, dall'altro, la civiltà minaccia l'amore con gravi restrizioni. Questo dissidio sembra inevitabile; la causa non è immediatamente riconoscibile. Si manifesta prima in un conflitto tra la famiglia e la comunità più ampia cui il singolo appartiene.
Abbiamo già visto che uno degli intenti principali della civiltà è quello di raccogliere gli uomini in grandi unità. La famiglia invece non vuole lasciare libero l'individuo. Quanto maggiore è la coesione dei suoi membri, tanto più essi tendono a segregarsi dagli altri e diviene loro difficile entrare nel circolo più ampio della vita…Il distacco dalla famiglia è divenuto il compito che attende ogni giovane…Poi, ben presto, le donne entrano in contrasto con la civiltà. Le donne rappresentano gli interessi della famiglia e della vita sessuale; il lavoro civile è diventato sempre più cosa di pertinenza maschile, un dovere sempre più difficile, che obbliga a sublimazioni pulsionali a cui le donne sono piuttosto impari. Poiché il maschio non dispone di quantità illimitate di energia psichica, deve compiere i suoi doveri con un'appropriata ripartizione della libido. Ciò che adopera a scopi civili, lo sottrae in larga misura alle donne e alla vita sessuale: la sua associazione continua con gli uomini e la sua dipendenza dalle relazioni con questi lo estraniano dai suoi doveri di marito e di padre. Così la donna si vede relegata in secondo piano dalle pretese della civiltà ed entra in rapporto ostile con essa.
" (p.239)


"In questo rispetto la civiltà si comporta verso la sesssualità come una stirpe o uno strato di popolazione che ne abbia assoggettato un altro per sfruttarlo. Il timore dell'insurrezione di ciò che è stato represso spinge a severe misure precauzionali...ciò che non è stato messo al bando, l'amore genitale eterosessuale, viene ulteriormente circoscritto dalle barriere della legittimità e della monogamia. Non v'è dubbio che la civiltà odierna intende permettere le relazioni sessuali solo sulla base di un legame unico e indissolubile tra un uomo e una donna, non accetta la sessualità come fonte di piacere in se stessa, disposta a tollerarla solo come mezzo finora insostituito per la propagazione della specie." (p.240)

Eros e civiltà
Il dissidio tra Eros e civiltà, come si va chiarendo nelle pagine successive, non dipende solo dalle restrizioni che l'incivilimento impone alle pulsioni più elementari, ma dal fatto che l'esigenza della civiltà di legare il maggior numero di persone, di allargare "il cerchio della vita", urta contro l' "essenza" prima di Eros -la sua forma originaria-, che mira a "fare di più d'uno uno", per cui, una volta raggiunto il suo scopo, non vuole andare oltre: la coppia degli amanti basta a se stessa.


"La civiltà però esige altri sacrifici oltre quello del soddisfacimento sessuale. Abbiamo interpretato la difficoltà dell'evoluzione civile come una difficoltà evolutiva generale, riconducendola all'inerzia della libido, alla sua riluttanza ad abbandonare una vecchia posizione per una nuova. Non diciamo una cosa molto diversa quando affermiamo che il contrasto tra sessualità e civiltà deriva dal fatto che l'amore sessuale è un rapporto tra due persone, in cui un terzo può solo essere superfluo o importuno, mentre la civiltà si basa su relazioni tra un maggior numero di persone. Al culmine di un rapporto amoroso non rimane alcun interesse per il mondo circostante; la coppia degli amanti basta a se stessa, non ha neppur bisogno, per essere felice, del bambino che ha in comune. In nessun altro caso Eros svela così chiaramente il nucleo della sua essenza, l'intento di fare di più d'uno uno, ma quando lo ha raggiunto nel modo che è diventato proverbiale, facendo innamorare due esseri umani, non vuolr andare oltre. Fin qui potremmo benissimo immaginare una comunità civile che consistesse di siffatti individui doppi, i quali, saziati libidicamente in se stessi, fossero collegati tra loro in virtù della comunanza di lavoro e di interessi." (p.242)

Nell' Introduzione al narcisismo (1914), questa componente infantile, o preistoria dell'amore, emerge in modo ancora più chiaro.

"…in relazione alla scelta oggettuale del bambino (o dell'individuo che sta crescendo), ci siamo rsi conto innanzitutto che egli trae i primi oggetti sessuali dalle sue esperienze di soddisfacimento. I primi soddisfacimenti sessuali di tipo autoerotico sono esperiti in relazione a funzioni di importanza vitale, che si pongono al servizio dell'autoconservazione. Le pulsioni sessuali si appoggiano all'inizio al soddisfacimento delle pulsioni dell'Io, e solo in seguito si rendono da esse indipendenti; tuttavia tale "appoggio" continua a essere testimoniato dal fatto che sono assunti come primi oggetti sessuali le persone che hanno a che fare con la nutrizione, la cura, la protezione del bambino, cioè in primo luogi la madre o chi ne fa le veci." (Freud, Introduzione al narcisismo, Bollati Boringhieri 1976, p.37)

"Nella vita amorosa il non essere amati smunisce il sentimento di sé, mentre l'essere amati lo innalza…La persona innamorata è umile. Chi ama ha perduto, per così dire, una parte del proprio narcisismo e può riconquistarlo solo se è amato a sua volta. A quel che pare, in ciascuna di queste relazioni, il sentimento di sé si mantiene in rapporto con la componente narcisistica della vita maorosa." (p.54)

"L'amare di per sé, come anelito e privazione, deprime il sentimento di sé; l'essere amati, venire ricambiati del proprio amore, possedere l'oggetto amato lo reinnalza…Il ritorno all'Io della libido oggettuale, e il suo tramutarsi in narcisismo, rappresenta in certo qual modo la restaurazione di un amore felice,e d'altra parte un amore felice vero e proprio corrisponde all'originaria situazione in cui non è possibile distinguere fra libido d'oggetto e libido dell'Io." (p.57)

Il narcisismo, conclude Freud, è la dimora originaria della libido, "il suo quartier generale".
A questo punto del saggio, Freud avrebbe potuto approfondire l'elemento "perturbante" che si porta dietro l'Eros, quell' "anelito originario" che avrebbe dovuto restare "nascosto", rimosso, e che, ricomparendo nella sessualità dell'adulto, diventa una minaccia per l'indivualità del maschio e per suoi legami sociali. Già nel saggio Il perturbante (1919), Freud aveva intuito che "perturbante" (Unheimlich) è qualcosa che si annida dentro ciò che è "noto", "famigliare" (Heimlich), il volto che dovrebbe restare nascosto. E' dunque il rimosso, l'antecedente prestorico dell'Eros, l'amore nella sua forma prima, narcisistica, che ricomparendo nel rapporto adulto diventa un pericolo: è violazione dell'individualità, minaccia di inglobamento.
La diade amorosa, l'unità a due, la coppia fusionale, ha dentro un forte potenziale di distruttività. Dietro la casa dell'età adulta c'è la prima dimora, il ventre materno. La nostalgia che trasforma il coito in una reinfetazione, fa riemergere anche il rischio dell'indistinzione. Trasformando la donna in madre, l'uomo si è assicurato la continuità con quel corpo che ha saziato insieme fame e amore, ma si è condannato a vivere col "perturbante" in ciò che gli è più famigliare.
In questa vicenda, amore e odio, Eros e Tanatos, sono intrecciati, quasi indisgiugibili.


"Succede spesso che individui nevrotici dichiarino che l'apparato genitale femminile rappresenta per loro un che di perturbante. Questo perturbante (Unheimlich) è però l'accesso all'antica patria (Heimat) dell'uomo, al luogo in cui ognuno ha dimorato un tempo e che è anzi la sua prima dimora. "Amore è nostalgia", dice un'espressione scherzosa, e quando colui che sogna una località o un paesaggio pensa, sempre sognando: "questo luogo mi è noto, qui sono già stato", è lecita l'interpretazione che inserisce al posto del paesaggio l'organo genitale o il corpo della madre. Anche in questo caso, quindi, unheimlich è ciò che un giorno fu heimisch (patrio) famigliare. E il prefisso negativo "un" è il contrassegno della rilozione." (p.106)

Il fattore molesto della civiltà
Ma a questo punto Freud, fedele alla sua visione idealizzata del rapporto madre-figlio, l' "unico esente da ambivalenze", cerca un'altra spiegazione. Non riuscendo a riconoscere che la distruttività nasce proprio dall'interno di questa "ripetizione" dell'Eros nella sua forma originaria, la sposta fuori, su un fattore esterno: ipotizza la "pulsione di morte", come pulsione elementare, originaria, indipendente, che si affianca e si contrappone a Eros: l'uomo non è mansueto, è mosso, oltre che da amore, da una pulsione aggressiva che entra anche nei rapporti più teneri (fatto salvo il rapporto madre-figlio).


"L'uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d'amore, capace, al massimo, di difendersi se viene attaccata; ma occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressività. Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale aiuto e oggetto sessuale, ma anche un invito a sfogare su di lui la propria aggressività, a sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, ad abusarne sessualmente senza il suo consenso, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, ad umiliarlo, a farlo soffrire, a torturarlo e a ucciderlo." (p.246)

"Essa (l'aggressione) non è stata creata dalla proprietà, dominava quasi senza restrizione nei tempi primordiali -già si mostrava nei comportament dei bambini- costituisce il sostrato di ogni relazione tenera e amorosa tra esseri umani, con l'unica eccezione, forse, di quella tra la madre e il figlio maschio." (p.248)

La lotta non è dunque all'interno di Eros, ma tra due potenze intrecciate, contrapposte ma non tanto da non confondersi. C'è solo da sperare che vinca Eros.

Alcune considerazioni
Nel Disagio della civiltà Freud si avvicina alla scoperta dell'aspetto violento che si annida nell'amore per quel retaggio preistorico che si porta dentro, come nostalgia dell'originaria unità a due. Violenta è l'appropriazione che il maschio opera rispetto al corpo femminile, da cui ha ricevuto cure e stimoli sessuali (il dominio patriarcale); violento è anche il sogno d'amore, inteso come fusione di due esseri in uno, ricomposizione delle figure del maschile e del femminile create dall'uomo per una sorta di sdoppiamento; pulsione di morte è la tentazione di annegare in una beatitudine che è spegnimento di ogni tensione, e quindi della vita. Aggressività è necessaria anche per conservare l'unità ideale, per spostare all'esterno ciò che la minaccia. Questo vale anche per l'unità ideale che viene a saldare un gruppo, una nazione, un'etnia.
Sotto questo aspetto -come ripetizione dell'anelito originario- l'Eros contiene in sé logiche di guerra: la guerra mai dichiarata tra i sessi, che passa attraverso l'appropriazione del corpo femminile, la fissazione della donna nel ruolo di madre, la sua espulsione da una comunità storica di uomini, che si configura così come omogenea, con una genealogia in proprio. Si potrebbe parlare di "pulizia sessuale", cancellazione, da parte del sesso maschile, della sua origine eterogenea.
Ma questa comunità storica, a sua volta, non ha potuto evitare movimenti analoghi, di accomunamento e chiusura, inclusione e settarizzazione. I legami che hanno visto l'uomo nel privato come marito, figlio, amante, si trasferiscono, a volte con accresciuta intensità, nelle sue relazioni pubbliche, in particolare là dove la vita del gruppo appare più minacciata.


"L'intensità dell'amore di guerra -scrive J.Hillman nel suo libro Un terribile amore per la guerra (Adelphi 2004)- nasce dal crollo di tutti gli altri…la disperazione di una vita vissuta insieme comprime tutto l'amore umano in questi pochi con cui faccio la ronda, oltre a mangiarci, a pisciarci, a dormirci insieme."

Là dove si costituisce una comunità-persona, quasi fosse un'unità organica, in guerra ma anche nei nazionalismi, nella costruzioni identitarie, negli arroccamenti etnici, nell'assolutizzazione delle differenze, si può ipotizzare che si riattualizzi come replica cieca o come ripresa aperta a nuove soluzioni, l'unione originaria con la madre, un modello d'amore immaginario, esclusivo, che vede l'apertura e la diversità come un pericolo. Ciò spiega perché i nazionalismi abbiano avuto anche il consenso delle donne. La "nascita" della nazione è nascita di una genealogia patriarcale, ma è anche richiamo a una "coesione organica", a una unità totale mistica, che ha a che fare col corpo materno.
E' madre-patria o, meglio ancora, matria: un volto d'uomo in un corpo femminile: restaurazione dei ruoli tradizionali di madre, moglie, recupero della metafora della famiglia, che parla di uomini come padri, figli, amanti. Se la nazione è un'idea tutta maschile, ha bisogno tuttavia di incarnarsi in una figura femminile, che non è solo un simbolo, una "muta effigie".


Freud si avvicina a cogliere il "fattore molesto" che insidia la civiltà, le relazioni tra singoli e popoli, nell'annodamento di amore e odio che viene proprio dall'interno di quella "prima dimora" che l'uomo non ha voluto abbandonare, relegando la donna nel ruolo di madre, appropriandosi del suo corpo generante, lasciando l'amore al centro della vita. Per salvaguardare l'Eros nella sua forma "preistorica" -l'unica che secondo lui può dare felicità- Freud è costretto a spostare fuori, su un fattore esterno, l'aggressività, ipotizzando una pulsione di Morte, uguale e contraria all'Eros.

E' nella Risposta a Einstein (1932), che gli aveva posto la domanda: "C'è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?", che Freud si avvicina a una visione meno dicotomica. E' proprio la mescolanza di amore e odio, conservazione e distruzione, vita e morte, ad aver reso così difficile il riconoscimento di queste pulsioni E questo vale sia per la vita intima, per la relazione tra i sessi, sia per la vita sociale: gruppi, nazioni, ecc. Così come l'Eros ha dentro logiche di guerra, anche la guerra è imparentata con l'amore.
La guerra, che quasi sempre si accompagna alla nascita e alle vicende più importanti di una nazione, distrugge, espelle, ma per aggregare e proteggere. E' qui che Freud comincia a vedere l'amore e l'odio più intersecati e imparentati di quanto avesse pensato vedendoli come pulsioni contrapposte

"amore e odio, conservazione e distruzione sono meno polarizzate di quanto sembri…La guerra come dovere sacrificale, nonostante assolva essenzialmente funzioni distruttive, ha per gli uomini il significato di una distruzione messa la servizio della conservazione di ciò che si ama".


Forse, con la maggiore consapevolezza di cui disponiamo, si può tentare di sciogliere quel tragico annodamento che oggi va sotto il nome di "guerra umanitaria".
La coscienza che ha sottratto a una millenaria naturalizzazione il rapporto tra i sessi, oggi può tentare di riportare alla storia -cioè alla cultura, alla politica- altri enigamtici indicibili annodamenti, primo fra tutti quello che imbrigliando vita e morte, amore e violenza, ha impedito finora una messa in discussione radicale dell'uno e dell'altra, e quindi la presa di distanza dall'immaginario che li sorregge. Anche se ancora lontana, comincia a profilarsi la fine di una parentela rovinosa.
 
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