CivitasMed
Mostra-Convegno
della solidarietà e dell'economia civile

16-19 novembre 2006

Workshop: La guerra dentro
Laboratorio di teorie e pratiche politiche di mediazione dei conflitti

venerdì 17 novembre 2006 ore 16,00

Cosenza - Cupole geodetiche
Sala convegni

La cultura dei diritti e il diritto alla cultura in una prospettiva di genere nell'area del Mediterraneo

di Magda Tomei
Lega Internazionale per i Diritti e la Liberazione dei Popoli

1. Il Mediterraneo area di conflitti.
Il Mediterraneo è una regione geopolitica densa di conflitti endemici : conflitti etnici, religiosi, politici, economici che dividono stati, città, famiglie, comunità entro confini che vanno oltre i confini amministrativi e politici.
Nella sponda sud del Mediterraneo gli stati nazionali rivelano spesso una carenza di regole democratiche ed i loro governi non sono rappresentativi delle comunità che dovrebbero rappresentare. In molti di questi stati la società civile non riesce ad organizzarsi in modo libero ed indipendente a causa dei fortissimi squilibri sociali ed economici ed anche se molti di questi paesi hanno sottoscritto la Dichiarazione Universale del 1948 in essi i fondamentali diritti umani sono ignorati. I diritti delle donne, ad esempio, che sono i diritti civili e politici, il diritto di accesso al lavoro, il diritto alla salute, il diritto all'educazione sono spesso disattesi.
Fra le condizioni necessarie per instaurare una cultura di pace in questa regione c'è la promozione e la diffusione di una cultura dei diritti umani che porti al rifiuto delle discriminazioni etniche, nazionali e di classe per definire una nuova sicurezza basata sull'uguaglianza dei diritti e sul riconoscimento delle varie opportunità fra generi.
La risoluzione dei conflitti in questa area non può che venire da parte di governi democraticamente eletti i quali facciano del diritto e della sua cultura parte fondamentale ed integrante dei loro programmi e stabiliscano bilanci in cui le spese della pubblica istruzione non siano inferiori a quelle della difesa. I processi di democratizzazione devono sorgere dalle istanze delle organizzazioni della società civile delle varie comunità i cui esponenti collaborino fra di loro per giungere all'obiettivo comune di società pluraliste, democratiche e libere.

2. La Cultura dei diritti.
Parlare di una cultura dei diritti in una prospettiva di genere nell'area mediterranea, culla storica del diritto, è confermare la priorità e l'importanza dell'impegno maschile nell'esercizio della legge e nello studio delle norme che regolano la comunità, ma è al tempo stesso un modo per stimolare la partecipazione femminile a processi socio - culturali e politici che quotidianamente ripropongono la necessità di regole atte a salvaguardare il modo di vita, le attitudini mentali e comportamentali della donna. Si nota oggi una forte presa di coscienza al femminile di quelli che sono i diritti fondamentali dell'individuo nei confronti dell'esercizio del potere da parte delle istituzioni, ma d'altro canto si nota anche la presenza di un gran numero di donne che entrano nei posti di potere decisionale adeguandosi alla logica tradizionale di forze politiche pensate e dirette da uomini, non ultime le donne parlamentari. La cultura del diritto è spesso utilizzata dalle donne per inserirsi in una società voluta e regolata dagli uomini con un atteggiamento mimetico. E' d'uopo chiedersi allora quale sia stato fino ad ora il modo di porre questa cultura. Se non sia stata una cultura calata dall'alto che ha sempre previsto l'impiego di un intermediario, l'uomo di legge o l'esperto sindacale, e non uno strumento democratico compreso e condiviso dal popolo per regolare la propria esistenza.
Il diritto internazionale, ad esempio, dichiarato da molti in questi giorni sconfitto dal succedersi di guerre che sembrano presentare motivi di affinità e allarmante progressione, ha, a mio avviso, subito la prima grande sconfitta dall'ignoranza che lo ha circondato, ignoranza che non ne ha permesso la condivisione collettiva sia a livello nazionale che internazionale. Le grandi manifestazioni per la pace a pochi giorni dall'inizio dell'ultima guerra, le bandiere tuttora non rimosse ad indicare volontà di relazioni pacifiche, sono state un'esperienza collettiva tardiva che non è stata maturata ed espressa politicamente in modo prioritario come unico strumento contro lo sviluppo dell'idea della guerra, idea considerata dai potenti della terra ,e non solo, l'unico mezzo per restaurare condizioni umane deteriorate e diritti umani violati Pensiamo ai governi sia nazionali che internazionali, votati democraticamente e quindi espressione della volontà popolare, succedutisi dal 1991 ad oggi. E' un tempo recentissimo che ci ha visti spettatori in diretta di guerre variamente nominate "umanitarie o preventive" quando non ci ha visti direttamente coinvolti in esse. Guerre in diretta per non parlare dei conflitti invisibili e scarsamente conosciuti, spesso considerati genericamente "guerre tribali", strumenti di distruzione di un intero continente, quello africano così disumanamente depauperato, il cui assetto sociale e politico ci appare in tutta la sua tragica realtà nei discorsi così poco attesi dei missionari e dei volontari. E i conflitti israelo - palestinese e russo - ceceno venuti tristemente alla ribalta con terribili azioni di terrorismo in cui la perdita di vite umane dall'una parte e dall'altra non riceve mai eguale attenzione.
Questa cultura dei diritti che è alla base di qualsiasi processo di pace tarda a penetrare nel sostrato sociale e a farsi "vox populi". Le cause sono molte e varie, nazionali e internazionali. Sul piano nazionale se consideriamo le istituzioni scolastiche atte a soddisfare la fascia dell'obbligo non troviamo traccia dell'insegnamento del diritto se non nel triennio degli Istituti Tecnici Commerciali o come sperimentazione nel triennio dei Licei Classici e Istituti Magistrali quando l'obbligo scolastico è ormai esaurito. La stessa Educazione Civica a livello di scuola dell'obbligo si rivela insufficiente quando non del tutto assente.
A livello internazionale i problemi sono altri. Bisogna prendere atto che nel campo dei diritti umani finora è stato considerato unicamente il punto di vista occidentale in una visione limitata e parziale di essi. La chiusura dell'occidente alla cultura asiatica e a quella mussulmana, viste come incompatibili, ha portato a grosse incomprensioni che hanno impedito la codificazione e universalizzazione dei diritti umani. Nell'area mediterranea il mondo europeo e il mondo arabo sono separati sul concetto di universalità dei diritti umani dichiarato dalle Nazioni Unite in quanto espressione della cultura occidentale. I mussulmani fanno riferimento alla Organizzazione della Conferenza Islamica che ha promosso una dichiarazione universale dei diritti dell'uomo nell'Islam (OCI) adottata all'unanimità nel 1990.Se mettiamo a confronto le due dichiarazioni possiamo però trovare una base di diritti comuni. L'analisi e la ricerca di questi diritti ci devono condurre alla realizzazione di un'intesa per l'avvio di una cultura dei diritti condivisa da entrambe le parti.
Rifacendoci al disatteso punto di vista dell'antropologo americano Melville Herskovitz (1) (Statement of Human Rights) dell' American Anthropological Association, bisognava al tempo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo nel 1948, tenere conto delle identità culturali di tutti i popoli della terra e del loro diritto a vederle rispettate in quanto i popoli della terra manifestano culture diverse di cui non si poteva allora come ora non tenere conto. Il diritto a manifestare la propria cultura e a difendere la propria identità culturale sia etnica che di genere deve essere, pertanto, universalmente riconosciuto sempre considerando che all'interno di ogni cultura esistono fenomeni che la articolano e la cambiano. Tenendo conto di questo notiamo che alcuni paesi del mondo arabo, che vivono nell'area del Mediterraneo, ci inviano dei segnali di condivisione dei valori occidentali attraverso tentativi di riforma dei loro ordinamenti giuridici, con riferimento ai diritti individuali, ai rapporti fra uomo e donna, al concetto di cittadinanza, a società civile e religione. Vedi le posizioni innovative per la tutela dei diritti della donna in Tunisia dove sono state fatte leggi a garanzia della parità dei diritti e dei doveri dei coniugi nel matrimonio con alcune esclusioni per i matrimoni fra membri di religioni diverse per i quali vale la legge islamica, e l'Algeria in cui è stata ammessa la clausola della monogamia nel matrimonio per cui la donna può chiedere il divorzio una volta che questa regola viene infranta.

3. Il Diritto alla cultura.
Il diritto all'istruzione della donna è rispettato istituzionalmente nei paesi dell'area mediterranea, ma analizzando le varie realtà sociali all'interno di essi ci rendiamo conto di quanto nei paesi meno sviluppati tale diritto - dovere venga disatteso dalle fasce sociali a reddito più basso per la mancanza di infrastrutture e per l'impegno quasi coatto della donna a livello familiare. Nel rapporto dell' United Nations Development Program(UNDP) si denuncia che nei paesi in via di sviluppo le donne analfabete sono ancora il 60% in più degli uomini e l'iscrizione femminile all'educazione di livello primario è inferiore del 6% a quella maschile. Il debito che cresce ogni anno di 100 miliardi si traduce nella negazione dei diritti fondamentali e per quanto riguarda la donna il diritto dovere all'istruzione è legato alla libertà dal bisogno. Il nostro impegno deve pertanto andare nella direzione di intese fra donne di popoli diversi che intendono unirsi per trovare soluzioni atte a rimuovere gli ostacoli sia economici che culturali, causa di questi diritti negati.
Assistiamo al fenomeno massiccio della migrazione dai paesi arabo africani della sponda sud del Mediterraneo nel quale le donne costituiscono una percentuale sempre più elevata. Il 30% degli emigrati marocchini sono donne. Le donne emigrano per accompagnare un uomo(padre, fratello marito),ma emigrano anche da sole sempre di più per garantirsi un diritto umano, quello all'esistenza. Spesso in questo caso le donne emigranti sono oggetto di sfruttamento e di traffico umano a scopo di prostituzione. Molti studi fatti dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni a Ginevra sono dedicati a questa problematica. Da qui l'importanza di diffondere l'informazione sulle donne emigranti e promuoverne la formazione culturale per un adeguato inserimento nei paesi di destinazione.Il flusso migratorio femminile ha mosso le istituzioni del nostro paese nelle aree in cui queste presenze appaiono più numerose a promuovere corsi di alfabetizzazione per donne emigrate. E' interessante valutare una di queste esperienze interamente al femminile. Il progetto è stato promosso dall'Assessorato Scuola e Politiche sociali del Comune di Sermide (MN) con finanziamento della regione. La popolazione del comune di Sermide, 2000 abitanti circa, vede una presenza del 6% di extracomunitari in parte preponderante di provenienza marocchina, zone rurali di Casablanca e Marrakesh, che trovano lavoro nelle campagne e sistemazioni generalmente dignitose. Le donne in questo caso accompagnano i mariti, non lavorano se non all'interno della propria casa e vivono spesso una condizione di solitudine. La non conoscenza della lingua si rivela spesso una solidissima invisibile catena che ne limita i movimenti. Il progetto, suggerito da una donna insegnante che ospitava nelle proprie classi alunni di provenienza marocchina, è stato preceduto da un'analisi attenta della situazione sociale vissuta dalle famiglie degli alunni con l'aiuto di un mediatore culturale. Sono state individuate le persone interessate, è stata presentata l'opportunità alla famiglia, sono stati raccolti i consensi, in particolare dei mariti delle 12 donne che avevano accettato, unitamente alle loro esigenze, richieste, suggerimenti. I livelli di istruzione di partenza andavano dall'analfabetismo alla conoscenza se pur limitata della lingua francese. Questa operazione di integrazione che è partita da un'idea di comunicazione più che di apprendimento linguistico si è poi rivelata una efficace interazione tra donne portatrici di diverse esperienze e competenze. Il progetto ha offerto a questo gruppo di donne l'opportunità di creare un rapporto di fiducia con il nuovo ambiente di appartenenza e di accrescere la fiducia in loro stesse. Il progetto è stato sia per l'insegnante che per le donne alunne un importante momento di crescita.
Al di là di questo impegno specifico, nel nostro paese, istituzioni scolastiche a parte, la cultura delle donne si è sviluppata attraverso una varietà di strutture che le donne si sono date per crescere insieme, creare intese fra donne di provenienza diversa e aprirsi nuovi orizzonti. E' a queste donne che io rivolgo il mio appello perché si facciano portavoce e promuovano una cultura dei diritti per tutte quelle che questi diritti vedono negati.

(1)Melville Herskovitz "Statement of Human Rights" in Marta C.
Studi e Saggi della Fondazione Internazionale Lelio Basso
EDUP Roma2001

 

 
 
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