CivitasMed
Mostra-Convegno
della solidarietà e dell'economia civile

16-19 novembre 2006

Workshop: La guerra dentro
Laboratorio di teorie e pratiche politiche di mediazione dei conflitti

venerdì 17 novembre 2006 ore 16,00

Cosenza - Cupole geodetiche
Sala convegni

Quando le parole falliscono, iniziano le guerre….

di Nava Elyashar, Bat Shalom, Gerusalemme

Gerusalemme, 01/11/2006
Il valore del discorso come principale strumento a beneficio dell'umanità è conosciuto sin dalla nascita dell'umanità. La tradizione ebraica include numerose espressioni che enfatizzano nel conflitto la superiorità della parola : "vita e morte attraverso la lingua", "la parola nella roccia", "parole di mollezza sgretoleranno la roccia", "(la) saggezza è l'intelligenza del silenzio".

Siamo consapevoli dell'incredibile potenzialità del dialogo sull'azione, tuttavia non siamo riusciti ad integrare questo valore nella quotidianità della nostra vita, sia individuale sia collettiva. Le radici del conflitto arabo-israeliano nascono più di cento anni fa: entrambe le parti si sono arenate nel proprio pantano e non hanno provato ad intraprendere un percorso che le (ri)congiungesse una all'altra, per esperire la differenza, per creare un dialogo tra culture, religioni, nazionalità.

I pacifisti israeliani hanno attraversato alti e bassi dall'occupazione del '67 dei territori palestinesi: nel corso del tempo abbiamo cambiato strategie, obiettivi, modi di agire. Abbiamo creduto nell'umanità -ma non trovavamo la chiave per accedervi e convertire il male in bene. Abbiamo avuto momenti gloriosi di veglie e speranze; pensavamo che la Pace fosse lì dietro l'angolo ad aspettarci; eravamo orgogliosi delle nostre attività e credevamo che bastasse un'altra grande manifestazione o un buon articolo sul giornale per cambiare i nostri destini. Sognavamo la comprensione e l'accoglienza (lett: accettazione) fra le persone, tutte le persone, avevamo sogni di vita comune nell' uguaglianza e nella prosperità.

Con il passare del tempo abbiamo compreso che un'altra manifestazione pacifica non ci avrebbe consegnato più di quanto avevamo già avuto. La strada verso il dialogo non era così semplice come credevamo. Abbiamo visto crescere le pretese dei coloni e la loro arroganza di fronte alle continue conquiste ottenute. Quasi nessuno più, in Israele, era disponibile ad uscir fuori ed esprimersi contro di loro. Ogni nuovo insediamento costruito su una terra che non apparteneva loro era appoggiato dal governo e dalla maggior parte della popolazione israeliana. Le nostre tasse venivano utilizzate per sostenere la macchina da guerra piuttosto che essere redistribuite alla popolazione israeliana che ne aveva bisogno. Nonostante ciò, proprio coloro che erano privati dei loro diritti e dunque costituivano le prime vittime della macchina da guerra erano anche i più accesi sostenitori della politica di occupazione.

Negli ultimi sei anni, dall'inizio della seconda Intifada, abbiamo completamente rivisto le nostre strategie di azione: veglie, annunci sui giornali, azioni passive, non avrebbero posto fine all'occupazione ed ai suoi danni; abbiamo cercato strade migliori - sapendo che non stavamo lavorando direttamente per il nostro obiettivo ultimo: peace now/pace subito.

Le nostre azioni erano dirette adesso verso un nuovo traguardo: alleggerire le sofferenze degli individui. Abbiamo fondato numerose organizzazioni che potessero aiutare i palestinesi, come individui ma anche come gruppi organizzati, nelle difficoltà quotidiane. Questi gruppi si occupano dei problemi derivanti dalla demolizione di case e dalla distruzione delle piante di ulivo, di diritti umani, di problemi riguardanti la salute, del trasporti verso gli ospedali, del rilascio dei permessi per i lavoratori.
Ci occupiamo principalmente degli effetti immediati dell'occupazione. Nondimeno, vogliamo rivolgerci alla popolazione israeliana che ci odia senza sapere chi siamo. Vogliamo cambiare l'atteggiamento ed i sentimenti della maggioranza degli israeliani che fanno fatica a portare a casa un salario minimo. Essi lasciano che i nostri leaders li infiammino per poi condurli verso l'autodistruzione. Non si rendono conto che una cattiva guida politica li priva tanto dei loro diritti sociali quanto li espone ai rischi della guerra: se hanno problemi di salute, non hanno la possibilità di curarsi con le stesse risorse dei ricchi, i loro figli non hanno accesso ad una buona istruzione e non hanno speranza che Israele dia priorità ai loro problemi rispetto alla continuazione della guerra. Essi sono israeliani nell'orgoglio e nella fiducia, non nei benefici. Noi proviamo a raggiungerli ma c'è un muro di odio e diffidenza che non sappiamo come superare.

Negli ultimi anni il mio principale percorso è stato con un gruppo di donne israeliane: Machsom Watch- Osservatorio Checkpoint. Noi andiamo presso i checkpoint che i palestinesi attraversano quotidianamente, dove subiscono dinieghi ed umiliazioni, e, in qualche caso, possiamo anche dare un supporto. Usiamo i nostri contatti con i soldati, i comandanti e chiunque possa essere d'aiuto. Proviamo a dare un sostegno, qualche volta la situazione è così drammatica che ai nostri amici palestinesi non possiamo offrire altro che la nostra simpatia, un sorriso, la nostra pazienza ascoltando le loro tristi storie e annuire invano. Talvolta guardiamo negli occhi di un giovane od una giovane palestinese e speriamo che quando i loro amici li incoraggeranno a scegliere la via della guerra, essi terranno a mente quelle donne israeliane che alcuni anni prima erano state gentili ed amichevoli.
Potreste dire che i nostri sforzi sono vani - aiutiamo dozzine di famiglie mentre migliaia soffrono e ci riesce impossibile fare di più. Adesso crediamo che il bene non procede dalle grandi azioni o da cambiamenti repentini. Per ottenere un cambiamento dobbiamo agire con calma, educare noi stessi e gli altri, confrontarci come partners e non come nemici. Questa strada è lunga e piena di indugi, tuttavia è quella che può condurci ad una migliore umanità, amicizia e comprensione fra le persone.
In fondo ai nostri cuori continuiamo a sperare di compiere qualche piccolo passo verso il sogno di una pace terrena.

traduzione a cura di Carmen Caruso

 
 
INTERVENTI
 
 
 
STOP
THE WAR
 
NEWS
 
APPELLO
		

 
E-Mail
Home